Pubblicato il 24/11/2008 da
Maurizio "Morrizz" Borghi
A cura di Maurizio “MorrizZ” Borghi
In questo periodo di reunion posticce con formazioni scalcinate ed imbarazzanti, che rischiano di infangare quanto di buono fatto in passato e buttare alle ortiche la loro reputazione per il dio denaro, c’è ancora chi merita il rispetto, perché dalla strada non si è mai allontanato realmente. Niente CD live o DVD assemblati in fretta e furia, la gang di Brooklyn è tornata esclusivamente per celebrare il ventennale di attività e per mostrare a tutti chi sono i Biohazard, quelli veri, con il grande Bobby Hambel alla sei corde, uscito dalla coltre di nebbia che l’ha avvolto per lunghissimi anni. Il Rolling Stone è teatro dell’unica data italiana della formazione, che sarà assistita da un pubblico adulto e venerante…
NASHWUAH
Vecchia conoscenza per i milanesi (il gruppo è attivo da almeno un decennio), i Nashwuah hanno il compito di scaldare un’audience che riempie le scalinate del Rolling alla rinfusa e si dimostra più interessata a salutare i vecchi compagni di ventura piuttosto che dare una chance al gruppo. I ragazzi in realtà hanno grinta da vendere, e anche se è faticoso attirare l’attenzione dei presenti il loro metal moderno è tanto death quanto core, senza la minima concessione alle cafonate che imperversano nel genere oggi tanto inflazionato. A tratti vicini ai Machine Head, i meneghini dimostrano di essere scafati e di tenere il palco in maniera egregia, intrattenendo dall’inizio alla fine. Aspettiamo il loro nuovo lavoro.
BIOHAZARD
Ok, confessiamo di essere assolutamente di parte, è dato oggettivo però l’accaduto nelle mura del tempio del rock milanese. Dopo l’intro obbligatoria i Biohazard salgono sul palco: Billy non ha più il six pack di addominali ma ha lo stesso volto intenso. Evan è smagrito, quasi troppo a prima vista, ma conserva l’attitudine da spaccone che traspare negli accennati sorrisi di compiacimento. Danny sembra imbolsito, ma bastano pochi tocchi per togliere ogni dubbio. Bobby ha i segni del tempo sul viso, ma conserva un carisma inimitabile. L’incipit di “Victory” è da manuale, e trasporta il pubblico all’apice ineguagliato della fusione tra hardcore, metal, punk e hip hop di cui sono stati spettacolari fautori i Biohazard. Ci si rende conto di quanto il feeling che sono capaci di trasmettere i ragazzotti di Brooklyn sia qualità praticamente introvabile nei gruppi di oggi, e di come con gesti semplici si può rendere massimo il coinvolgimento dello spettatore. Se Bobby, tra un assolo e l’altro, è il primo a cercare “il cinque” dalle prime file, lo scatenato Billy non si risparmia nel correre, aizzare la folla, salire prima in spalletta poi addirittura in piedi sulle spalle della gente del pit per sentire il calore, il sudore e l’energia. Questo non basta, eccolo dunque lanciarsi tra il pubblico e mostrare a tutti come si fa un vero circle pit (durante “We’Re Only Gonna Die”, cover dei Bad Religion). La scaletta è composta solo da brani dei primi tre album, a consolidare l’unione speciale che lega la formazione originale: ecco dunque che i cori si sprecano tra “What Makes Us Tick”, “Five Blocks To The Subway” e “Down For Life” – citati a casaccio, sono tutti intoccabili – per arrivare alla chiusura con “Wrong Side Of The Tracks”. Non ci casca nessuno ovviamente, i Biohazard infatti tornano sul palco ed Evan trascina le ladies on stage per “Punishment”, dove la gente sul palco (tra i tutti un invasato GL Perotti) si unisce al microfono nelle gang vocals. Evan molla poi il basso a un roadie e attacca una devastante “How It Is”, rappando anche le parti di Sen Dog, per poi ringraziare i presenti in maniera sentita (consapevole dei concerti di Slipknot e Slayer) e concludere con “Hold My Own”. Un’intensità impareggiabile, un calore genuino, una violenza urbana quanto i vostri zigomi che sfregano sull’asfalto: questi sono i Biohazard, e dopo vent’anni di attività ci preme sottolineare quanto lontano sia il resto dei “vecchi”, disperso nel nulla o zoppicante sul palco. Postilla: il meet & greet esclusivo di Metalitalia.com non c’è stato, la band infatti ha preferito concedersi a tutti personalmente, senza nemmeno passare dal backstage, per riabbracciare vecchi amici e stringere la mano a coloro che non hanno mai avuto la fortuna di vederli dal vivo. Un altro show è terminato e, mentre vediamo Bobby allontanarsi con un bastone da passeggio, non possiamo non sperare che la storia continui. Down For Life!
Scaletta:
01. Victory
02. Shades Of Grey
03. What Makes Us Tick
04. Tales From The Hard Side
05. Urban Disciple
06. Survival Of The Fittest
07. Black And White And Red All Over
08. Down For Life
09. Chamber Spins Three
10. Retribution
11. Five Blocks To The Subway
12. We’Re Only Gonna Die (Bad Religion cover)
13. Love Denied
14. Wrong Side Of The Tracks
15. Punishment
16. How It Is
17. Hold My Own