A cura di Francesco Mazza
A Parigi per lavoro, chi scrive non si lascia scappare la data francese di uno dei tour più chiacchierati (a torto) degli ultimi anni. Ci si avvicina al palazzetto di Bercy con qualche perplessità. Intendiamoci, non ci toccano i post dei “Portnoy di turno”, che mettono in dubbio la reunion in questione: primo pezzo su Metalitalia.com, bisogna “presentarsi”. Veniamo dal punk hardcore e quindi viviamo al musica in maniera abbastanza partigiana. Il confronto questa sera sarà con i Black Sabbath del Monsters of Rock del 1992. Reggio Emilia. Dehumanizer tour. Iommi, Butler, Dio, e diremmo Appice alla batteria. Portnoy, quelli erano i Black Sabbath? Per la nostra generazione (1972) no. Quel Monsters of Rock ce lo ricordiamo tutti come il Monsters of Rock dei Pantera. E quel Monster of Rock finiva trionfalmente con il trittico “This Love”, “Fucking Hostile” e “Cowboys From Hell”. Dopo tutti a casa. Chiaro il pensiero?
UNCLE ACID & THE DEADBEATS
Causa impegni lavorativi di cui sopra, riusciamo ad entrare nel parterre del POP (lo chiamano così, da queste parti) con i supporter a metà del loro set. Non pensiamo quindi sia corretto sbilanciarsi in giudizi troppo professionali. Il loro psycho-doom è divertente, ma troppo “carino” per il nostro palato forte. Come sempre, ci viene di gran aiuto il loro ufficio stampa. Nel descrivere la proposta dello Zio Acido e della sua crocchia, il management di turno scomoda i PRIMI Alice Cooper, i PRIMI Stooges ed i PRIMI (e BASTA!) Black Sabbath. Bene, in tutto questo ben di Dio noi ci ritroviamo solo nei PRIMI Alice Cooper… hanno gli stessi vestiti vintage. Abbiamo quindi una ventina di minuti per guardarci attorno e toglierci alcune perplessità di cui sopra. In quantità, lo spettacolo non è dei migliori. La prima sorpresa? I biglietti sono ancora in vendita. Ci sono dei settori (la tribuna di fronte al palco) che sono desolanti. Il problema quindi non è tanto “Black Sabbath sì, Black Sabbath no”. Il problema è “Parigi sì, Milano no”. Punto. Uncle Acid & the Deadbeats, con l’ennesimo pezzo dedicato a Charles Manson (originali!), non riescono proprio a portar via i nostri brutti pensieri: Milano fuori dalla mappa dei grandi concerti… la povera gestione dei grandi (e piccoli) eventi… il controllo dei volumi… la burocrazia… fortuna che in qualità il pubblico è quello delle grandi occasioni. Bella gente, trasversale in età ed estrazione. Ci ritorna il sorriso, pronti per il main act.
BLACK SABBATH
Il cambio palco più veloce della storia (15 minuti, mai visto), e la sguaiata voce di Ozzy squarcia il buio del palazzetto. “War Pigs”: pelle d’oca. Per continuare nei “confronti impossibili” qui si torna ancora una volta al ’92, marzo, Ozzy al Rolling Stone. Love/Hate di supporto. Zakk Wylde alla chitarra. L’album era “No More Tears”. Per molti quello è il miglior Ozzy di sempre. Resuscitato dalla perdita di Randy Rhodes… ritrovata vena creativa e spalla (braccio destro) di livello. Nei primi tre pezzi (confrontate le scalette su setlist.fm) non si contano le stecche. Come allora, goffo… e assolutamente fuori forma. Oggi anche meno dinamico, e con molte più rughe (il megaschermo non tradisce). Ma non stiamo parlando di Iggy Pop , nè di Robert Plant. A noi Ozzy piace così. La sua voce disturbante e la sua attitudine da hooligan caciarone sono le stesse (secchiate d’acqua su pubblico e su se stesso, per dire un suo classico), come l’aura nera che lo sosterrà per le due ore del set (non l’avremmo mai detto). Di Butler e Iommi è stato detto e scritto tutto. Difficile aggiungere qualcosa, e quindi andiamo sul personale. Per chi è pratico, pensiamo al freeride. Parliamo di rampe di ghiaccio lunghe una quarantina di metri… di discese folli a sessanta chilometri all’ora per prendere il salto giusto… gente in aria, che vola a dieci/quindici metri dal suolo… ¾ secondi di evoluzioni ad una difficoltà estrema, con una naturalezza extraterrestre. Per me tutto questo è “Butler e Iommi”. Certo, 30 anni fa avevano più incoscienza ed ingenuità, ma oggi hanno più esperienza e mestiere. E’ un problema? Butler è il vero “man in black” dei quattro, non tradisce un’emozione-una. Iommi, forse causa malattia, risulta più umano del ’92: sorride spesso, “contento” della devozione che tutto il pubblico gli dimostra. Tommy Clufetos è l’unico che deve dimostrare qualcosa a qualcuno, e quindi decide di impostare il suo set su atleticità e velocità. Direi che fa bene: è il suo campo… sono specialità in cui gli eventuali competitor sono gente tipo Bordin, non certo il buon Ward.Una manciata di canzoni per rappresentare l’opera omnia del gruppo di Birmingham è una sfida impossibile. Quindi dibattere su “cosa mi sarebbe piaciuto”, su “cosa non mi è piaciuto” e ragazzinate del genere ci sembra una perdita di tempo. E’ un fatto che i Nostri abbiano dato il giusto spazio ai classici (“Snowblind”, “NIB”), a “13” (“God is Dead”, “Age of Reason”), ad album minori (“Dirty Woman”) e agli assoli (Butler e Clufetos). Ultime note di cronaca: il palazzetto alla fine si è riempito. Il suono era ottimo, ma suoi volumi si poteva osare qualcosa in più. In conclusione, il biglietto per Bologna lo compriamo… se per i nostri cugini francesi il buon Ozzy ha speso più spesso la parolina “LOUDER”, siamo sicuri che dalle nostre parti non farà che ripetere la sua formula magica: “WE LOVE YOU ALL”.