A cura di Luca Filisetti.
Non saranno i Black Sabbath o i Deep Purple; la loro portata storica è decisamente inferiore a quella di molti altri “dinosauri del rock”; hanno pubblicato alcuni album tutt’altro che esaltanti; su disco sono fermi al 2001, anno di pubblicazione di “Curse Of The Hidden Mirror”. Nonostante tutto ciò, un live dei Blue Oyster Cult è un’esperienza da provare per svariati motivi. Innanzitutto le loro canzoni rendono decisamente meglio sul palco e poi Eric Bloom e Buck Dharma dal vivo, nonostante l’età, possono tranquillamente dare lezioni a chiunque. Oltretutto, man mano che lo show si sviluppa, ci si accorge di quanto avanti fossero i ragazzi, che già negli anni settanta suonavano cose che sarebbero state riprese parecchi anni più avanti da una miriade di band diversissime tra loro (Rage e Guns ‘N Roses, giusto per citarne un paio). La data al Live Club di Trezzo, come tutte quelle di questo tour, serviva anche a verificare l’innesto del fenomenale Rudy Sarzo al basso. Il locale, nuovissimo e decisamente pensato per suonare live, non è particolarmente pieno ed alla fine il pubblico si attesterà grosso modo sulle cinquecento unità scarse, divisi tra giovani metallari (pochi) e vecchi fan della generazione della band che non mancheranno di sostenere i loro idoli fino alla fine della performance.
BLUE OYSTER CULT
Con un ritardo piuttosto consistente sulla tabella di marcia, alle 22.30 il sipario si alza ed il quintetto si presenta davanti ad un pubblico un po’ irritato dall’attesa con un cavallo di battaglia quale “This Ain’t The Summer Of Love”, con un Eric Bloom padrone sin da subito della situazione a livello scenico ma con una voce che si deve ancora scaldare e che sovente lo abbandona. La prima sorpresa è l’assenza dello storico tastierista Allen Lanier, sostituito in maniera egregia dal polistrumentista Richie Castellano, che si occupa anche della chitarra, lasciando le keyboard allo stesso Bloom, la cui ugola si riprende quasi subito dalle difficoltà iniziali. Come suo solito Buck Dharma si piazza in mezzo al palco e da li non si sposta più, ricordando in questo il grandissimo Geddy Lee deei Rush. Per quanto riguarda Sarzo, risulta molto appariscente e piuttosto fuori contesto per quel che concerne il look, ma il suo lavoro di basso è sin da subito egregio. Chiude la line up il buon Jules Radino, batterista piuttosto concreto che a vedersi sembra la copia sputata di Jack White, almeno dal nostro punto di osservazione. Il live entra subito nel vivo con una tripletta da infarto, ovvero “Before The Kiss, A Redcap”, l’acclamatissima “Burnin’ For You” e “The Red & The Black”, prima di un lieve calo qualitativo all’altezza di “Harvest Moon”. Come sempre Bloom e Buck Dharma si dividono le parti vocali mentre Castellano sostiene il tutto con dei cori azzeccati e con una notevole tecnica strumentale. Da questo punto in poi, se si esclude l’esecuzione della ballad “I Love The Night”, il live diventa realmente infuocato, grazie all’esecuzione di “Joan Crawford” e “Me 262”, alla quale Buck Dharma unisce un assolo di rara qualità. Con un crescendo incredibile di intensità i Blue Oyster Cult regalano ai presenti una parte finale di scaletta da consegnare direttamente alla leggenda, grazie a brani quali “The Black Blade”, “Then Came The Last Days Of May”, picco assoluto dell’esibizione, “Godzilla” e “(Don’t Fear) The Reaper”. Soprattutto “Then Came The Last Days Of May” viene completamente stravolta e portata alla durata monstre di una quindicina di minuti, durante i quali la band da veramente l’anima ed emerge la classe cristallina degli esecutori. L’assolo centrale di chitarra di Castellano è quanto di più esaltante sia capitato di ascoltare da qualche anno a questa parte; esaltante anche perché il nostro ha l’aspetto impacciato di un ragazzotto del mid west americano e invece quando imbraccia la sei corde la polverizza letteralmente…pazzesco! In “Godzilla” i nostri, in maniera molto signorile, rendono omaggio a Rudy Sarzo, inserendo dei giri di basso tratti da brani di Quiet Riot, Whitesnake ed Ozzy. Il brano viene ulteriormente impreziosito dagli assoli dello stesso Rudy e di Jules Radino. Il live vero e proprio finisce qui ed i nostri ci graziano con due bis quali la spumeggiante “See You In Black” e la pirotecnica “Hot Rails To Hell”, cantata da Castellano che suggella così una prova fantastica, superiore a quella eccellente degli altri componenti della band. Il sound era adeguatamente buono, forse solo la batteria era un po’ compressa e, salvo un paio di problemi alla chitarra di Buck Dharma ed al microfono di Bloom, non vi sono stati intoppi. Insomma, i Blue Oyster Cult hanno lasciato per l’ennesima volta un ricordo splendido del loro passaggio e chi c’era ricorderà per sempre le chitarre dal flavour boogie e rockabilly, l’epicità di alcune composizioni e soprattutto la grandissima disponibilità di una band che nel suo piccolo ha contribuito non poco alla formazione del sound heavy che oggi conosciamo ed amiamo. Tutto questo senza che abbiano suonato “Astronomy”, probabilmente il loro brano più famoso. Epocali.