Introduzione di Alessandro Elli
Report di Alessandro Elli e Giacomo Slongo
Fotografie di Benedetta Gaiani
Arriva finalmente anche a Milano il carrozzone thrash/death metal più atteso dell’anno, con quattro band che interpretano il genere in modo differente racchiuse in un pacchetto che rappresenta un’occasione ghiottissima per gli appassionati, tanto che i biglietti per questo spettacolo infuocato sono stati venduti con largo anticipo.
I Cannibal Corpse, assenti dall’Italia fin dal lontano 2019, provengono da Buffalo e sono una vera e propria leggenda del death metal interpretato nella maniera più brutale e feroce, con una carriera iniziata alla fine degli anni ’80, sedici album e testi gore che nel tempo hanno acceso polemiche e scatenato censure.
Più scanzonato l’approccio dei loro connazionali Municipal Waste che, con il loro thrash metal intriso di hardcore punk, sono dei veri e propri animali da palcoscenico e puntano più sul lato goliardico, attraverso brani brevi e diretti. Si torna al death metal con gli Immolation, tra i fondatori della scena di New York ed autori di dischi storici quali “Dawn Of Possession” e “Close To A World Below”, in uno stile complesso e rigoroso che da sempre rappresenta il loro marchio di fabbrica. Infine, gli italo-belgi Schizophrenia, i più giovani del lotto, portano in tour il loro debutto del 2022 “Recollections Of The Insane”, una miscela di thrash e death metal che guarda al passato e che sembra essere ideale per essere proposta dal vivo.
La location scelta per questo poderosa esibizione è l’Alcatraz, preso d’assalto da un pubblico eterogeneo di cultori di queste sonorità, con attempati metallari e ragazzi ai loro primi concerti fianco a fianco nella folla numerosa.
Ecco il report della serata!
Un orario d’inizio come le 18,30, in un giorno lavorativo, potrebbe sembrare proibitivo in una città trafficata e caotica come Milano, eppure, quando gli SCHIZOPHRENIA, puntualissimi, si affacciano sul palco dell’Alcatraz, il pubblico è già piuttosto consistente.
I belgi, con frontman italiano, non sono di certo timidi, ed aggrediscono fin da subito i presenti con il loro assalto sonoro: il loro look tradisce quelle che sono le evidenti influenze, che vanno dai primi Sepultura (e non potrebbe essere altrimenti, visto il nome che si sono scelti) ai Sarcofago e i Demoltion Hammer, in un passato in cui era difficile distinguere il thrash dal death metal.
La tecnica strumentale è buona, così come la presenza scenica, con il cantante/bassista Ricky Mandozzi che, sentendosi per una volta a casa, risulta particolarmente carismatico. Ciliegina sulla torta, una dirompente esecuzione di “Black Magic” degli Slayer eseguita con Rob Barrett dei Cannibal Corpse in qualità di ospite. Per chi non li conosceva, un’ottima scoperta. (Alessandro Elli)
Archiviata la convincente prova degli Schizophrenia, è quindi il momento dei veterani del death metal newyorkese IMMOLATION, ai quali bastano una manciata di secondi per imporsi sul palco dell’Alcatraz e dare un senso ai concetti di ‘dominazione’ e ‘potenza’. Non che ci aspettassimo qualcosa di diverso da parte di Ross Dolan e compagni, qui chiamati a promuovere quell’“Acts of God” rilasciato nel febbraio 2022, ma quanto offerto stasera ha finito addirittura per superare le previsioni, complici dei suoni mastodontici in grado di competere agevolmente con quelli degli headliner.
Un muro di suono impressionante ha infatti avvolto la prestazione fin dall’incipit affidato a “An Act of God”, consentendo alla proverbiale superiorità del quartetto americano di spiccare il volo e dare allo show un taglio ancora più severo e impattante, con il growling viscerale del suddetto frontman a fare da collante tra la batteria-metronomo di Steve Shalaty e le chitarre ora arcigne, ora maestose della premiata ditta Vigna/Bouks, parimenti impeccabile e ‘scenografica’ grazie soprattutto alle movenze marziali del primo.
