25/11/2013 - BRING ME THE HORIZON + PIERCE THE VEIL + SIGHTS AND SOUNDS @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 29/11/2013 da

Smaniosi di assaporare la performance dell’ottimo “Sempiternal”, i fan dei Bring Me The Horizon affossano prima il Treesse e poi l’Alcatraz di Milano per ritrovarsi faccia a faccia con la band di Sheffield e del suo capomastro Oliver Sykes, assurto a paradigma, simbolo e pilastro di un’estetica di genere. Il tutto è rifinito dalla proposta, mira di una fandom altrettanto famelica, dei Pierce The Veil. Ad aprire le danze, alle sette di sera, i Sights And Sounds. Winnipeg, San Diego e Sheffield. Tutti insieme. Appassionatamente.

Bring Me The Horizon

Bring Me The Horizon

 

SIGHTS AND SOUNDS
Miseramente fatti suonare ad un orario dove ormai a Milano è presto anche per l’aperitivo (ogni volta sempre la stessa storia…), e sfortunatamente anche quando la gente è ancora al Treesse di via Torino per la signing session dei Bring Me The Horizon, i canadesi Sights And Sounds riescono comunque a dire la loro e ad affrontare discretamente la situazione. Poco o quasi totalmente sconosciuti ai più, la band capitanata dal singer chitarrista Andrew Neufeld, che veste un po’ i panni del Greg Dulli della situazione (le cui band sono vere e proprie citazioni per i Sights And Sounds), riesce a strappare qualche applauso pur non essendo prettamente inerente al contesto della serata. Sentire anche nominare band del calibro di Twilight Singers e Afghan Whigs fa quasi rabbrividire in un habitat metalcore. Ben lontano dallo sfigurare, il gruppo di Winnipeg però passa quasi inosservato. Troppi fattori hanno giocato contro di loro. Immeritata la disattenzione di qualcuno. Apprezzati gli applausi di qualcun altro.

PIERCE THE VEIL
Inaspettata per molti è stata la risposta incredibile di pubblico per i californiani Pierce The Veil, quasi da considerarli co-headliner della serata. “We are a bunch of fuckin’ Mexicans from California!”: Vic e Mike Fuentes infiammano la folla e vederli insieme agli All Time Low o agli You Me At Six non comporterebbe nessun fraintendimento, ma vederli qui stasera coi Bring Me The Horizon, e con questa risposta di pubblico, fa quasi pensare che qualcuno abbia sbagliato venue. Poco importa all’audience che si gode il concerto e sostiene lo stage diving del bassista Jaime Preciado. La band post-hardcore (ma si potrebbe più semplicemente dire ben-lontana-dall’hardcore) strappa consensi e applausi in tutta facilità, risultando ampiamente promossa, soprattutto dalle più giovani fan delle prime file, con tutti i se, i ma, i come e i perché della situazione. Caspita, quanto è cambiato dall’ultima volta coi Machine Head….

BRING ME THE HORIZON
Qui la dobbiamo dire tutta: sono le 21,15 di lunedi sera a Milano, e tutti (sicuramente lo sanno gli addetti ai lavori) sappiamo che più di un’ora e dieci i Bring Me The Horizon non han mai fatto. Ora, in molti si dovrebbero chiedere: ma come mai, conoscendo i tempi delle band, sapendo della signing session della band, sapendo che a Milano la gente lavora (o dovrebbe lavorare) fino ad una certa ora, un concerto dovrebbe FINIRE alle 22,18?  Neanche negli oratori di periferia la gente si è ancora mossa per fare qualcosa a quell’ora. Tutte le volte la solita storia. Eppure, con un quasi sold-out alle spalle, le tasche prudono ancora. E bisogna fare in fretta per la discoteca. La band di Sheffield è comunque puntuale e poco dopo le nove Oli è già sul palco, si concentra e attacca con “Can You Feel My Heart”. Il pubblico risuona come un’arena romana durante i Saturnalia. Anche qui la dobbiamo dire tutta: Oli Sykes non ha mai avuto tutta questa voce, lo sappiamo tutti, ma ha sempre avuto un carisma da esaltare al pogo anche una confraternita induista. Lo sanno tutti coloro che hanno visto le numerose performance ai festival che tutte le estati vedono per protagonisti i Bring Me The Horizon, soprattutto quelli in terra inglese. Altrettanto noto era che la qualità dei pezzi dei primi due album non era tutta questa manna dal cielo, così come le esecuzioni dei musicanti. Con “Sempiternal” le cose sono però cambiate, la qualità dei brani (ma già dal precedente “There’s A Hell….”) è nettamente migliorata. I Bring Me The Horizon si presentano quest’oggi con una setlist che ha solo grandi pezzi. Otto brani dal nuovo lavoro, due dal precedente (“It Never Ends” e la ballad per eccellenza “Blessed With A Curse”) e i due inni obbligati di “Suicide Season”. Dichiarazione d’intenti per i ragazzi di Sheffield: nulla del primo disco, i brani obbligati del secondo, i due singoloni del terzo e tutto ciò che si può mettere del nuovo, questi sono i nuovi Bring Me Horizon.  Bene, funziona benissimo. La band ha anche fatto un passo di qualità a livello di esecuzione, suono e precisione, merito forse dell’innesto di Jordan Fish alle tastiere, che diventa un po’ il punto di riferimento, il cardine sul quale suonare. Ma cosa resta della band capace di tirare in mezzo festival interi a suon di grida e metalcore? Be’, “Chelsea Smile” e “Diamonds Are Forever” ci sono ancora, coi loro wall of death e moshpit (quando ci si mette in tasca lo smartphone). Ma Oli? Oli fa il compitino. La sua voce è sempre quella che (non) aveva prima, ma non è più l’aizzatore delle masse di un tempo. Dire che è invecchiata, ad un’annata ’86, sembrerebbe paradossale. Ma nei momenti di casino, negli stage diving, nei moshpit, Oli non c’è più. La sua voce scompare addirittura completamente nei lenti e i ritornelli li canta solo il pubblico. E pensare che la band ha imparato a suonare con tocco leggero durante le ballad. Cosa assolutamente non da tutti. Che dire? La gente c’è, salta, fa casino. Quanto può. Ma durante la finale “Sleepwalking”, che comunque è uno dei pezzi più belli dell’album, quando si vede la gente affamata di lividi nel moshpit ci sembra quasi che tutto ciò sia quasi forzato, imbellettato con della plastica colorata. Poi guardiamo l’orologio: le 22,18. Erano meglio le tre di pomeriggio sotto il sole e Oli che chiamava suo padre, Mr. Sykes, sul palco per buttarsi in mezzo alla folla dei festival con lui e aprire le acque dei wall of death come fosse Mosè. Ma questa è tutta un’altra storia.

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