ABEL IS DYING
Presentatisi in formazione ridotta (cantante in villeggiatura?), gli Abel Is Dying partono subito dopo l’apertura cancelli e dispensano mazzate a destra e a manca. Sfortunatamente mancando il contraltare, la dinamica delle voci, caratteristica peculiare della formazione, viene meno, rendendo lo show più piatto del solito – anche se il frontman reduce si butta in mezzo al pubblico per smuovere le acque. Una prova che non rende giustizia a una formazione che ha già dimostrato di essere interessante sotto più punti di vista.
KERNEL ZERO
Al contrario degli Abele Morenti, il quintetto da Salerno Mosh City è in forma smagliante e, coppola in testa, si propone come la risposta italica agli Hatebreed: un sound fatto di violenza diretta e breakdown massicci che fa muovere le teste anche agli headliner che si stanno rinfrescando al baretto open air. Si comincia a fare sul serio anche sotto il palco: al via pogo e violent dance per rendere omaggio ai ragazzi che di chilometri ne hanno fatti parecchi. Una bella sorpresa.
STIGMA
Introdotti dall’hip hop di “Everyday I’m Hustlin'” e guidati da uno degli organizzatori dell’evento, gli Stigma hanno impatto e voglia di fare ma si dimostrano i meno dotati della serata, a causa soprattutto dell’intricata trama melo-death-core che la formazione ha intenzione di proporre, musica che necessiterebbe di una tecnica e una disinvoltura ben maggiore: li ritroviamo ultra-statici e incerti sulle assi del palco, sebbene il frontman tenti di dimenarsi un attimo per movimentare la situazione. Per questo ci si concede un drink, si dà un’occhiata al merch e si salutano gli amici di Myspace.
THE OCEAN
Ocean Eleven, Ocean Twelve, Ocean Thirteen… qualcuno mi spieghi questo collettivo, che chi scrive non ha proprio capito! Ogni volta che si presentano su un palco c’è gente diversa che suona pezzi diversi, sembra di vedere ogni volta un gruppo a sè. Certo, il frontman sembrava una scimmia appendendosi alle travi del palchettoe certo il post hardcore sperimentale e alternativo della band è stato un toccasana dopo tre formazioni di mall-core seriale, ma il senso dell’operazione non traspare in maniera nitida, pur avendo assistito ad un concerto intenso e originale. Chi scrive ha girato anche più volte per il locale in cerca di Angelina Jolie, ma niente da fare. C’è da segnalare che il pubblico ne è rimasto entusiasta, anche se stranamente statico.
THE BLACK DAHLIA MURDER
Bastano pochi minuti per capire che tra i gruppi precedenti e i TBDM c’è un abisso invalicabile: il quintetto di Detroit esplode nella piccola sala del Barrumba ed è impossibile nascondersi, tanto è furioso il death metal che scheggia sugli agitati corpi degli astanti. Trevor si denuda dopo il primo pezzo e regala ai mosher una prova tanto intensa che da metri si può sentire la puzza di sudore. Il resto del gruppo non si risparmia di certo, nemmeno quando le chitarre vengono afferrate – “Se mettete le mani sui manici non riusciamo a suonare!” – e i fotografi si fanno troppo invadenti – “Maledetti paparazzi! Tu, mi hai quasi spaccato un dente con l’obiettivo della tua macchina fotografica!”. Il soffitto metallico è talmente basso che comincia a brulicare di spiderman in pantalone mimetico e cappellino: in molti si aggrappano alla struttura tubolare per non cadere nel vuoto mentre si tenta il crowd surfing e mentre nelle ultime file c’è pure qualche deathster borchiato che non si è fatto intimidire dalla popolazione vegana e riesce a fare headbangin’ dall’inizio alla fine. Tra innumerevoli complimenti alle ragazze italiane, il gruppo presenta anche la nuova “What An Orrible Night To Have A Curse”, tratta dall’imminente “Nocturnal”, un ottimo aperitivo che dimostra che i The Black Dahlia Murder sono più coesi e spietati che mai. Ci si rende conto quanto sia stato un peccato non averli visti un paio di anni fa causa neve: la fama della formazione è insindacabilmente meritata e da headliner di un piccolo festival in crescita non si può che sperare nel ritorno a breve di questi tarantolati successori degli At The Gates.