L’annuncio di questa data, la scorsa primavera, era stato accolto con un mix di stupore, gioia, goliardica ilarità, ma anche qualche perplessità: l’Arena Alpe Adria non sembra aver mai ospitato concerti metal (se escludiamo una performance degli Slayer nel 2016) ed è invece storicamente associata alla kermesse televisiva del Festivalbar, la celebrazione della musica commerciale internazionale per eccellenza.
Questa volta, però, la rinomata località di mare del basso Friuli non ospita artisti pop, né tormentoni estivi, bensì l’unica data italiana del “Return To The Raven Realms – Summer Tour 2024”, nel quale Olve ‘Abbath’ Eikemo ripropone vecchi e nuovi classici degli Immortal, a quasi dieci anni dalla sua separazione dal progetto, rimasto da allora nelle sole mani di Harald ‘Demonaz’ Nævdal.
A rendere ancora più ghiotto il piatto troviamo i Deicide di Glen Benton, e anche in questo caso si tratta della sola tappa nella nostra penisola per il gruppo americano, che sceglie di puntare su una scaletta molto old-school, nonostante il giusto spazio dedicato al nuovissimo “Banished By Sin”.
Si tratta di un’accoppiata (letale) non totalmente inedita, si veda – e si pianga, se troppo giovani per aver potuto partecipare – il bill mostruoso di quel No Mercy Festival datato 2000.
A completare questa scorpacciata black-death troviamo infine Aborted, Nocturnal Depression e Sedna: si tratta dunque di un cartellone di tutto rispetto, per un festival che, nel suo complesso, si è svolto nel migliore dei modi.
Il nostro arrivo in loco è stato estremamente semplice e rapido: nonostante il periodo di alta stagione in quella che è a tutti gli effetti una delle mete più gettonate dai vacanzieri nell’alto Adriatico, l’Arena si rivela facile da trovare e ben servita da parcheggi limitrofi (in parte a pagamento, ma anche gratuiti), probabilmente grazie alla relativa lontananza dalla spiaggia.
Attendiamo l’apertura cancelli in un bar antistante ed entriamo poco dopo un primo gruppo di fedelissimi: l’Alpe Adria si rivela una bella location, immersa nel verde della pineta e molto ben tenuta, con una zona merchandise esterna all’arena concerti e una zona coperta che ospita i servizi igienici.
Lo spazio dell’arena è molto ampio (con una capienza massima di circa 3000 persone) e le tribune offrono da subito la possibilità di godere di un po’ d’ombra – senza per questo perdere di vista il palco – opzione che si rivela assolutamente salvifica in questo torrido pomeriggio di inizio agosto.
Dopo questo lungo ma doveroso preambolo andiamo a vedere nel dettaglio le esibizioni.
Sono le 17:30 spaccate (o forse addirittura qualcosa prima) quando i SEDNA danno ufficialmente il via all’evento: i ragazzi romagnoli, capitanati dal frontman Alex Crisafulli, attaccano con il loro post-black metal fortemente atmosferico, sempre più venato di ambient e sperimentazione, come indica l’EP “Last Sun” – uscito un paio di anni fa – la prova discografica più recente di una formazione che negli ultimi mesi ha visto alcuni avvicendamenti, con l’ingresso di Rolando Ferro alla batteria e il giovane Pietro Gessaroli al basso (quest’ultimo alla sua prima apparizione live come turnista).
Nonostante questa instabilità il gruppo cesenate ultimamente ha suonato parecchio live – soprattutto nel Nord Italia – particolarmente in piccoli e medi club, dimensione che ci sembra la più congeniale ad una proposta riflessiva e in buona misura intimista come la loro.
In questa data friulana i ragazzi hanno una difficoltà in più, fisiologica e scontata, ma che non possiamo non citare: il sole. In questa bella giornata estiva, che non registra neanche un velo di nubi (dato in realtà complessivamente fortunato, considerando l’ondata di maltempo che ha colpito a macchia di leopardo il Nord-Est nei giorni precedenti e successivi) i Sedna fanno comunque tutto il possibile per restituire un’esibizione intensa ed emotivamente coinvolgente, cercando di unire l’effetto quasi lisergico delle loro distorsioni a quello provocato dalle alte temperature.
