Il mondo del dark ambient e di un certo tipo di elettronica oscura e maligna hanno sempre fatto parte dell’immaginario metal, soprattutto quello legato al black metal. Anche se magari non è noto ai più, molti musicisti hanno sempre sentito l’esigenza di portare avanti un loro lato artistico legato ai suoni sintetici: senza scomodare nomi particolarmente di nicchia, possiamo citare i Neptune Towers di Fenriz, i Wongraven di Satyr, i De Infernali di Jon Nödtveidt, gli Ascension Of The Watchers di Burton C Bell, ma anche il percorso artistico dei Beherit nelle loro varie fasi o le derive più sintetiche o i progetti di Mauro Berchi, attivo con Canaan e Neronoia.
Dall’altro lato della staccionata, molti artisti della scuola elettronica sono stati tentati da estetiche ma anche da musicalità estreme come per esempio gli MZ412, Nordvargr da solista, la scena noise finlandese o Frederik Söderlund, conosciuto per il progetto Puissance ma per un periodo attivo con la black metal band Parnassus.
E’ questo quindi un mondo costellato di suggestioni, di rimandi e di artisti sfaccettati che si muovono più o meno vicini al mondo del metal vero e proprio, ammesso che esista ancora in quanto tale e come entità separata.
In ogni caso, un periodo storicamente fertile per queste commistioni corrisponde con gli anni più floridi dell’attività della label svedese Cold Meat Industry, gestita da Roger Karmanik tra il 1987 e il 2014.
Soprattutto nella seconda parte degli anni Novanta e nei primi Duemila, molti veri e propri incubi sonori sono usciti sotto l’egida Cold Meat industry: parliamo di nomi come Deutsch Nepal, Arcana, Raison D’Etre, In Slaughter Natives e degli stessi Brighter Death Now, progetto personale di Karmanik.
Ora ci chiediamo: cosa rimane di questa musica dopo un quarto di secolo? Stiamo parlando di stranezze, esperimenti e in qualche modo di piccoli memorabilia di un tempo passato? Non proprio. Riascoltati ora, molti di questi dischi mostrano forse una resa sonora un po’ sorpassata da un punto di vista strettamente tecnologico, ma mantengono aspetti profondamente disturbanti per chi si vuole mettere alla prova anche a livello emotivo.
Certo: la solitudine di una stanza, l’orario notturno o uno stato d’animo malinconico sono sicuramente d’aiuto per apprezzare queste sonorità, mentre noi invece abbiamo voluto testare con mano la resa di queste esperienze eseguite dal vivo. Esperienza: in fondo, forse è questa la parola chiave per inquadrare il passaggio italiano (in ben cinque date, a testimonianza di un legame particolare e storicamente non inedito con il nostro Paese) del tour Brighter Death Now, Raison D’ȇtre e Desiderii Marginis.
In una serata non particolarmente fredda è un Freakout gremito e sold-out da diversi giorni quello che ci accoglie appena oltrepassato il celebre sottopasso di Via Zago in quel di Bologna.
Non è la prima volta che sperimentiamo una quantità di persone piuttosto ingestibile nel piccolo ma coloratissimo locale emiliano, ma appena arrivati ci chiediamo effettivamente se possa essere l’atmosfera giusta per un concerto di questo tipo: l’impaccio a muoversi nel locale, il caldo e la difficoltà di raggiungere con semplicità il banco del merch ci infastidiscono un po’, lo ammettiamo, ma allo stesso tempo siamo felici che un genere commercialmente imploso e relegato nuovamente all’underground ormai da molti anni abbia richiamato così tante persone.
Alle 21 puntuali scatta la performance di DESIDERII MARGINIS – al secolo Johan Levin – che da dietro alla console, aiutato dai visual proiettati sul muro, propone al pubblico curioso una quarantina di minuti di dark ambient solcato ogni tanto da qualche sfumatura industriale. Come molti artisti affini, il buon Johan evita qualsiasi contatto con il pubblico e procede, nella semi-oscurità, a lanciare loop e basi su cui lavora aggiungendo altri effetti e suoni in sequenza, utilizzando talvolta un archetto di violino per generare momenti particolarmente stridenti. La voce è assente per tutto il set, se non in una singola occasione in un campionamento. L’effetto complessivo non è particolarmente inquietante ma piuttosto ha una sua narratività, concentrandosi sui visual che passano da antiche architetture, doccioni, a movimenti di acqua scrosciante verso poi temi molto più figurativi come la marcia degli Incappucciati del Venerdì Santo in Sicilia o il serial killer Edmund Kemper.
Ciò che Desiderii Marginis riesce a trasmettere (e noi crediamo sia molto più importante che citare la scaletta) è un sentimento di inquietudine, ma anche una certa solennità e nostalgia. Le immagini utilizzate per i visual sono per la maggior parte in bianco e nero e regalano un senso di storicità alle lunghe composizioni, creando un vero e proprio continuum che l’artista non spezza mai.
