30/11/2019 - BLACK WINTER FEST XII @ Campus Industry Music - Parma

Pubblicato il 12/12/2019 da

Report a cura di Giovanni Mascherpa
Fotografie di Benedetta Gaiani

Giunge alla sua dodicesima edizione il Black Winter Fest e lo fa nella cornice del 2018, il Campus Industry Music, location sempre più gettonata per eventi metal di ogni tipo. Il festival black metal di casa Nihil regge bene allo scorrere del tempo e delle mode, annoverando, come ogni anno, un lotto di band importante, che passa in rassegna l’underground regalando esibizioni rare e legate in fondo a una comune radice black metal d’altri tempi. Poche e contenute le sperimentazioni e gli intrufolamenti di elementi esterni a quanto fatto crescere e tumultuare a inizio anni ’90, per quanto il bill si presenti variegato pur all’interno di un canovaccio rigoroso e tetragono. L’affluenza, rispetto all’edizione passata, è notevolmente inferiore e non si arriverà neanche lontanamente ad avere il locale pieno. D’altronde non è semplice, con una scelta di gruppi per affezionati sostenitori di sonorità truci e per nulla inclini ad aprirsi al mondo, guadagnare una platea particolarmente popolata; e quest’anno, complessivamente, i nomi sono lievemente di minore richiamo di quelli del 2018. Poco male, gli assenti hanno sempre torto e chi è arrivato a popolare questo angolo periferico di Parma ha potuto godere di performance solide e passionali, con alcuni momenti sopra la media, collocati nella fase finale della manifestazione, quando sono scesi in campo i pesi massimi.


IMAGO MORTIS

Ultima aggiunta all’elenco di mortale devastazione, subentrati ai defezionari Handful Of Hate, gli Imago Mortis portano in scena uno spettacolo scarno e primordiale. Old-school è in questo caso un appellativo speso non a caso, nulla tradisce il fatto che siamo nel 2019 e che il black metal ha subito un’infinità di commutazioni e mescolanze da quando è nato. Il trio non ha materiale fresco da proporre, ma poco importa e si muove sicuro e arcigno attraverso formule semplici, sprint rapidi in altalena tra proto-black metal e le prime mosse del genere, con qualche spezzone occulto e vagamente epicheggiante a rompere l’assedio. Prestazione sudata e vigorosa quella della band, che ha già i suoi bei estimatori a sostenerla. Energia e impeto non mancano, i suoni per loro sono sufficienti anche se piuttosto grezzi, circostanza che non influisce granché sulla resa complessiva. Non si colgono particolari picchi emotivi né discese nel pressapochismo, gli Imago Mortis si difendono egregiamente, volenterosi e appassionati diffondono le loro fragranze mortuarie e strappano applausi ai cultori della materia.

SELVANS

Netto cambio di scenario per la comparsa dei Selvans, la formazione meno ‘true’ in cartellone. Centro delle operazioni è l’istrionico singer Selvans, che brandisce un fiasco di vino ad affermare con forza e, concedetecelo, involontaria indole macchiettistica, la sua provenienza abruzzese. La line-up è stata ampiamente stravolta negli ultimi tempi, l’unico membro effettivo è proprio Selvans stesso, attorniato da diversi session arruolati per i soli live. L’intesa comunque non pare far difetto, i musicisti non mostrano il fianco ad accuse di poca coesione o approssimazione e il deflagrante impatto sta al pari delle facinorose visioni degli altri gruppi di giornata. Se “Faunalia”, piccolo capolavoro di arte nera, si è distinto per l’originale commistione di black metal, folk di una ruralità tipica delle terre di provenienza di Selvans e spunti cari alla tradizione dark italiana, il concerto del Campus prende sembianze normalizzate e aderenti quasi interamente a canoni black metal. Questo ridimensiona in parte il fascino della band, nonostante l’esecuzione posseduta di dannato fuoco dia buono slancio e atmosfera agli articolati brani. Così, se i primi minuti scorrono via senza grandi sussulti, immergendoci nelle ambientazioni fra il sinistro e il grottesco tratteggiate da questi novelli fauni, il loro talento espressivo può fuoriuscire con maggiore sicurezza sulla distanza, regalandoci l’esibizione più fuori dai canoni della giornata.