I presenti, ancora non moltissimi, ma comunque in buon numero, sembrano riconoscerlo e seguono il concerto, chi stoicamente in transenna, chi seduto all’ombra della tribuna ovest, chi ancora cercando il refrigerio di una birra fresca.
Rispetto a quest’ultimo punto riscontriamo delle criticità – in pratica le uniche che possiamo lamentare – a causa di un servizio un po’ lento (che potrebbe risultare problematico in occasione di un riscontro di pubblico da ‘tutto esaurito’). Un discorso simile si può fare per il cibo, affidato ad un unico stand situato nell’area verde che precede la struttura: anche qui offerta limitata e prezzi arrotondati verso l’alto per cibi e bevande, come spesso accade in queste occasioni.
Attorno alle 18:20 è il turno dei NOCTURNAL DEPRESSION che soffrono come – e forse più dei Sedna – calura e sole cocente, vista la proposta intrinsecamente opposta all’idea di divertimento estivo, tintarella e mojito alla mano.
I francesi, rappresentati come sempre dall’inossidabile Lord Lokhraed (all’anagrafe Cédric Giordani) si presentano sul palco con una line-up che come sempre parla italiano, con Alessandro Coletta (Tulpa, Mother Augusta) alla chitarra solista e Alessandro ‘Algol’ Comerio (Forgotten Tomb, Hiems, Kirlian Camera) dietro le pelli.
La band presenta un set che punta a coprire il più possibile la propria vasta discografia, dando spazio a classici quali “Nostalgia”, sorretta da un riff ultramelodico ed ossessivo, la semi-ballad “Her Ghost Haunts These Walls” e il lungo inno, dai toni perfino epici, “Hear My Voice, Kill Yourself”. C’è spazio anche per un’anticipazione, un pezzo tratto dal prossimo disco dei transalpini – in uscita a settembre – che si rivela in linea con il sound ormai tipico del gruppo, nerissimo ma allo stesso tempo romantico e ‘catchy’.
Lord Lokhraed è un frontman esperto e spigliato che – complici le origini italiane – non ha problemi a comunicare con il pubblico direttamente nella nostra lingua: nonostante la proposta del gruppo sposi in pieno il depressive black metal, il cantante e chitarrista scherza in modo goliardico con i fan e dimostra come sempre energia e dedizione.
Niente di nuovo sotto il sole (è proprio il caso di dirlo) ma una solida conferma per una band ormai storica, premiata da un pubblico che – per quanto ancora non foltissimo – dimostra di conoscere e apprezzare il loro black metal struggente e malinconico.
Con il successivo cambio palco registriamo anche un deciso cambiamento di registro e sonorità, che virano prepotentemente verso il death più brutale; a spazzare via le atmosfere tenebrose e sofferte ci pensano gli alfieri del grindcore/death ABORTED, anche loro guidati da un frontman – il belga Sven de Caluwé – che è l’unico membro fondatore rimasto in formazione. La band fa base nelle Fiandre ma la sua line-up è internazionale, per un quarto islandese e per metà statunitense, in linea con un approccio al death metal di stampo molto americano che da sempre contraddistingue i lavori del combo.
Si tratta di un’esibizione molto attesa dal pubblico (abbiamo visto in giro diverse magliette con il logo della band), che comincia ad infoltire le proprie schiere: sono circa le 19:20 quando attaccano col loro death tecnico e intriso di riferimenti sonori e visivi ai film horror: segnaliamo a questo riguardo che i belgi saranno gli unici oggi a portare sul palco un minimo di scenografia, nella fattispecie dei modelli anatomici di scheletri insanguinati posti in teche di vetro e un banner che raffigura la copertina dell’ultimo album, il recentissimo e fortunato “Vault Of Horrors”.
E proprio a questa nuova uscita è dedicata una parte importante della scaletta, con ben cinque brani estratti – “Brotherhood Of Sleep”, “Death Cult”, “Deadbringer”, “Infinite Terror”, “Insect Politics” – che fanno bella mostra di sé: gli Aborted hanno, nel corso degli anni, progressivamente aperto il loro stile ad influenze più moderne e in buona misura più melodiche (ovviamente il termine è da prendere con le dovute proporzioni del caso), con risultati sempre convincenti.
