PURIFIED IN BLOOD
Poco dopo le venti inizia le ostilità il “NorVegan metal” dei Purified In Blood, che si lanciano velocemente in un thrash death molto vicino agli Slayer, alterato dalle matrici vegan core, filosofia che il gruppo abbraccia apertamente. Il doppio cantato è di impatto, come l’intera scaletta e soprattutto il pezzo che chiude la performance. Peccato che ci sia tanta carne sulla tavola della formazione quanto cervello nella testa del singer che, ringalluzzito come un babbuino in calore, una mezz’ora dopo, durante l’act dei The Agony Scene, dispenserà calci volanti con tutta la sua energia alla gente inerme nelle prime file, e una volta preso un bel calcione nelle terga tatuate, avrà pure il coraggio di attaccare rissa. Carenza di proteine? Probabilmente solo palese frustrazione di un ometto minuscolo che deve sfogare in qualche maniera la sua astinenza sessuale. Se vuoi giocare stai alle regole del gioco e se vuoi attaccare rissa puoi anche tornare nel tuo Paese, caro norvegese… Hai fatto solo la figura dell’ignorante.
NEAERA
I Neaera (come si pronunci esattamente resta un mistero) continuano con un death svedese non troppo originale e una presenza scenica più che sufficiente, ma lontana dall’essere memorabile. Il combo tedesco, che ha pubblicato il nuovo “Let The Tempest Come” a distanza di un anno dal precedente “The Rising Tide Of Oblivion”, gioca col pubblico e si diverte regalando una performance pulitissima e senza sbavature. Niente clean vocals grazie al cielo, solo tanto dannato headbanging per i tedeschi… Ma cosa c’è effettivamente di hardcore? Niente, ma va bene così. Ancora troppo impacciati on stage, tanto che qualcuno preferisce farsi una birretta durante i minuti a loro disposizione, rischiano di essere spazzati via alla prossima fine di questo trend nominato metalcore.
THE AGONY SCENE
Tocca ai The Agony Scene, il gruppo che si è dimostrato più simpatico durante la giornata assieme agli headliner, in quanto sempre in mezzo al pubblico a ridere e scherzare coi fan. Fa eccezione il solitario Mike Williams, solo, triste e turbato, in contrasto col resto della band. Quando però Mike salta sul palco, pur nelle sue fattezze davvero lontane dalla bellezza, diventa una vera e propria belva. “Screams Turn To Silence”, “Prey” e le altre, prevalentemente estratte da “The Darkest Red”, vengono sputate sul pubblico coinvolto con una furia apprezzabile. Unico neo della performance, ovviamente abbastanza corta per esigenze di scaletta, è l’esecuzione, spesso critica, delle discusse parti melodiche. Se per il resto la performance sia strumentale che vocale è fedele al disco, le clean, che dovrebbero far svoltare il pezzo in una determinata maniera, sono stravolte da Williams, a volte per puro vezzo – pare – a volte per tenere fino alla fine una prova vocale al limite del tracollo. Buona in ogni caso la reazione del pubblico, ovviamente “frangettato” e nero vestito per l’occasione. Se resisteranno alle difficoltà della vita on the road potrebbero regalarci dei bei momenti.
CALIBAN
I Caliban erano una grossa promessa, ma hanno deluso un po’ tutti con quel disco-marchetta che è “The Undying Darkness”, tanto da risultare poco credibili come headliner di un minifestival come questo “Darkness Over Europe Tour”, che a fine serata andrà a riempire solo la metà della già ridotta capienza del Transilvania Live. E’ altrettanto vero, però, che i tedeschi sono sempre stati una ottima live band, che ha stupito parecchi a supporto degli In Flames qualche tempo fa e continua a farlo in ogni singola apparizione, italica e non. I Caliban si sono rivelati in forma per questa data milanese, sfoderando tutte le armi migliori del proprio repertorio e dimostrandosi di gran lunga la band più abile, professionale ed esperta sulle assi del palco della serata, dimostrando di saper intrattenere e di divertirsi allo stesso tempo. Si inizia con la tragica “I Rape Myself”, cortesia di un abile taglia-e-cuci delle canzoni degli As I Lay Dying che tanto ha fatto discutere e che tanto ha affossato l’ultimo debole disco del gruppo: i tedeschi non ci fanno caso e tirano dritto per la loro strada, il pubblico è dalla loro parte quindi nessun problema. La gran parte delle canzoni è tratta dal riuscito “The Opposite From Within”, che giustamente coinvolge maggiormente con le hit “The Beloved And The Hatred”, “Stigmata”, “My Little Secret” e la conclusiva “Goodbye”. Pochissimi gli spunti dal periodo pre-Roadrunner, come “Forsaken Horizon” a metà scaletta e “Love Taken Away”, mentre “It’s Our Burden To Bleed”,”Nothing Is Forever” e “Together Alone” sono le prescelte dall’ultima opera. Uno dei punti più deboli del live set dei Caliban è sempre stato il chitarrista Denis, autore delle parti pulite. Dopo tour estenuanti e qualche lezione di canto i risultati si vedono finalmente, e a parte qualche pesante stecca, immancabile per un non-cantante, la prova si mantiene su livelli accettabili per tutta la durata del concerto. Per il resto un’ora molto godibile e coinvolgente, peccato per l’immobilismo compositivo di una formazione che, dalle prime file del movimento metalcore, si è trovata pericolosamente nella mischia.