 

LUCIFER’S CHILD

Provenienti dalle terre elleniche, i Lucifer’s Child solo a barlumi assai ridotti effondono la speciale carica spirituale di norma associata al black metal di quelle terre. Siamo in presenza di un gruppo che fa di squassanti marce in mid-tempo la sua arma prediletta, all’insegna di un extreme metal che sa di tardi anni ’90 e sporca volentieri di death metal la sua azione. Il fare spavaldo dei musicisti inietta brio tra le prime file: il cantante, emulo in formato ridotto di Robb Flynn (sembianze, pose, modo di arringare il pubblico sono gli stessi, l’altezza è inferiore), ringhia che è un piacere e le sue chiamate al circle-pit portano ai primi scontri di corpi a ridosso dello stage. Tipica espressione di una classe operaia del metal estremo che sa come comportarsi su un palco, pur non avendo da offrire capolavori estasianti, i Lucifer’s Child variano i colpi quel tanto che basta per non far scemare l’attenzione, districandosi disinvoltamente tra un riffing serrato e nevrotico, ritmiche terremotanti e caos controllato. Dove non arriva la qualità dei brani, sopperisce la voglia e la simpatia indotta dalle pose più adatte a un contesto thrash caciarone che a un festival intriso di malignità e orrori. Promossi.

 

MORK

Un’escursione nella Norvegia di una volta, nessun tocco di glamour, nessun abbellimento o addolcimento: è black metal spigoloso e schivo quello dei Mork, usciti quest’anno con il quarto album “Det Svarte Juv” e messaggeri di una cruda misantropia oggi sempre più rara da incontrare. Il face painting, il portamento poco incline all’interazione, la scelta delle luci, si allinea a un pensiero rivolto a sonorità spoglie, dure e indomite, asserragliate in concetti cari a Darkthone, Taake, primi Gorgoroth. Gli schemi compositivi hanno però punti in comune con l’heavy metal puro e l’ostilità nelle corde del genere può prendere forme ritmate, quadrate, senza cedere alla monotonia. Le chitarre dispensano sfumature melodiche di rilievo e fanno scendere un’atmosfera greve e arcana sul Campus. La voce carismatica di Thomas Eriksen non può che incantare chi si abbevera a questi suoni, conduce nel mondo agro della band con sapienza e un senso della misura che tiene ben lontani i Mork dalla sguaiatezza di altri colleghi. È un tormento privo d’estasi quello del quartetto, che sfrutta bene la sua prima calata in Italia per sfoderare uno spettacolo asciutto, rivolto solo e soltanto a suggestionare con null’altro che la musica e una presenza fisica severa nella sua semplicità. Chi desidera black metal norvegese al suo stato più autentico, coi Mork va sul sicuro.

 

KAMPFAR

Passano gli anni, fiumi di sangue scorrono, si invecchia, quel che non muta è la capacità di Dolk di vivere il palco come fosse un campo di battaglia e di interpretare il rapporto coi suoi seguaci come quello che avrebbe un comandante con le sue truppe. I norvegesi arrivano da un altro album pienamente riuscito, “Ofidians Manifest”, ottimo aggiornamento di un sound epico e articolato che ha saputo rinfrescare il black metal delle origini senza sfigurarlo. Dal vivo l’animosità matura della formazione non viene meno, offrendoci un gruppo carico ed entusiasta, guidato dai modi comunque gioviali nell’enfasi guerriera del mastermind. È palpabile il cambio di passo con chi è arrivato prima, c’è un altro piglio a contraddistinguere i Kampfar, che suonano con l’autorevolezza dei leader, bravi nel ricondurre sotto un comune denominatore materiale recente e più datato. La veemenza degli assalti si spezza volentieri in arie arcane, sottolineate dallo stage acting di Dolk, dalle sue movenze colme di rabbia come di piena immedesimazione nei contenuti delle liriche. All’altezza sia nel prevalente screaming che nelle altisonanti incursioni in pulito, il singer trascina una formazione che non conosce cedimenti, magari non così esagitata nell’apparire, però coesa e implacabile nel suonare. Al resto ci pensa la caratura delle canzoni, arte nordica della miglior specie, lezioni di vigoria poetica come solo da quelle terre possono provenire. Una sicurezza.