Rispetto alla setlist segnaliamo l’esecuzione di una ‘chicca’ (il singolo “Bathos”), e “The Saw And The Carnage Done” quale unica rappresentante degli albori della band, che non si spinge fino ai primi due lavori della loro corposa discografia.
Inutile dire che il pubblico li segue, parte il mosh-pit e anche un wall of death, incoraggiato da Sven, frontman energetico e dedicato. Gli Aborted si dimostrano in piena forma e regalano un’ottima prestazione, divertente ed apprezzabile anche da chi non è così avvezzo a certe sonorità.
Il tempo di mangiare qualcosa ed è giunta l’ora di ascoltare quelli che possiamo considerare tranquillamente come i co-headliner della serata. I DEICIDE sono un’istituzione del death metal americano nonostante la qualità dei loro lavori in studio sia stata altalenante, a partire dal nuovo millennio, a causa degli avvicendamenti alle chitarre dopo l’allontanamento dei fratelli Hoffman, e in buona parte per una stanchezza compositiva quasi fisiologica per una formazione in pista dal 1989.
Sono quasi le 20:30 quando i quattro musicisti di Tampa attaccano con “When Satan Rules His World”, primo brano pescato da “Once Upon The Cross”, che comincia a scaldare i motori di quella che sarà un’esibizione dall’impatto devastante.
Infatti – nonostante la scaletta si dimostri da subito di livello e non si possa dire che i floridiani sbaglino qualcosa – occorre lo spazio di qualche canzone perchè Benton e soci carburino completamente trasformandosi in macchina assassina. Per la precisione sembra che l’incremento di compattezza e intensità vada di pari passo con il calare delle tenebre: via via che il pomeriggio lascia (finalmente) il posto alla sera, la malignità si diffonde nell’aria.
Glen Benton – padre-padrone e personaggio controverso – appare in ottima forma, e la band snocciola classici inframezzati da brani più recenti: ben quattro gli estratti dall’iconico debutto, tra i quali è impossibile non citare “Dead By Dawn” e “Sacrificial Suicide”; “Once Upon The Cross” è una gioia per le orecchie, così come “Satan Spawn, The Caco Daemon”.
Come annunciato in precedenza, c’è spazio anche per un assaggio del nuovo nato in casa Deicide, quel “Banished By Sin” che ha suscitato opinioni (molto) contrastanti ma che in generale sembra aver ottenuto una risposta più che buona di pubblico. Le varie “Bury The Cross… With Your Christ”, “From Unknown Heights You Shall Fall” e “Sever The Tongue” non sono sicuramente al livello di una “They Are The Children Of The Underworld” o “In Hell I Burn”, ma bisogna dire che si inseriscono piuttosto bene in una scaletta che tributa in modo particolare la prima – inarrivabile – tripletta discografica.
A parte il rammarico personale per la scelta di snobbare completamente l’ottimo “Serpents Of The Light”, disco al quale siamo legati anche per questioni anagrafiche, il risultato complessivo è più che soddisfacente: gli americani non si perdono un secondo in chiacchiere, macinando odio iconoclasta – magari un po’ puerile e non più così genuino ma comunque d’impatto – in salsa death metal dall’inizio alla fine del set, senza fare prigionieri e anzi ribadendo chi è ancora al comando, passi falsi discografici o meno, poco importa.
Setlist Deicide:
When Satan Rules His World
Carnage in the Temple of the Damned
Bury The Cross… With Your Christ
Behead The Prophet (No Lord Shall Live)
Once Upon The Cross
From Unknown Heights You Shall Fall
Sacrificial Suicide
Satan Spawn, The Caco-Daemon
In Hell I Burn
They Are The Children Of The Underworld
Sever The Tongue
Scars Of The Crucifix
Dead By Dawn
Homage For Satan
Oblivious To Evil
È ormai definitivamente calato il buio sulle nostre teste quando assistiamo al cambio palco più ‘corposo’, che scopre per la prima volta la batteria di Ukri Suvilehto; la band di ABBATH sarà infatti la sola a godere dell’intero palco, che anche questa volta rimane però quanto mai spoglio e minimale: alle spalle dei musicisti si staglia semplicemente un profilo di monti innevati, su fondo bianco.
