03/12/2016 - BLACK WINTER FEST IX @ Colony Club - Brescia

Pubblicato il 12/12/2016 da

Report a cura di Edoardo De Nardi

Giunto ormai alla sua nona edizione, il Black Winter Fest decide di giocarsi il tutto per tutto, sfoderando un poker d’assi d’eccezione per questa annuale rassegna che riunisce in un unico evento varie sfaccettature di metal estremo, tutte unite in qualche modo da una generale radice black metal che funge da sempre come trait d’union tra le varie edizioni fino ad oggi organizzate. Vedere in un’unica serata nomi grossi come Possessed, Absu, Belphegor e Craft, accompagnati da opener di primo livello come Nocturnal Depression e Kurgaal, ha rappresentato un’occasione fin troppo ghiotta per presenziare per un grande numero di persone, che hanno affollato con entusiasmo le sale del bresciano Circolo Colony. In questa serata, molte sono state le soddisfazioni regalate dalle band sul palco, mentre poche o nulle sono le critiche che possiamo muovere a questo Black Winter Fest: in definitiva insomma, un trionfo del metal più feroce ed annerito, celebrato con trasporto da tutti i presenti convenuti.

 

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NOCTURNAL DEPRESSION

Per alcuni ritardi durante il viaggio, riusciamo giusto in tempo ad assistere all’entrata sul palco dei Nocturnal Depression, che ammantano l’atmosfera della loro celebre e fosca negatività, lasciando agli avventori già presenti da qualche ora il piacere di aver potuto visionare le band che li hanno preceduti (Veratrum, From Hell, Cold Raven, Kurgaall e Darkend). Chiunque abbia mai assistito ad una performance dei francesi conosce benissimo la tensione viva, palpabile, che trasmettono malsanamente nel riproporre le loro canzoni, e possiamo confermare anche stasera il feeling disagiante che ormai li contraddistingue, segregato all’interno di un depressive black metal catatonico che non lascia vie di scampo nel suo evolvere. Talvolta il ritmo lento ed oppressivo delle canzoni fa scorgere degli spiragli di varietà, rappresentanti da fughe in mid-tempo che alzano l’attenzione generale, prima di sprofondare nuovamente nelle disperate dissonanze della chitarra e nei lamenti belluini di Lord Lokhraed, vero emblema della sofferenza fisica e mentale da sempre decantata dalla band. Grazie forse ad un clima generale piuttosto acceso, sembra che stavolta i Nocturnal Depression nutrano una qualche forma più marcata di empatia con il loro pubblico, evidenziata da alcuni scambi che il frontman dedica alle prime file; ma si tratta solamente di tracce isolate e circoscritte in una marea di sconforto che poche band riescono a trasmettere così nitidamente in sede live. Quale antipasto per i grandi nomi del cartellone, i blackster francesi si sono dimostrati quindi ottimi interpreti del proprio ruolo, e senza snaturare la loro attitudine hanno dimostrato la capacità di adattarsi a situazioni meno intime e raccolte del loro solito.

CRAFT
Se in passato non è mancata l’occasione di vedere le band precedenti abbastanza frequentemente su suolo italiano, lo stesso discorso non è certo applicabile ai Craft: da sempre molto discusso per la loro attitudine, i loro testi e le loro ambigue ideologie, il gruppo svedese ha spesso preferito la dimensione studio rispetto a quella live, centellinando le sue presenze on stage e creando quindi un vero alone di culto intorno alle serate che li ospitano, confermando anche stasera questo dato con i numerosi presenti accorsi all’annuncio della loro prima esibizione italiana in carriera. A colpire subito l’attenzione è lo stile scarno ed essenziale, soprattutto a livello estetico, con cui si presentano, puntando poco o nulla sull’impatto scenico e concentrandosi invece sulla malefica evocazione della loro musica. Anche i suoni, taglienti e graffianti, creano reazioni stridenti nel pubblico, risultando nel complesso quasi fastidiosi all’ascolto, ma assolutamente imprescindibili nella qualità delle canzoni scelte per la scaletta. Gli estratti dai vari album si susseguono vincenti ed incalzanti, aumentando le dinamiche e passando dalle radici prettamente classiche degli inizi ai guizzi black’n’roll meno datati, regalando sommariamente uno sguardo più che esaustivo sulla loro discografia. Il tempo a disposizione non è poi molto, o passa forse più rapidamente del dovuto, fatto sta che si arriva alla fine dell’esibizione in un baleno, riprendendosi improvvisamente dal limbo di odio e devastazione nel quale i Craft ci hanno calato magistralmente; Nox, alla voce, si dimostra come una presenza magnetica e trascinante, capace di rubare l’attenzione ai suoi compagni e trasudare con veemenza la totale dedizione alla causa del black metal che i Craft supportano senza riserve da quasi due decenni.

