A cura di Giuseppe Caterino
Sull’onda del controverso “That’s The Spirit”, acclamato con entusiasmo da una parte di critica e pubblico ma (giustamente) osteggiato da un’altra, i Bring Me The Horizon approdano all’Alexandra Palace di Londra, dove forti di un rapidissimo sold-out sono pronti a celebrare in grande la loro ultima fatica. Assistiamo all’evento con doppio sguardo, perché se da una parte siamo imparziali, open-minded e curiosi di vedere cosa accadrà, siamo pur sempre inviati di Metalitalia.com, e ci giriamo intorno divertiti per scrutare con occhi borchiati la situazione. Passiamo fra gli stand ed ovviamente la stragrande maggioranza di pubblico è composta da ragazzi piuttosto giovani che nulla, o quasi, hanno a che fare col metal; le magliette più estreme che ci capita di vedere sono di Iron Maiden e Avenged Sevenfold e di fatto è il pubblico eterogeneo che si potrebbe trovare ad un qualsiasi evento ‘generalista’, benché con le canzoni passate nel locale tra una band e l’altra si respiri un po’ di atmosfera da discoteca rock prima di mezzanotte. Questo, ad ogni modo, ad ulteriore conferma di una questione rilevante: il concerto di stasera non è un metal show, ai Bring Me The Horizon non interessa in alcun modo fare del metal inteso come genere di per sé e, come si evince dalle loro stesse dichiarazioni, il loro interesse è quello di raccogliere più consensi possibile tra diversi tipi di ascoltatori. Vediamo come faranno allora a farsi piacere da tutti, anche da chi li aveva (anche se distrattamente) seguiti solo per gli inizi deathcore, lasciandoli perdere con il progressivo e apparentemente studiato ammorbidimento del sound (in senso tematico, però, perché di certo le produzioni non possono dirsi morbide). Ad aprire la data, gli statunitensi PVRIS, che purtroppo abbiamo perso per motivi lavorativi, e il pop-punk dei gallesi Neck Deep.
NECK DEEP
Arriviamo all’Alexandra Palace sotto la consueta pioggia londinese e dopo un’estenuante salita e, sebbene in considerevole ritardo rispetto all’inizio dello show, ci accorgiamo di non essere soli: molta gente sta ancora arrivando e i controlli in entrata sono ancora attivi. Una volta dentro ci fiondiamo direttamente in zona stage, dove stanno suonando i Neck Deep, che leggiamo essere stati autori nell’anno in corso di un disco piuttosto acclamato su diversi fronti. La platea è quasi al completo ed ascolta la band con interesse, con una buona prima metà di audience a partecipare attivamente al live. I ragazzi sono giovani, sul palco sembrano a loro agio e ulteriormente galvanizzati dalla marea di gente che probabilmente non sono così abituati a vedere, e perciò ecco i continui ringraziamenti si presenti. Di fatto, quello che propongono è un pop-punk piuttosto classico e decisamente inoffensivo, ricordando Blink 182 et similia e non lasciandoci, personalmente, chissà quale impressione; il loro stuolo di fan comunque ce l’hanno, a giudicare dalle magliette che girano per l’Ally Pally, e alla fine lasciano il palco tra gli applausi.
BRING ME THE HORIZON
Nella mezzora abbondante di preparazione dello stage della main band, ci guardiamo un po’ attorno, tra gruppi di ragazzine in fase pre-dark, genitori annoiati che si scambiano silenziosi sguardi di solidarietà, coppiette bardate di tutto punto con i simboli della band e gruppi di ragazzini appena diciottenni che approfittano della doppia pinta di Foster a 10£. C’è di tutto questa sera e va più che bene così. Prendiamo un drink anche noi e ci mettiamo nelle retrovie, più curiosi che altro, pronti all’inizio del concerto. Come da tradizione inglese, alle 21.30 puntali si spengono le luci ed il combo di Sheffield fa il suo ingresso sulle note di “Doomed”, mandando in visibilio tutti gli spettatori dalla prima all’ultima fila, che partono a quel punto a fare da coro ad ogni sillaba cantata da Oli Sykes…e sarà così per tutto il concerto. Una parola va spesa immediatamente sullo stage e sulla resa scenica: i giochi di luci e di laser sono di primissimo livello, tanto che il palco è letteralmente un enorme schermo digitale illuminato a giorno con mash-up visivi fatti da qualcuno che se ne intende, schermo che lascia per tutto il concerto i componenti del gruppo praticamente in oscurità, almeno dalla distanza. Un plauso più che sincero alla preparazione visiva dello spettacolo, termine quest’ultimo più che calzante vista la situazione. Il secondo brano in scaletta è “Happy Song”, anche questa, manco a dirlo, salmodiata in estasi tra poghi solitari e urla, e ancora rimaniamo impressionati dallo sforzo scenico: cannoni di stelle filanti lanciati sul pubblico, pioggia di scintille sul palco (più avanti) e per tutta la durata un impatto visivo che fa godere lo show anche a chi, come chi scrive, non si definirebbe un fan della band (eufemisticamente scrivendo). Tra un ‘raise your fucking middle finger’ urlato dal singer ed un perenne muro di telefonini a fare video tremolanti e mal registrati, la scaletta prosegue con vari brani del presente e del passato recente del gruppo: “Go To Hell, For Heaven’s Sake”, “Throne”, “Chelsea Smile”, “True Friends”, “Sleepwalking”, tutti accolti con entusiasmo e urletti. Altra nota di rilievo, l’impianto sonoro, perfetto e potente, di quelli da far tremare gli organi interni anche a chi stava in ultima fila, azzeccato per una prestazione che tutto sommato non ha lesinato una sola goccia di sudore da parte di un gruppo che ha macinato note senza quasi pause. La setlist dura poco e dopo undici canzoni, pur serratissime, la band esce dal palco per qualche minuto per poi tornare con la doppietta “Blessed With A Curse” e la più che attesa “Drowned”, cantata anche dai baristi degli stand, che manda tutti a casa. Se musicalmente i Bring Me The Horizon sono quel che sono (anche se dal lato tecnico ineccepibili), sotto l’aspetto della resa dal vivo bisogna dire che hanno recepito appieno il concetto di ‘Rock and Roll show’ di kissiana memoria, fornendo una prestazione che non si è risparmiata in nulla; nell’ottica di fan in età post-adolescenziale non si potrebbe chiedere di più, soprattutto se poi una formazione del genere può essere uno spunto per passare ad ascolti più impegnativi; non tutti devono per forza partire con i Testament. I Bring Me The Horizon hanno raggiunto una vetta piuttosto alta e sembrano più che consci di essere a buon punto nel raggiungimento del proprio obiettivo di diventare una band mainstream facilmente riconoscibile. Resta da vedere quanto ancora potranno salire, ma di questo passo non sembrano esserci dubbi che siano destinati a diventare un importante punto di riferimento per un certo tipo di musica; che poi si tratti di un genere che da queste parti davvero non ci interessa più di tanto, questo è un altro discorso.