È questa la cornice glaciale che accoglie, poco prima delle 22:00, il massiccio frontman, il quale fa il suo ingresso sulla scena con face painting e ‘armatura’ d’ordinanza, non prima di aver rivolto un saluto a chi, scorgendolo uscire dal backstage, lo chiama a gran voce.
Olve ‘Abbath’ Eikemo non ha bisogno di presentazioni: quello che ci preme sottolineare è però l’importanza (gigantesca) dell’Abbath-musicista a fronte dell’Abbath-personaggio, dato che quest’ultimo aspetto ha in parte oscurato il valore artistico e la credibilità di uno dei protagonisti più influenti e talentuosi del black metal mondiale.
Da parte nostra non ci sono dubbi, avendo avuto già avuto modo di vedere la band brillantemente in azione qualche anno fa, quando aveva portato sul palco brani tratti dall’omonimo debutto e dal successivo “Outstrider”, unitamente ad una manciata di canzoni tratte principalmente da “Sons Of Northern Darkness” (più “Warriors”, recuperata a sorpresa dall’unico album uscito sotto il moniker I).
Con questo “Return To The Raven Realms Tour” Olve ha scelto invece di proporre un set composto interamente da pezzi scritti con Demonaz durante il loro lunghissimo sodalizio negli Immortal. Neanche a dirlo, sono tutti classici, a partire da quella “Mount North” scelta per aprire le danze – o forse sarebbe meglio dire la spedizione tra i ghiacci. “All Shall Fall” è stato l’ultimo contributo di Abbath agli Immortal, dal quale il musicista norvegese sceglie tale pezzo estremamente rappresentativo, dinamico, complesso eppure ricco di quelle melodie freddissime che hanno trovato spazio sempre più ampio nella seconda parte della discografia del combo.
Da qui in poi è – chiaramente – un ulteriore tuffo nel passato, con parecchi pezzi a rappresentare il già citato e granitico “Sons Of Northern Darkness”, a partire dalla title-track, le ‘scontate’ “One By One” e “Tyrants” (il cui riff ci rimarrà stampato in testa per i giorni a venire) e la lunga e belligerante “In My Kingdom Cold”. È un Abbath graffiante, ruvido e preciso quello che ci troviamo di fronte, che non rinuncia a scherzare con il pubblico improvvisando un piccolo siparietto nel quale mette in scena le sue celebri mosse, tra le quali il ‘passo del granchio’, suscitando il divertito apprezzamento del pubblico.
Questione di pochi secondi, utili a dimostrare che il frontman è capacissimo di essere autoironico, poi si torna con prepotenza al black metal.
Il viaggio nel passato arriva fino a toccare il selvaggio debutto, con una “Call Of The Wintermoon” che strappa un boato di soddisfazione tra i presenti; il Nostro si trasforma in Abbath Doom Occulta anche per omaggiare un altro caposaldo dei primi anni ‘90, il feroce e tempestoso “Pure Holocaust”: “The Sun No Longer Rises” è una bellissima sorpresa che arriva in un finale di scaletta davvero da palpitazioni, tra il capolavoro di epicità che è “Withstand The Fall Of Time” – uno dei momenti più emozionanti della serata – e un’altra scheggia di ghiaccio antico, quella “Blashyrkh (Mighty Ravendark)” che regala un brivido finale agli astanti, omaggiando l’iconico “Battles In The North”, con quel finale che è l’essenza stessa della rigida epicità nordica, minimale e devastante.
È il sigillo perfetto per una serata che rimarrà impressa per sempre nella memoria di chi c’era, perché il ghiaccio può bruciare anche e più del fuoco.
Setlist Abbath (performing Immortal):
Mount North
Sons Of Northern Darkness
Norden On Fire
The Call of the Wintermoon
One By One
Damned In Black
In My Kingdom Cold
Tyrants
Withstand The Fall Of Time
At The Heart Of Winter
The Sun No Longer Rises
Blashyrkh (Mighty Ravendark)