Introduzione di Giacomo Slongo
Report di Giacomo Slongo e Alessandro Elli
Foto di Riccardo Plata
18 ottobre 2017: sul minuscolo e sgangherato palco del Blue Rose Saloon di Bresso, alle porte di Milano, degli allora esordienti Blood Incantation portavano per la prima volta in Italia la loro personale concezione di death metal, dando prova dello straordinario talento espresso dall’esordio “Starspawn”, edito un anno prima da Dark Descent Records.
9 maggio 2025: la band di Denver, nel frattempo affermatasi oltre i confini underground con il secondo “Hidden History of the Human Race” (2019), fatto discutere con la parentesi ambient di “Timewave Zero” (2022) ed esplosa definitivamente a livello commerciale con il recente “Absolute Elsewhere” (2024), ritocca il suolo del capoluogo lombardo all’apice della sicurezza e della popolarità, facendo registrare il sold-out in una Santeria Toscana 31 occupata tanto da death metaller con la maglia di Morbid Angel e Nocturnus, quanto da spettatori provenienti da altre regioni della nostra musica preferita (gli stessi che potremmo trovare ad un concerto di Opeth, Ihsahn o Devin Townsend, per intenderci), a riprova di un approccio ormai completamente aperto e trasversale, fra un’ossatura che è – e continua a rimanere – estrema e propaggini sempre più sviluppate nel mondo della psichedelia e del progressive.
Una crescita che, anche dalle nostre parti, consente di avere il polso della situazione su uno dei più interessanti fenomeni metal degli ultimi decenni, il quale – all’hype di cui è stato via via rivestito (basti pensare all’inclusione di “Absolute…” nella Top 10 del celeberrimo Time) – ha puntualmente accompagnato un suono mirabile per audacia, personalità e capacità di rendere fruibile e accattivante ciò che, sulla carta, appare complesso.
Ad accompagnare Paul Riedl e compagni in questa prima tranche di date europee (una seconda è già stata fissata ad ottobre), sulla scia delle mosse coraggiose compiute finora, i krautrocker Minami Deutsch, per una serata che – senza troppi spoiler – possiamo già dirvi essere stata memorabile…
La band chiamata ad aprire la serata sarà probabilmente sconosciuta alla maggioranza dei fan dei Blood Incantation: i MINAMI DEUTSCH sono giapponesi, attivi dal 2014, e il loro moniker non ne chiarisce solo la provenienza geografica (Minami è un quartiere di Osaka), ma anche la loro passione musicale più grande, ossia il krautrock di origine tedesca, tanto che di loro è giusto ricordare l’esibizione al Roadburn 2018 con Damo Suzuki dei Can – tra i pionieri assoluti del genere – in veste di ospite.
In questa occasione, di fronte ad un pubblico già numeroso, la prestazione del terzetto è decisamente convincente, all’insegna di un rock psichedelico che sembra crescere di intensità con il protrarsi dell’esibizione, fra energia a profusione, luci colorate e lunghi brani caratterizzati da ritmiche ossessive e riff ipnotici.
Tra questi, spicca “I’ve Seen a U.F.O.”, nove minuti abbondanti che ci fanno pensare quanto l’affinità tra i nipponici e gli headliner americani non sia da ricercare tanto nella proposta, quanto nelle tematiche spaziali.
Tre quarti d’ora decisamente piacevoli, in attesa dell’attrazione principale della serata. (Alessandro Elli)
Sono le 21.20 quando, in perfetto orario sulla tabella marcia, il sottofondo di sintetizzatori diffuso dall’impianto del locale sfuma a poco a poco, sancendo l’ingresso sul palco dei musicisti statunitensi (con svedese al seguito).
Ad accoglierli, una scenografia parimenti sobria, imponente e allineata al loro concept a base di distese spaziali e cospirazioni aliene, composta da due enormi obelischi (con geroglifici fluorescenti) e da un impianto di luci che, sincronizzato alla musica, farà dello show un’esperienza ancora più curata e immersiva, immergendolo in un’atmosfera tra la serie di libri Urania e il film “Stargate”.
Dettagli che ribadiscono il passaggio di categoria dei BLOOD INCANTATION, il cui immaginario può ora contare su un budget impensabile fino a qualche tempo fa, ma che ovviamente non rappresentano altro che il contorno di una performance di enorme sostanza e straordinaria perizia, in grado di offuscare gli sforzi della stragrande maggioranza delle death metal band contemporanee.
Insieme ad una manciata di altri nomi, il quartetto rappresenta infatti la risposta odierna più credibile ai vari totem degli anni Ottanta/Novanta (Morbid Angel e Death in primis), e anche questa sera impiega davvero poco per ricordare il raggiungimento di tale status ai presenti, sia in termini di carisma che di meticolosità dell’esecuzione.
Complici dei suoni enormi e perfetti, che consentono ad ogni strato della proposta di emergere, l’impatto è fin dai primissimi istanti ineccepibile, con le due anime incluse nell’incipit di “The Stargate” (quella legata all’Azagthoth-pensiero e quella pinkfloydiana) a fluire ora con potenza e mostruosità, ora con tocco fine e sensibile, migliorando se possibile la resa dell’amalgama apprezzabile su CD.
E, senza sorprese, sono proprio le due suite di “Absolute Elsewhere” – la suddetta “The Stargate” e la successiva “The Message” – a costituire la spina dorsale della setlist, con i Nostri a riproporne le articolate sfaccettature (inclusi i tappeti di synth, vista la presenza con loro sul palco di Nicklas Malmqvist degli Hällas) ad occhi chiusi, come se si trattasse dell’operazione più semplice e spontanea del mondo.
Un trasporto totale che, minuto dopo minuto, consente alla premiata ditta Riedl/Faulk/Kolontyrsky/Barrett di esprimere il meglio di sé ad ogni riff e soluzione ritmica, e che non tarda a trasmettersi al pubblico, il quale risponde ai saliscendi umorali dei brani con un’energia che rigetta qualsiasi vicinanza alle dinamiche hipster a cui, suo malgrado, il gruppo del Colorado è stato accostato negli ultimi anni.
Archiviata la parte di show dedicata all’ultimo album (da urlo il finale di “The Message”), c’è quindi spazio per la semistrumentale “Inner Paths (to Outer Space)” e per una digressione effettistica affidata a Malmqvist, prima che “Obliquity of the Ecliptic”, lato A del singolo “Luminescent Bridge”, ponga la parola fine sull’ora e dieci di concerto con la sua coda dal sapore Seventies.
Settanta minuti con lo sguardo perso nelle stelle che, ad otto anni di distanza da quell’ultima apparizione italiana, non hanno fatto altro che sancire la classe innata di una band destinata a fare ancora grandi cose. (Giacomo Slongo)
Blood Incantation Setlist
The Stargate
The Message
Inner Paths (to Outer Space)
Synth Solo
Obliquity of the Ecliptic
MINAMI DEUTSCH
BLOOD INCANTATION