29/03/2014 - BRIXIA DEATH FEST 2014 @ Colony Club - Brescia

Pubblicato il 01/04/2014 da

A cura di Marco Gallarati

Serata di avvenimenti di una certa importanza, quella svoltasi sabato 29 marzo al Colony Club di Brescia, ormai sempre più protagonista di una stagione concertistica che, almeno per quanto riguarda il Nord Italia, non vede più Milano come fulcro della scena, bensì alcune realtà di provincia affermatissime e/o in fase di crescita – leggasi: Trezzo sull’Adda, Romagnano Sesia e, appunto, il bresciano Colony Club – che alimentano l’underground (e non) metallico con date sempre più incalzanti e di valore. Hail Of Bullets alla prima calata italica in assoluto – ed era ora, dopo ben tre full-length superlativi; il pezzo di storia Interment a tenere altissima la bandiera decisamente sgualcita del più puro e caratteristico death metal svedese old-school; i nostrani Electrocution allo show di rentrée dopo praticamente una vita, evento nell’evento! Sono queste tre le attrattive, di non esattamente poco conto, che ci portano nella città della Leonessa in una tiepida giornata di inizio primavera. In attesa, però, di tali esibizioni, è bene evidenziare come il qui denominato Brixia Death Fest sia stato uno one-day indoor festival a tutti gli effetti, condito da un nutrito plotoncino di gruppi di supporto, atti a sollazzare gli astanti in attesa dei piatti forti. Ci spiace, di conseguenza, non poter riportare le prime mazzate della serata, quelle dei comaschi Necro e dei palermitani naturalizzati bolognesi Undead Creep, ma giungiamo alla venue in piena esibizione del terzo gruppo in programma, i Barbarian, dei quali seguiamo la performance dai divanetti del locale, in fase di rifocillamento personale: i fiorentini sono parsi in buona forma, freschissimi autori del secondo full “Faith Extinguisher” (uscito per Doomentia Records) e forti di un sound estremo tanto vecchio stampo quanto accattivante e pienamente asservito al puro e violento intrattenimento. E’ con i seguenti Blood Of Seklusion che, finalmente, possiamo dedicarci con totale attenzione allo svolgimento del festival…

brixia death fest - 2014

BLOOD OF SEKLUSION
Prestazione in crescendo per la band modenese, autrice due anni fa di “Caustic Deathpath To Hell”, un discreto lavoro di death metal piuttosto ortodosso presentante però alcuni spunti più orientati ad un death’n’roll diretto e spartano. La caratteristica che fa subito restare in mente il terzetto emiliano è certamente il triplo cantato, con il quale i BOS possono articolare meglio le varie tracce: ovviamente si resta in ambito death metal, quindi non si scorge ombra di voce pulita o semi-pulita, ma sia Daniele Lupidi, sia Alberto Dettori che il drummer Marcello Malagoli se la cavano bene con i loro rispettivi growl e scream di diversa impostazione. Dei tre, il più efficace è il growl del bassista Alberto, mentre Marcello e Daniele danno il meglio di loro sui rispettivi strumenti. Ci vuole un po’ di tempo ai Blood Of Seklusion per carburare, in quanto ci sono problemi tecnici e di audio per qualche brano, tanto che viene chiesta spesso una sistematina a volumi e spie tra una canzone e l’altra. La prima parte della loro abbondante mezzoretta viene affidata a brani veloci e in-your-face, che ci hanno ricordato anche vaghe sonorità motorheadiane in salsa death; mentre, come riferito ad inizio trafiletto, il crescendo di prestazione, a voci calde e suoni bilanciati, è stato davvero molto positivo, compreso anche un buon riscontro di pogo dal già piuttosto nutrito pubblico. Bravi, Blood Of Seklusion!

ELECTROCUTION
Si arriva presto quindi al primo vero highlight della manifestazione, il primo concerto in assoluto, a distanza di una caterva d’anni, per i riformati eroi death metal made in Italy Electrocution, autori di quell’”Inside The Unreal”, uscito più di vent’anni fa per l’arcaica Contempo Records, vero e proprio masterpiece e cult-album underground. La band, diciamolo subito, non ha reso come avrebbe potuto, principalmente per un paio di ragioni: una calibrazione di suoni non ottimale e che ha messo troppo in primo piano la poderosa voce di Mick Montaguti non ha permesso di percepire al meglio le sparatissime rasoiate nulle di melodia partorite dai ragazzi; i Nostri poi, a tratti, sono parsi arrugginiti e poco affiatati su palco, forse in parte bloccati dall’impatto emotivo che la riesumazione live dopo così tanto tempo può aver causato e sicuramente ‘impallati’ da una coesione di formazione ancora da cementare. Precisato ciò, la setlist si è chiaramente incentrata sullo storico “Inside The Unreal”, lasciando spazio, in un minutaggio ridotto di una decina di minuti rispetto al previsto, ad un paio di pezzi nuovi, che andranno a finire sull’atteso come-back album “Metaphysincarnation”, in uscita tra un mesetto su Aural Music. “Wireworm” e “Abiura” non hanno affatto sfigurato messi a paragone col vecchio materiale, denotando strutture sempre violente ma un tantino meno parossistiche e più ‘ragionate’, alla ricerca di un vaghissimo appeal sonoro. Siamo sicuri che troveremo gli Electrocution più a loro agio nelle prossime date live, ma stasera si resta felici comunque, per aver assistito a questo importante recupero on stage di un pezzo di storia oscura del metallo estremo italiano!