La forma canzone è quindi completamente abolita ma guardandoci attorno, notiamo come si sia presentato al Freakout un pubblico decisamente preparato e attento, anche se magari un po’ infastidito dalle condizioni contestuali date dal numero elevato di presenze. Il set di Desiderii Marginis scorre via scandito quindi da molta ambient, pochi rintocchi industriali e dall’immagine – per noi iconica – di questo aspersorio che oscilla ancora, ancora e ancora. A fine serata, dei tre set sarà sicuramente quello più legato ad un immaginario figurativo, storico e in qualche modo vicino ad una narratività che fa leva su aspetti antropologici.
Dopo un cambio palco molto rapido e, per chi scrive, doloroso nel tentativo di avvicinarsi al banco merch in mezzo alla calca, tocca a RAISON D’ETRE, ovvero Peter Andersson, altro musicista storico del catalogo Cold Meat Industry; personalmente, non esitiamo a riconoscere il suo “Enthralled By The Wind Of Loneliness” come un disco fondamentale per comprendere un genere come il dark ambient.
Lugubre, gotico, ma anche spirituale, il suono di Raison D’ȇtre è davvero, lo ripetiamo, iconico e quello che sentiamo nel corso dei quaranta minuti di set corrisponde esattamente all’essenza del progetto: un percorso che abbina spiritualità, rinascita ed elevazione a momenti più infernali, oscuri e privi di speranza. I visual che accompagnano Peter non sono quasi mai figurativi, se non per il continuo apparire del teschio che rappresenta molto bene il concept di Raison D’ȇtre.
Le composizioni sono, come per Desiderii Marginis, realizzate in un continuum e spogliate ovviamente di qualsiasi riferimento alla forma canzone, visto che anche Peter non interagisce mai con l’audience. Anche per lui c’è l’utilizzo saltuario dell’archetto, ma gli elementi che si fanno ricordare di più sono i ripetuti clangori metallici, gli effetti simili ad acqua scrosciante e i cori gregoriani, vero e proprio trademark del nostro.
Riconosciamo movimenti del capolavoro “Enthralled”, ma il sentiero tracciato dal musicista svedese che si offre ai nostri sensi è quello di una discesa verso gli inferi, con le visual gialle ed ocra – da cui spunta la citata forma del teschio – che mutano in sagome infernali rossastre dove una forma circolare affine ad un occhio diventa il leit-motiv della seconda parte. In un crescendo di emozioni sempre più cupe e negative, il set si conclude comunque – come in una sorta di firma virtuale – con un ultimo loop gregoriano, applaudito dai presenti. Per chi scrive, un’esibizione bellissima che conferma come anche dal vivo questo genere di musica abbia la possibilità di trasmettere più di qualcosa.
Altro cambio palco rapido: poco dopo le 23 è il momento di Roger Karmanik e dei suoi BRIGHTER DEATH NOW, che ai tempi della Cold Meat Industry ci hanno lasciato un capolavoro del death industrial/power-electronics come “Necrose Evangelicum”.
E’ proprio da lì che ripartiamo infatti, dai visual che ripropongono il grande albero degli impiccati e riconosciamo subito i droni bassissimi e le atmosfere plumbee che sul palco vengono affidate a basi e loop, ma anche alle rade note di basso eseguite in alternanza dall’italiano Giovanni Maffeis (già cantante dei Tragødia) e dallo stesso Karmanik.
Elemento finora assente qui è la voce distorta, effettatissima e lancinante di Karmanik che fa crescere il fattore di disagio e straniamento. Se già con Raison D’ȇtre l’impianto del Freakout aveva iniziato a tremare sulle frequenze basse, con Brighter Death Now questo effetto diventa ancora più ricorrente e disturbante. La ripetizione tipica di questo genere di musica diventa, nelle mani di Brighter Death Now, un’arma vera e propria, un’ossessione negativa e angosciante che cresce nel corso dell’esibizione.
Passano i minuti e si ha sempre più spesso una sensazione di saturazione dei sensi, ma personalmente possiamo dire – solo per questo set – che la situazione di scomodità dovuta all’affollamento del locale è stata del tutto secondaria, visto che siamo stati occupati da ben altre sensazioni piacevolmente dissonanti. Le immagini sullo sfondo ad un certo punto indulgono su immagini di maiali, passano anche per il recupero di un cadavere e iniziano a svolgere una funzione ben cara anche alle esperienze di Trent Reznor o David Lynch: chi guarda è attratto dal decifrare, ma allo stesso tempo ha paura di riconoscere qualcosa di disturbante che potrebbe emergere di colpo.
Karmanik, dal canto suo, offre un’esibizione familiare al pubblico con una almeno nominale aderenza alla forma del live show: pause tra i pezzi, uso della voce, un minimo di interazione e le citate note di basso; nei tre quarti d’ora a sua disposizione però, martella poi pesantemente l’audience con violenza e disagio, molto di più di Raison D’ȇtre e Desiderii Marginis. Un’esperienza da provare, come si diceva in apertura. Davvero.