A cura di Maurizio “morrizz” Borghi
Ventitre anni dopo la leggendaria data al Rolling Stone (cercate negli archivi del Corriere, se ignorate le cronache di quel delirio metropolitano), i Body Count tornano ad esibirsi sul suolo italiano. La data era prevista a Padova, ma dopo un silenzio imbarazzante viene annunciata nuovamente, con poche settimane d’anticipo, al Live Music Club di Trezzo. Il tipico sovraffollamento del calendario di giugno di sicuro non ha aiutato, sta di fatto che sono meno di un centinaio le teste a rendere omaggio al redivivo Ice T, reduce da una serie di bagni di folla durante questo tour europeo. Compito infame per gli Apes On Tapes, testualmente “tre producer, a volte anche un mc, che agili e scattanti saltano sui loro beat da declivi hip hop a foreste amazzoniche di bass music”. Suonano davanti a una sala praticamente vuota, accennando qualche rima sul finale, riuscendo a catturare l’attenzione di qualche membro della BC crew, mentre il pubblico si gode una birra all’aperto.
Il coro “BC! BC! BC!” non fa in tempo ad intensificarsi che “Body Count’s in the House” spezza l’attesa infinita con una carica di eccitazione palpabile. E’ la band ad entrare sul palco per prima: Ernie C ha i capelli elettrizzati e ci appare invecchiatissimo, quasi vicino a una caricatura scomposta del mitico George de “I Jefferson” (Wizzyyy!), basta qualche giro però per capire quanto le sue dita siano ancora in grado di infiammare la sei-corde. Sulla destra troviamo Vincent Price, bassista dalla presenza scenica imponente, e all’altra chitarra il mostruoso (nel senso letterale) Juan of the Dead, unico viso pallido e ultima aggiunta alla crew di L.A.. Ill Will completa la formazione vera e propria dietro le pelli, salutando il pubblico da una maschera simile ai ‘Ghost’ di Call Of Duty, mentre il volto degli altri è coperto da bandana. Completano lo schieramento Sean E Sean e il figlio del frontman Ice Tracy Marrow, davanti ai backdrop a fare da backing vocals, rigorosamente vestiti di nero. Lo schieramento resterà lo stesso per tutta la durata della setlist, che vedrà una resa sonora molto soddisfacente e dei volumi adeguati. Ice T viene accolto da un’ovazione: indossa la stessa jersey Adidas dal primo giorno della reunion, con tanto di guanti da assassino e un cappello abbassato che non può nascondere i segni dell’età. L’opener si unisce a “Body M/F Count” per una durata di svariati minuti, ma il pubblico, perlopiù tra i 30 e i 40, che va dai chicanos ai thrasher ai rocker, è in pieno giubilo. Dopo qualche pezzo si capisce che il set è dedicato al meglio del meglio della discografia del gruppo: vengono pescati i pezzi più amati e controversi, senza saltare i brani più veloci e pestoni, ovvero quelli che una band di over 50 evita furbescamente per non affannarsi sul palco. Non possiamo negare che l’età non si faccia sentire, infatti l’Original Gangster limita al massimo i movimenti e non sforza le corde vocali, ma il risultato, anche grazie ai due “coristi” sul retro, resta sempre d’impatto. L’unico che suda e si sbatte è Vincent Price, ma l’esaltazione dei presenti e soprattutto la carica dei pezzi va a coprire una performance a volte imbolsita ma mai al di sotto della sufficienza. Il frontman resta comunque al centro dei riflettori con la sua personalità magnetica e con doti comunicative davvero sopra la norma, che in più di un caso sfociano in performance molto teatrali sia durante le canzoni che negli interludi: eccezionale in questo senso la presentazione del figlio al pubblico, che tra i sorrisi compiaciuti del quadretto familiare viene interrotta da una scarica di mitra e l’uccisione recitata del pargolo, ad introdurre la velocissima e hardcore-oriented “Drive By”. Nonostante l’ottima accoglienza, solo due pezzi di “Manslaughter” trovano spazio: oltre alla title-track e a un pezzo di “Institutionalized”, c’è “Talk Shit, Get Shot” a scatenare i cori, mentre le richieste di suonare “Bitch in the Pit” non vengono purtroppo accolte. A proposito di ‘bitches’, si merita una citazione d’onore lo schieramento di mogli sui divanetti del privè alla sinistra del palco: le maleducatissime Coco e amiche assistono allo show facendo bella mostra di curve spropositate e bagagliai sporgenti, distraendo il pubblico ogni volta che si alzano per fotografare i maritini coi loro telefoni. Ice ironizza sulla scarsa affluenza di pubblico e promette lo stesso show riservato alle folle oceaniche di festival e di club sold-out – questa stessa ironia ha generalmente rimpiazzato le controversie dell’epoca, ma la propensione ad esprimersi senza alcun filtro é rimasta immutata. Per la gioia di chi scrive viene eseguita anche “Disorder”, cover degli Exploited eseguita con gli Slayer nella mitica colonna sonora di “Judgement Night”, tra i momenti più intensi e violenti della serata. In un’ora e un quarto viene quindi ripercorsa la storia del gruppo, che non ha lesinato di riproporre le storiche e discusse hit “Cop Killer” e “Born Dead”, e anche se la band arriva al finale leggermente affaticata, gli applausi sul congedo sono pienamente meritati. Riflettendoci, nessuno ha percorso la loro strada e la gang resta sostanzialmente senza eredi; per una volta quindi, chi scrive si unisce agli amanti dell'”ultima dose” e scongiura il pensionamento obbligatorio: grandissimi Body Count!