INTERMENT
La The Threshold Live Rituals, organizzatrice del Brixia Death Fest, non ha tutti i torti quando presenta gli Interment come, a conti fatti, la sola e unica band storica attualmente in grado di proporre e suonare old-school swedish death metal. Verissimo, avete ragione: bisognerebbe escludere i Grave dai giochi, cosa non fattibile in quanto Ola Lindgren e compari sono più che mai vivi e vegeti, ma non si può negare come la materia prima originale di questo sottogenere tanto amato – a partire dai co-fondatori Entombed e Dismember – si sia ormai resa quasi del tutto indisponibile. E’ quindi con estrema curiosità che ci avviciniamo al palco quando il quartetto di Avesta si presenta all’audience: ancor prima di partire con l’intro, agli ultimi rimasugli di soundcheck, ecco sorgere alcuni cori ‘In-ter-ment! In-ter-ment!’ che perseguiteranno i Nostri per tutta l’esibizione, facendo anche imbarazzare un pochetto il frontman Johan Jansson, il quale, assieme ai nuovi arrivati Toob Brynedal (chitarra) e Allan Lundholm (basso), forma un terzetto minaccioso, imponente e sinistro, bilanciato poi nelle retrovie dalla sagoma cicciotella e nerdy dell’ottimo drummer Kennet Englund, vero e proprio motore del combo e fautore di una prestazione potente e pulitissima. Il basso di Lundholm è distorto come poche volte ci è capitato di sentire, quasi fosse una terza chitarra, e l’approccio complessivo del combo è tellurico, l’infrangersi di una cateratta celeste nelle profondità infernali. “Morbid Death”, “Eternal Darkness”, “Where Death Will Increase” e gli altri episodi della setlist vengono sciorinati senza sbavature, cadenzati da pochissime pause, durante le quali tende ad ergersi costante il succitato coro di approvazione del pubblico; pubblico che, da parte sua, riserverà agli Interment il trattamento migliore, pogando ferocemente dall’inizio alla fine di una performance perfetta e debordante, che, tralasciando un lieve calo nel finale della voce di Jansson, ha distrutto in tre quarti d’ora quello sentito fin qui e mette a dura prova gli Hail Of Bullets, obbligati a fornire un concerto davvero sopra le righe. Interment, i migliori della serata.

HAIL OF BULLETS
Scocca la mezzanotte e, al posto della fuga di Cenerentola, al Brixia Death Fest entrano in sala i panzer olandesi Hail Of Bullets, con il loro armamentario di cannonate, fucilate, mortai, storie di trincee, battaglie catastrofiche e morti a migliaia. Per la prima volta nel Belpaese, con alle spalle l’eccellente “III: The Rommel Chronicles”, il carro armato orange parte a bomba con “Swoop Of The Falcon”, opening-track del disco appena citato, che ci mostra subito un Martin Van Drunen incisivo ma vagamente barcollante e dall’occhio spento. Abbiamo visto più volte il vocalist all’estero, sia con gli HOB, che con Asphyx e The Grand Supreme Blood Court, ma mai così su di giri e allegrotto, pronto alle smorfie e alle linguacce: non si vuole essere troppo severi nel giudicare una formazione che non ha mai perso un colpo, ma quando ci si presenta su un palco raccontando, nei propri testi, storie e vicende della Seconda Guerra Mondiale, il tono della performance, a nostro parere, dovrebbe rimanere sempre abbastanza serioso e poco ‘sbracato’. Ma tant’è, il death metal degli Hail Of Bullets è anche costruito per divertire e trascinare l’audience, coinvolgendola con un’attitudine cupa ma anche capace di scherzare, cosa che hanno compreso in breve tempo i compari di Martin, i quali l’hanno assecondato giusto il tempo per non farlo parlare troppo, per poi partire a razzo con i vari brani previsti. Brani eseguiti molto bene, al solito, da una line-up solida e coesa, che ha nel chitarrista Stephan Gebédi e nel drummer Ed Warby due ottimi leader. La setlist è stata bilanciata in ugual modo fra i tre dischi fin qui realizzati dal gruppo, “…Of Frost And War”, “On Divine Winds” e “III: The Rommel Chronicles”, con il primo e l’ultimo a farla, forse, maggiormente da padrone, sebbene le mazzate “On Coral Shores”, “Tokyo Napalm Holocaust” e “Operation Z” abbiano spazzato via qualsiasi dubbio sulla validità della prestazione odierna dei Nostri. Episodi quali “DG-7” e “To The Last Breath Of Man And Beast”, tratti dal lavoro dedicato alla Volpe del Deserto, sono stati accolti più tiepidamente dal pubblico, che, a dire il vero, è parso in generale meno numeroso e meno coinvolto rispetto al gran bailamme collettivo riservato agli Interment. L’epica “Berlin” è giunta a metà set e Martin l’ha conclusa con un ‘and Italy cries too’, seguendo il verso conclusivo del pezzo che recita ‘Germany cries’, ricordando la caduta di Berlino conquistata dai liberatori occidentali. Insomma, un modo elegante per ricordarci le nostre disfatte nell’ultima grande guerra. Pazzeggiando ubriaco con un italiano blasfemo e irriverente, scambiando Brescia prima con Milano e poi quasi con Bari, Van Drunen ha comunque interpretato benissimo le sue parti, non sbagliando nulla e confezionando una serie di ‘iaaauuuu’ in growl davvero notevoli. “General Winter” e “Ordered Eastward”, come prevedibile, hanno esaltato gli animi, lasciando alla seconda delle due il compito di porre fine ad un concerto ottimo ma per certi versi discutibile. Arrivederci al Summer Breeze, cari vecchi olandesi.

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