A cura di Emilio Cortese
Serata di ottima musica in programma sabato sera al Rock Planet, una manciata di band ancora nascoste nell’underground si alternano sul piccolo palco e buttando in pasto anima, corpo e tutte le energie a loro connesse, danno vita ad una serata esaltante. Peccato che simili eventi non riescano a riempire dovere un locale, le band di stasera sono di un livello realmente superiore rispetto alla maggior parte dei gruppi in circolazione, e dispiace vedere spazi vuoti tra il pubblico, questo era un concerto per amanti della musica metal a trecentosessanta gradi. Causa l’ inizio degli show sempre più anticipato, purtroppo nulla vi sappiamo dire a riguardo della performance dei Medeia, anche se i pochi presenti hanno parlato di una prestazione coinvolgente e sopra le righe.
BISON B.C.
I canadesi Bison B.C. sono una di quelle band che dal vivo riuscirebbero a farsi amare anche da chi non è pratico di sonorità stoner. La loro intensità sonora, la loro enfasi, il loro trasporto una volta imbracciati gli strumenti è talmente palpabile ed evidente da lasciare annichiliti. E’ bellissimo notare la coesione di questo quartetto… in primo luogo essi non hanno un vero e proprio frontman, alla voce si alternano Dan e James, i due ottimi chitarristi. Le loro voci grattate e sporche si impastano in maniera fisiologica e naturale con il sound complessivo. La fase ritmica è ad opera del giovane Brad MacKinnon che con uno scheletro di batteria ridotto all’osso dà vita ad un tappeto sonoro cavalcante e dirompente. Ascoltandoli vengono in mente band del calibro di Mastodon (era Leviathan), High On Fire o Motorhead, amalgamato ad uno stoner intenso, sporco, unto e ruvido… Da brividi le riproposizioni di brani come “Slow Hand Of Death” o “Wendigo Pt. 1 (Quest For Fire)” quest’ultima veramente eseguita in maniera talmente intensa da far accapponare la pelle più volte durante la lunga durata. Prestazione maiuscola di una band già matura, sottovalutare i Bison B.C. oggi sarebbe deleterio, perderseli dal vivo un delitto.
THE OCEAN
A sorpresa tocca ai tedeschi The Ocean, eravamo giunti pensando di vederli in veste di headliner ma stasera non esistono schemi. Iniziano senza troppi fronzoli con una doppietta inaspettata: “The City In The Sea” e “Haedean” estratte rispettivamente da “Aeolian” e “Fluxion”. Subito si viene colpiti e stregati dall’effetto visivo della band, un impianto di luci che farebbe impallidire Vasco illumina a tempo di musica il palco e la sala con colori differenti a seconda delle atmosfere create dai brani. Scelta suggestiva e sicuramente azzeccata quella di avere come membro della band una persona che si occupa di tali effetti. Vengono poi riproposti vari brani estratti dall’ottimo “Precambrian”, tra cui “Ecstasian/De Prufundis”, “Hadean/ The Long March Of The Yes-Men” o la ottima “Orosirian/ For the Great Blue Cold now Reigns”. Probabilmente vista l’enorme caratura dell’album in questione, dal vivo ci saremo aspettati forse qualcosa di meglio dai nostri, il loro muro di suono è talmente impenetrabile che a tratti si perde la concentrazione nell’ascoltarli, forse anche a causa di un vocalist un po’ troppo monocorde. Si chiude alla grande con “Queen Of The Food-Chain” e i The Ocean se ne vanno tra gli applausi scroscianti di un pubblico annichilito. Sicuramente una buona prestazione ma c’è ancora spazio per migliorare, dal punto di vista scenico tutto funziona al meglio, si avverte invece una certa differenza tra album e live performance, quest’ultima a parere di scrive meno sconvolgente rispetto al disco.
BURST
Tocca finalmente i Burst incantare il pubblico con le loro tracce sognanti e introspettive. I loro ultimi lavori si assestano su livelli di eccellenza, e in sede live tutte le loro capacità evocative e le invidiabili doti tecniche vengono largamente confermate. Il quintetto svedese ci ripropone soltanto tracce estratte appunto da “Origo” e “Lazarus Burst”, purtroppo la loro esibizione è breve a causa dei tempi della discoteca che deve fare serata. I ragazzi comunque non sembrano più di tanto distratti o preoccupati da questo fattore e sciorinano le tracce migliori dei due capitoli sopra citati: “Nineteenhundred”, “Where The Wave Broke”, splendida traccia d’apertura di Origo, poi “Cripple God” a incantare un pubblico che si gode lo spettacolo, una volta tanto senza spintonarsi. Una piccola nota per quanto riguarda il chitarrista (che si occupa anche delle voci pulite) che sembra uscito da un film degli anni ’60: seduto su una seggiola a piedi nudi, imbracciando una Gretsch dal gusto retro, composto e completamente immerso nella sua musica. Se Robert è ineccepibile dal punto di vista tecnico-strumentale, dal punto di vista vocale le imprecisioni sono state varie ed eventuali quindi sotto questo aspetto ci si aspetta dei miglioramenti. La sala del rock planet viene riempita dalle due perle lasciate in chiusura, stiamo parlando di “The Immateria” e soprattutto della splendida “I Hold Vertigo”, che viene eseguita con calore e trasporto. Ciò che si percepisce ascoltando i Burst è il loro amore viscerale verso quello che suonano, lo si nota dai loro occhi chiusi nei momenti strumentali, lo si vede dal modo che hanno di presentare i loro brani, dalla maniera in cui sono così coesi da sembrare uno strumento unico. Avranno suonato poco meno di un’ora, i Burst, ma possiamo garantire che sono sembrati poco più cinque minuti. Superlativi.