Introduzione a cura di Simone Vavalà
Report a cura di Simone Vavalà e Roberto Guerra
Doom Over Medhelan: l’altisonante e un po’ desueto nome scelto per identificare la serata è adeguato a descrivere le sonorità che troveranno posto sul palco, pur con qualche concessione più eterodossa. Ben quattro band italiane in cartellone, con particolare rilievo per i Novembre, la storica band romana che ha segnato l’epopea del death-doom metal nel nostro Paese con una manciata di album seminali, e un headliner d’eccezione: il ritorno dalle nostre parti dei Candlemass è come sempre un’occasione di un certo livello, come confermato dai circa 500 presenti che hanno gremito lo Slaughter Club. Si spengano le luci, dunque, si accenda la macchina del fumo and…let the sabbath begin!
CRIMSON DAWN
Diamo il via alla proverbiale discesa nelle tenebre in compagnia dei milanesi Crimson Dawn, formazione già relativamente nota all’interno del panorama doom metal made in Italy. Il loro spettacolo trova la propria forza in una presentazione alquanto caratteristica a base di mantelli e vessilli dal retrogusto para-medievale, degno emblema dello stile tipicamente epic doom del combo lombardo. Ovviamente anche la musica non è da meno, in quanto perfettamente inserita nel contesto e arricchita da versatili inserti di tastiera; il tutto ben eseguito da una lineup sempre e comunque sul pezzo quando si tratta di far parlare gli strumenti musicali, favorita inoltre da un buon lavoro di equalizzazione sonora in grado di rendere ben riconoscibile ogni estratto inserito nella breve scaletta. Menzione a parte per il vocalist Antonio Pecere, la cui performance é da annoverare tra le migliori dell’intera serata.
(Roberto Guerra)
ARKANA CODE
Deviamo temporaneamente sul metal estremo in compagnia di questa death metal band abruzzese di recente esordio, che naturalmente non può che apparire scalpitante al pensiero di condividere con tutti noi la propria musica, contenuta nell’attualmente unico full-length “Brutal Conflict”. Il death proposto dagli Arkana Code può vantare derive oscure e personali e, sebbene la loro proposta non risulti particolarmente allineata al resto della serata, si lascia apprezzare senza infamia dagli ascoltatori presenti. La capacità esecutiva della band travalica i limiti di un’esibizione in parte fuori contesto e lascia ben sperare per futuri show in altre situazioni, mentre il pubblico dello Slaughter Club si prepara ai nomi grossi.
(Roberto Guerra)
ADRENALINE
Prima dei suddetti nomi grossi, va fatto un discorso in parte opposto per i toscani Adrenaline, la cui deriva di genere indicativamente hard&heavy moderno potrebbe all’apparenza lasciare basiti gli ascoltatori più affezionati all’old school funereo protagonista della serata. Tuttavia, nel corso dell’esibizione, appare chiaro come questi ragazzi sappiano davvero il fatto loro, tant’è che ogni brano riesce a mostrarsi accattivante, ben composto ed eseguito con classe, nonostante la proposta e l’attitudine on stage, molto caciarona e festaiola, siano fuori contesto: il palestratissimo vocalist Francesco Terranova, oltre a una presenza on stage imponente, può vantare anche una invidiabile dose di voce di cui fare sfoggio, e l’energia trasmessa dai musicisti che lo accompagnano non risulta assolutamente essere da meno. Fa sempre piacere quando, contro ogni aspettativa, una band dal vivo riesce a convincerci lasciando così poco spazio ad eventuali dubbi: per questo vi invitiamo a dar loro una possibilità, poiché siamo certi ci sarà ancora modo di sentir parlare degli Adrenaline in futuro.
(Roberto Guerra)
NOVEMBRE
Si passa al clou della serata con i Novembre di Carmelo Orlando, ultimo superstite della formazione che a metà degli anni Novanta, e non solo, ha contribuito a dare fasto alla musica italiana. Accompagnato dalla stessa lineup che ha segnato il comeback degli ultimi anni, Orlando sceglie di offrire dal palco dello Slaughter Club un set completamente incentrato sugli album (“Classica” e “Novembrine Waltz”) che hanno reso grande il nome della band, quando meritatamente veniva citata, assieme a compagni di tour quali Moonspell, Opeth e Katatonia, tra i grandi del filone più gotico e suadente del metal; ed è evidente come certi pezzi non siano affatto invecchiati. Dai riff trascinanti di “Love Story”, passando alle atmosfere ribassate, nostalgiche e trasognate delle tracce di “Classica” (che fa la parte del leone per numero di estratti), si torna indietro fino all’ossessività cupa del loro primo highlight, “The Dream Of The Old Boats”, che chiude la setlist a mo’ di bonus-track. I Novembre sanno ancora declinare perfettamente la loro oscura e insieme sfaccettata proposta; l’acustica del locale non è forse l’ideale per rendere al meglio i passaggi più romantici e al tempo stesso le linee vocali pulite, allorquando vanno in primo piano, perdono forse un po’ di limpidezza, ma la qualità dei brani proposti e la resa complessiva restano davvero invariate nel tempo.
(Simone Vavalà)
CANDLEMASS
Come assodato dall’inizio di questo tour, e forse ancor prima dal ritorno in formazione di Johan Längqvist, i Candlemass sono tornati a guardare al loro più glorioso passato, con una scaletta da brividi concentrata sui primi quattro album; in aggiunta, un solo estratto dal recente “The Door To Doom”, un lavoro che guarda comunque con classe alla fine degli anni Ottanta, quando gli svedesi quasi inventarono questo genere. Il loro è un doom malinconico e ossianico, dove la potenza dei riff emerge però sempre, e in questa occasione onorano il loro nome senza titubanze. Längqvist può forse mancare in termini di presenza scenica rispetto al mitico Messiah Marcolin, ma non sfigura di certo al confronto, e appare quasi miracolosa la sua sicurezza, vocale e come frontman, se si pensa che in trent’anni ha calcato i palchi solo in sporadiche occasioni; proprio l’apertura, affidata a una sequenza di brani cantati in origine dal possente Marcolin, mostra tutta la sua spavalderia e l’intensità espressiva di cui è capace, con momenti da brividi su “Bewitched”: il palco si trasforma in un altare, la performance in un’accorata elegia funebre, il tutto senza perdere quell’attitudine hard rock quasi scanzonata che i Candlemass sanno far aleggiare dietro le loro tracce oscure. Da segnalare, poi, il ritorno sul palco di Leif Edling, vero mastermind della band, sempre più auto-relegatosi negli ultimi anni al ruolo di manager dietro le quinte; ma gli anni, evidenti nel fisico e nella barba canuta, non scalfiscono una performance di primo piano, durante la quale non risparmia di rivolgersi con affetto al pubblico. Arriva poi il momento di ben cinque estratti dal seminale “Epicus Doomicus Metallicus”, un album che evidentemente è ancora nel cuore della band quanto in quello del pubblico, con il finale affidato – come da copione – alla sublime e straziante “Solitude”; uno dei brani manifesto del doom stesso, che viene accolta in un silenzio colmato solo dall’emozione palpabile di tutti i presenti.
And please let me die in solitude…
(Simone Vavalà)