ABSU
Anche quella degli Absu è una prova che aspettano in molti: il black metal occulto a tinte epiche e fantasy del trio texano è entrato di diritto nella storia del genere sin dai primi anni ’90, continuando ad alimentare la devozione dei fan a suon di album spettacolari e dall’inventiva sempre sopra le righe; il fatto poi che anche loro non amino imbarcarsi costantemente in lunghi tour promozionali non fa altro che rendere questa prestazione una gemma ancora più preziosa incastonata nel malefico diadema del Black Winter Fest. La presenza scenica è da subito incendiaria, coinvolgente, e le movenze senza requie del folle Proscriptor McGovern sembrano contagiare immediatamente la platea, che si sfoga in un pogo tanto liberatorio quanto violento, mai completamente sopito lungo tutta la scaletta degli americani. Il tasso tecnico si eleva notevolmente rispetto a quanto sentito fino ad adesso e risalta maestosa la grande capacità melodica degli arrangiamenti e l’estrema precisione con cui si passa agevolmente da un momento all’altro delle incantate composizioni del power trio, che sembra trarre sempre più energia dallo scambio continuo che si instaura con il loro pubblico. Si passa da “Swords And Leather” a “The Sun Of Tipharet”, da “Prelusion to Cytraul” a “A Shield With An Iron Face” con un groppo alla gola, tanta è l’emozione nel sentire riprodotte con infallibile maestria alcune delle canzoni più belle degli Absu, baciati da uno stato di grazia stasera evidente e sotto l’occhio di tutti. Le sei corde di Vis Crom macinano senza pietà un riff dopo l’altro, mentre Gunslut dietro le pelli, pur con qualche azzardo qua e là, trasporta la band e sorregge i beat quasi sempre sostenuti con precisione ed esperienza, donando complessivamente una compattezza forse nemmeno auspicabile da una band thrash/black di questo tipo. A conti fatti, si è trattata di una evocazione occulta suggestiva e dal grande spessore artistico, realizzata da uno dei gruppi ancora più famelici e credibili che la ‘vecchia’ scena americana possa considerare, spalleggiati probabilmente solo da un altro dei grandi protagonisti della serata: i Possessed.

