Report a cura di Simone Vavalà
Il cinepanettone il 26 dicembre, l’esodo estivo, seguire la Nazionale almeno per i mondiali. Manca qualche altra sicurezza del nostro Belpaese, all’elenco? Ma certo: la periodica, devastante e affidabile calata dei Cannibal Corpse, che non per nulla richiamano ormai da diversi lustri un pubblico fedele e devoto. È quindi con piacere che, dopo aver fisiologicamente saltato qualcuna delle loro più recenti esibizioni, ci rechiamo a vederli sull’ormai altrettanto classico palcoscenico dell’Alcatraz, accompagnati da una bella realtà emergente e un’altra band di (quasi) pari storia.
HIDEOUS DIVINITY
Giunti con largo anticipo all’Alcatraz, memori di recenti controlli di sicurezza degni dell’omonimo carcere, abbiamo il piacere di assistere per intero (miracolo!) all’esibizione della band di apertura, e per fortuna: i cinque romani mettono in scena un concerto di grandissima potenza e musicalmente impeccabile: circa tre quarti d’ora in cui riescono anche a ridurre leggermente l’approccio tecnico ben presente su disco a favore di un ancor più forte impatto. Leggasi: violenza. Il tutto grazie a una sezione ritmica assolutamente sugli scudi e una buonissima presenza scenica, su cui il vocalist Enrico si staglia con simpatia e senza mai sembrare sopra le righe. E scusate, ma quando mancano un paio d’ore all’arrivo sul palco dei Cannibal Corpse, farsi notare risulta doppiamente difficile ed apprezzabile. Sei pezzi si susseguono da entrambi i full-length finora pubblicati, con la chiusura affidata a “Cobra Verde”, trascinante title-track del loro ultimo lavoro; la convinzione di aver assistito all’esibizione di una band destinata a grandi cose, che non per nulla sta seguendo gli headliner per tutto il tour europeo, è forte.
KRISIUN
Altro giro, altro regalo, e quando tocca ai tre fratelli Camargo/Kolesne salire sul palco, la serata non cala certo d’interesse. Venticinque anni di attività si sentono e, a parte qualche piccola incertezza nel mixaggio iniziale, soprattutto per quanto riguarda la resa della batteria, i brasiliani sanno trascinare alla grande; anche per loro poco meno di un’ora intensissima, durante la quale la fanno da padrone i riff indemoniati e spezza-collo di Moyses, perfettamente integrati alla sezione ritmica semplicemente devastante. La scaletta della serata è incentrata per metà su “The Great Execution”, da cui vengono estratte “The Will To Potency”, “Blood Of Lions” e “Descending Abomination”, con la scelta di suonare un solo brano dell’ultimo “Forged In Fury”, ossia “Scars Of The Hatred”, e di non ripescare alcun classicone più datato; sicuramente a beneficiarne è il muro del suono complessivo, dato che i pezzi si susseguono senza permettere di rifiatare, con solo un brevissimo drum solo prima della conclusiva “Hatred Inherit”. Decisamente sul pezzo e come sempre in grado di tenere il palco alla grande anche se solo in tre.
CANNIBAL CORPSE
Sono le 21.20 quando tocca ai cinque Cannibali calcare il palco e come sempre l’atmosfera è particolare; ovvio, una band brutal death difficilmente fa assistere a scene d’isteria di massa da parte del pubblico, ma l’attesa è fortissima e, nonostante la frequenza dei loro passaggi in Italia, la partecipazione sempre caldissima. E a ragione: anche loro, come le precdenti due band, si esibiscono senza un nuovo album da promuovere, ma davvero per la band di Alex Webster questo è un punto di scarsa importanza: il primo colpo di mannaia è affidato a “Evisceration Plague” e un meraviglioso greatest hits si sussegue nell’ora e venti di esibizione, mettendo a dura prova i fedelissimi dell’headbanging. Serve sicuramente l’allenamento e il collo taurino di George Fisher per agitarsi ininterrottamente per tutto il tempo, ma pezzi come “Stripped, Raped And Strangled”, “The Wretched Spawn” o “I Cum Blood” farebbero pogare anche Stephen Hawking e fanno salire l’adrenalina alla grande; la band è in eccellente forma e anche l’occasionale e forse cattivella sensazione che Mazurkiewicz alle volte sia sotto tono rispetto al resto della band questa sera non fa affatto capolino. Ed è inoltre, al solito, accattivante l’atteggiamento scanzonato dei cinque deathster, pronti al sorriso mentre sciorinano note alla velocità della luce – Pat O’Brien su tutti. Dicevamo delle tradizioni, e come ormai da anni quasi sempre avviene la chiusura è affidata alla doppietta “Hammer Smashed Face” (costante) e “Devoured By Vermin” (orgasmo multiplo): roba che le lacrime scendevano meno copiose sulla conclusiva “Locomotiva” ai concerti di Guccini. Bentornati: vi aspettiamo di nuovo fedeli, accucciati sulle ginocchia e con le corna al cielo tra qualche mese.