1349

Dovessimo riassumere con una sola metafora cosa sia un concerto dei 1349, parleremmo di aver assistito a una sparatoria. Di quelle gigantesche, tutti contro tutti, dove si viene investiti da una sete di violenza insensata e incomprensibile, il frastuono ci sovrasta e non esiste via di fuga. Guidati dal drumming incendiario di Frost, prontuario di colpi assassini, cortesemente offerti in un rosario pressoché sterminato di velocità flagellanti, la nient’affatto fredda formazione di Oslo stende per la carnalità sadica della sua proposta. Un’ode al black metal eccessivo e barbaramente sanguinario, che nella vertigine velocistica, nell’affilatezza chitarristica e nel portamento omicida dei musicisti ha i principali motivi di godimento per l’uditorio. Finora incapaci di regalare un lascito discografico da tramandare ai posteri per il suo valore, Archaon e compagni confermano di essere live band da emozioni forti, incline alla tortura vocale e strumentale e all’assenza della benché minima forma di alleggerimento. Meditazioni ed evoluzioni sfiziose non fanno per loro e chi è presente obiettivamente non chiede altro che di essere sbriciolato da una tempesta d’odio, solo lievemente variata nei toni con l’ultimo, solido “The Infernal Pathway”. Non ci sono le grandi canzoni dei Kampfar a puntellare l’oliato meccanismo di morte, ma basta e avanza tutta la mole di devianza che i quattro assommano, incessantemente, per l’intera durata del set. La risposta dei presenti, cresciuti di poche unità dal tardo pomeriggio, è adeguata a quanto vomitato dal palco: solo ceneri in terra dopo il passaggio dei 1349.

 

HELLHAMMER’S TRIUMPH OF DEATH

Cover band di lusso di un combo seminale per la conquista del mondo operata in seguito dal black metal, i Triumph Of Death di Tom G. Warrior rimembrano la storia degli Hellhammer senza incorrere in oltraggi a cotanta storia. Visti quest’estate nella cornice del Brutal Assault, i quattro avevano sì divertito, ma era affiorata anche l’impressione che il loro concerto fosse più un allegro metal party che un omaggio agli albori di un movimento. Diversa la situazione al Campus: la cornice ristretta, la presenza di soli die-hard fan conferisce un clima più aderente a quello che i brani degli Hellhammer necessitano per sprigionare la loro gretta malignità. Così, le varie “Blood Insanity”, “Decapitator”, “Aggressor”, “Messiah”, possono ancora far male, destabilizzare con armi che potrebbero sembrare anacronistiche, eppure che contengono tuttora una velenosità terrificante. In questa veste, Tom. G. Warrior si mostra assai rilassato e divertito, sempre efficace nel suo inconfondibile timbro vocale ma più propenso a un dialogo disteso con chi ha di fronte. I compagni di band svolgono il compito assegnatogli senza sbavature e il trasporto che solo i veri appassionati di questi suoni possiedono. L’esecuzione è allora travolgente e ha punti di grande esaltazione, per un pubblico non foltissimo nemmeno per gli headliner ma ben consapevole di assistere a una lezione di Storia difficilmente ripetibile. Data la durata esigua dei singoli pezzi gli intermezzi sono tirati per le lunghe, circostanza che non avvilisce il valore di uno show ben congegnato e credibile nella sua opera di riesumazione di un venerando passato. Un’altra bella edizione del Black Winter Fest si chiude, il freddo della notte parmigiana ci inghiotte con l’animo un po’ più nero di quando siamo entrati al Campus.

 

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.