BELPHEGOR
Si cambia decisamente registro con l’arrivo dei Belphegor sul palco del Colony. Lo stile quadrato e stringente del gruppo infatti, da sempre preponderante verso il versante death, suona finora inedito rispetto al bill che presenta la serata, donando un carattere ancora più stentoreo alla prestazione di Helmuth e dei suoi uomini. Sembra che anche l’act austriaco abbia preponderato una scelta dei pezzi oculata e non troppo incline alla sola aggressività contenuta in alcuni suoi brani, aumentando invece l’enfasi degli sporadici momenti atmosferici che ne arricchiscono altri ed allineandosi parzialmente al trend della serata pur mantenendo ben evidente il proprio inconfondibile stile. Le rapide incursioni in tremolo picking alternate a dei veri muri di suono eretti dai riff delle chitarre si stagliano con violenza all’interno del locale, esaltando la grande perizia tecnica di cui è capace il gruppo nei suoi momenti migliori. La velocità generale è elevatissima, sorretta dalla prova inumana alla batteria del giovane e promettente Bloodhammer, dinamico nei momenti di quiete e spietato nei rapidissimi assalti in blast beat contenuti specialmente nei più vecchi estratti dalla discografia della band, apprezzati con gusto da molti dei presenti. Sui nuovi pezzi invece la tensione cala leggermente a causa di un utilizzo esagerato del mid-tempo e di ritmiche più groovy ed accattivanti, elementi su cui i Belphegor insistono molto nelle ultime fatiche in studio ma che sembrano poco amalgamarsi con la brutalità, seppur melodica, che ha reso grandi gli album del passato. Helmuth è ormai un frontman scafato e perfettamente a suo agio nel suo ruolo, presenza dal forte carisma che incanta le prime file e mantiene ben salda l’attenzione della sala ed autore di una prova vocale non certo sopra le righe, ma ben calibrata nel suo utilizzo lungo la scaletta. I Belphegor, oggi, hanno probabilmente perso parte della becera bestialità che li contraddistingueva un tempo, a favore però di una grande professionalità e di una presenza scenica sicura ed esperta, elementi che hanno fatto guadagnare agli austriaci uno status di invidiabile rispetto da parte di tutta la scena metal, in virtù anche della potenza schiacciante di prove live come queste.

POSSESSED
Si respira una certa apprensione nell’aria non appena la strumentazione e le grafiche dei Possessed vengono sistemate sul palco per la loro esibizione: non è certo un mistero che ogni calata in Italia degli americani sia un vero e proprio evento per ogni appassionato della musica estrema degli anni ’80, ed anche stavolta l’appuntamento è stato rispettato dai fedelissimi fan accorsi da tutta Italia. Stilisticamente, si torna indietro nel tempo di quasi trent’anni, ovvero a quello forma primordiale di death/thrash metal che “Seven Churches” ha indelebilmente segnato nella storia della musica estrema, un caposaldo imprescindibile divenuto icona di riferimento ed ispirazione per intere successive generazioni di musicisti ed ascoltatori. L’ingresso sul palco di Becerra viene accolto con grande calore ed entusiasmo dalla platea, che trasferisce da subito verso il frontman un’energia dilagante che verrà sprigionata nel corso di tutta la loro indiavolata prova. Fuoco alle polveri quindi, e “Pentagram” fa esplodere l’estasi generale in un violento movimento sotto palco, dando il tempo a fonici e musicisti di mettere a punto al meglio l’impianto sonoro ed i volumi per il resto dell’esibizione. “Beyond The Gates” e “The Eyes Of Horror” vengono omaggiati rispettivamente con le due titletrack di queste release, mantenendo alto il ritmo e permettendo alla voce di vomitare con impeto e rabbia le liriche indemoniate delle canzoni. Giunti circa a metà della scaletta, c’è il tempo per soffermarsi ad ammirare la grande competenza di Gonzales negli scambi tra ritmiche ed assoli, nonché il forte affiatamento con la sezione ritmica Cardenas/Marquez, dove emerge con grande chiarezza l’unità di intenti che lega tra di loro gli attuali membri di questa line-up dei Possessed. Una quartina finale da infarto, comprendente “The Exorcist”, “Fallen Angel”, “Evil Warriors” e la conclusiva “Death Metal”, impedisce di trovare falle o sbavature in una scelta dei pezzi magistrale, senza considerare l’attitudine genuina, per niente artefatta, con cui questi ragazzi si rapportano ancora alla loro musica. Oltre che simbolo di caparbietà e ferrea volontà, Jeff Becerra incarna senza ombra di dubbio lo spirito più intransigente e senza compromessi del metal underground e ci sentiamo per questo di ringraziarlo insieme ai suoi Possessed, per ricordare ancora, anche stasera, quali siano le indimenticabili radici su cui si basa e di cui si nutre ampiamente l’intera scena odierna.

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