08/03/2007 - Caliban + Bleeding Through + All Shall Perish + I Killed The Prom Queen @ Transilvania Live - Milano

Pubblicato il 11/03/2007 da
A cura di Marco Gallarati
Foto di Barbara Francone – Roadrunner Records (www.roadrunnerrecords.it)
 
Le sfilate di moda a Milano sono famose in tutto il globo terrestre e per anni il capoluogo lombardo è stato considerato la capitale mondiale di questo patinato mondo. Ora che il look, il modo di porsi, il solo fatto di essere presenti – pur avendo magari una cultura metallara di base ai minimi termini – sono diventati il pane quotidiano anche  di una certa scena metal underground (ma quanto under, in realtà?), era ovvio che una serata come quella del concerto di Caliban e Bleeding Through fosse il più grande richiamo mediatico per flotte colorate, variopinte e spesso imbarazzanti di giovinotti emo iper-frangiati, pseudo-suicidegirl e aspiranti sickgirl da contemplazione meditabonda, tatuatissimi metal-corer interessati più ai mondiali di kung-fu che a valanghe di riff di chitarra, e così via… Tutti impegnati – ma questo è un male purtroppo diffuso ovunque – non ad osservare i propri idoli con attenzione, ma a fotografare e filmare con telefonino, osservare il concerto attraverso un display microscopico di incerta utilità… Ma non si è più capaci di fermare attimi, congelare gesti, ricordare emozioni, senza l’aiuto di qualche supporto tecnologico? Cos’è, poi la mamma chiede il resoconto della serata? Bah…chiedendosi, da misantropo metallaro di tempi andati, dove andremo a finire, procediamo al report del Darkness Over Europe Tour, un evento comunque di rilievo e discretamente seguito…
 

I KILLED THE PROM QUEEN

Eccoli qua, altro fenomeno Myspace sulla cresta dell’onda: gli australiani I Killed The Prom Queen ci ‘deliziano’ per una ventina di minuti con il loro banalissimo concentrato di metal-core giovanile, ispirato a Caliban, As I Lay Dying, Dead To Fall e una decina di altri nomi, fra cui i più datati sono ovviamente i soliti mostri sacri del Goteborg sound. I primi due brani sono completamente immersi nella bambagia di un suono ‘vagamente’ ovattato, mentre la voce del vocalist temporaneo (la band è in fase di audizione), Colin Jeffs, sembra il raglio di un asino con una faringite abnorme. Per fortuna, i tecnici riescono a riportare la situazione a livelli appena sufficienti, permettendo al gruppo un finale in crescendo, anche di consensi, visto che ai giovani d’oggi basta ascoltare un riff ultra-stoppato per partire con i mulinelli di braccia e le corna osannanti… Un plauso particolare va ad uno dei due chitarristi, continuamente impegnato in mosse e giravolte da capogiro!
 

ALL SHALL PERISH

Si inizia a fare sul serio con i californiani All Shall Perish, il combo meno modaiolo della serata e più legato all’hardcore metallizzato stile Hatebreed e al death metal tout-court. La prestazione è corsa via piacevole e convincente, complici anche dei suoni dieci volte migliori di quelli uditi per gli opener della serata. Compatti, decisi e in-your-face, i cinque ragazzi sono andati dritti al sodo, sciorinando brani intensi, mai prolissi e anche spesso molto tecnici, come hanno dimostrato la manciata di assoli proposti ed episodi vari di tapping, anche del bassista Mike Tiner. Hernan Hemida si è rivelato il classico frontman istigatore di folle, anch’egli badante più al sodo che ad altro. “Day Of Justice” è stato probabilmente il brano più apprezzato, ma tutte le canzoni sono state applaudite in ugual modo e recepite con soddisfazione dal pubblico. Buona prova quindi, che ha contribuito a scaldare ancor di più i fomentatissimi ragazzi del moshpit.
 

BLEEDING THROUGH

Chi dovesse suonare da headliner, se Bleeding Through o Caliban, probabilmente prima del concerto era cosa ardua da decidere. Ma dopo aver visto all’opera entrambe le formazioni, è stato chiaro a tutti che i Bleeding Through, almeno in questa occasione, hanno schiantato i Caliban! Una prestazione spaventosa per il gruppo di Brandan Schieppati e Scott Danough: già a partire dal soundcheck accuratissimo e prolungato (messo in atto da un tecnico che se avesse avuto in mano un elastico d’acciaio l’avrebbe rotto comunque, tanto se la tirava), si è capito che il sestetto è solito non lasciare nulla al caso ed è una formazione ultra-professionale, seppur abbia dato l’impressione a volte di essere un po’ sopra le righe e altezzosa. I movimenti coordinati on stage tra chitarristi e bassista, sempre bravissimi a riempire i vuoti di palco, il dimenarsi fisico e i sorrisi della tastierista Marta Peterson (non pensavamo fosse così bella, ma per usare un linguaggio tipicamente oxfordiano, dobbiamo convenire che la suddetta rientra a pieno merito nella categoria ‘fighe spaziali’), lo strapotere vocale del muscoloso Brandan, assolutamente perfetto dalla prima all’ultima nota e scatenato sul palco, hanno fatto esplodere il locale di battimani e poghi destabilizzanti. Moltissimo spazio è stato concesso all’ultimo, bellissimo “The Truth”, fra cui l’iniziale “For Love And Failing”, la conclusiva “Kill To Believe”, “Confession”, “Love In Slow Motion” e la mazzata “Tragedy Of Empty Streets”. Non poteva mancare l’hit “Love Lost In A Hail Of Gunfire” e c’è da dire che lo spettacolo dei Bleeding Through, almeno per la sua ottima qualità, è stato troppo breve e conciso. Peccato davvero, perché si è trattato di una performance esagerata! Superlativi.
 
 
 

CALIBAN

I Caliban, dopo l’esibizione senza sbavature dei Bleeding Through, avevano un compito piuttosto difficile, ed infatti sono sembrati la classica buona squadra che però non può nulla contro la forza dei primi in classifica. Inoltre, la proposta della band, pur essendo il non-plus-ultra dello stereotipo metal-core di deriva svedese, è decisamente più monotona e ripetitiva di quella di chi li ha preceduti, quindi alla lunga il combo tedesco tende a stancare un po’. I ragazzi hanno presentato in anteprima (seconda volta dal vivo) un pezzo nuovo, intitolato “I Will Never Let You Down”, che sarà presente sull’imminente “The Awakening”: è parso ricalcare in gran parte quanto proposto dai nostri nel recente passato, quindi breakdown, parti veloci, screaming e clean vocals, con qualche arrangiamento più sofisticato; unico dubbio suscitato, la lunghezza del pezzo, davvero notevole. Per il resto, il quintetto tedesco non ha entusiasmato più di tanto, sebbene la folla si sia prodotta in continui circle-pit ed in un wall of death comandato da Andy Dörner, il singer mascarato. Il tallone d’Achille del gruppo si confermano essere le clean vocals del chitarrista Denis Schmidt, mai convincenti e sempre più vicine a lagna lamentosa che a voce intonata. Ma tant’è, se la band continua imperterrita a perseguire questa soluzione, avrà i suoi buoni motivi. “The Beloved And The Hatred” è il brano di punta del gruppo e tale è risultato anche stasera. Conclusione affidata a “Goodbye”, tanti saluti e tutti a casa! Alla prossima calata italica dei Caliban, che, ne siamo certi, non tarderà a venire. Buonanotte.
 
 
 

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