Al solito, ci si è concentrati sugli episodi più recenti della discografia, ma – vista la qualità di questi ultimi – non si può dire che la resa complessiva sia stata smorzata, anzi: episodi del calibro di “The Distorting Light”, “When the Jackals Come” e “Noose of Thorns” hanno ribadito come queste leggende, a differenza di molti altri veterani, non debbano attingere necessariamente dai classici per offrire una performance di valore, mentre il colpo del KO è stato comunque affidato alle bordate old-school di “Father, You’re Not a Father” (da “Close to a World Below”) e “Into Everlasting Fire” (dal seminale esordio “Dawn of Possession”), chiusura esemplare della migliore data italiana dei Nostri da diverso tempo a questa parte. (Giacomo Slongo)
La proposta dei MUNICIPAL WASTE è sicuramente quella che si allontana di più dal tema della serata: la band della Virginia, infatti, suona un thrash metal memore della lezione di gruppi quali i Vio-lence, imbastardito da massicce iniezioni di hardcore punk e, soprattutto, condito con un’attitudine festaiola che sembrerebbe stonare in questo contesto.
Ma gli americani sono artisti navigati, sanno come conquistare il pubblico che hanno davanti e non stupisce che i loro brani secchi e veloci scatenino il putiferio: Tony Foresta conferma di essere una forza della natura, in uno scenario che è un’esplosione di colori, e i suoi compari, non da meno, sparano riff sui quali è impossibile rimanere immobili. Con il loro look fatto di jeans sgualciti, bandana e sneakers, i cinque sprigionano un’energia che non sempre è scontata per un gruppo sulla scena da ormai così tanto tempo, incitando costantemente le prime file a scatenarsi in un pogo sfrenato che vede poche pause durante l’intera esibizione.
La discografia dalla quale pescare è ormai piuttosto nutrita, tanto che i thrasher di Richmond scelgono di proporre pezzi tratti da quasi tutti i loro dischi e, se da un alto dimostrano di non essere tipi che vanno troppo per il sottile, dall’altro sono anche ottimi musicisti, con un tiro veramente micidiale ed una compattezza che trasforma musica semplice come quella di “Wave Of Death” o “You’re Cut Off” in una vera e propria bomba.
La reazione è scontata, con circle pit giganteschi sulle note di canzoni travolgenti e con ritornelli facili quali “Sadistic Magician” e “Headbanger Face Rip”, a riprova che, anche in un mondo serioso come il nostro, non prendersi troppo sul serio può essere un’arma vincente. Il finale, affidato alla sintomatica “Born To Party”, non potrebbe chiudere in modo migliore tre quarti d’ora di puro divertimento. (Alessandro Elli)
Impossibile non ascrivere il nome dei CANNIBAL CORPSE alla voce ‘certezze della vita’. Impossibile, di volta in volta, non ribadire la straordinaria etica artistica e lavorativa di questi musicisti ormai stabilmente accasatisi nella soglia dei cinquanta. Impossibile, dopo l’ennesima grande prova di forza sul palco, non tracciare una linea di demarcazione fra loro e molti altri esponenti della scena death metal americana degli anni Novanta (Deicide? Obituary? Morbid Angel?), quantomeno se si considera la capacità di rimanere influenti, migliorarsi e fare da aprifila al genere per gli ascoltatori più giovani (accorsi in massa anche stasera).
Quasi giunti al termine di questo lungo tour europeo, il quale verrà ricordato anche per la defezione di Erik Rutan, costretto a tornare negli States per i danni provocati dall’uragano Helene alla sua abitazione, i quattro si piazzano come di consueto al centro dello stage senza troppi convenevoli, sovrastati dal classico backdrop scarnissimo; a quel punto, un cenno di intesa e si parte a testa bassa sulle note di “Blood Blind”, singolo dell’ultimo “Chaos Horrific” che permette presto di capire come anche con una sola chitarra l’impatto della proposta sia salvo, complice l’autorevolezza di Rob Barrett nella gestione delle trame, e come George Fisher, vuoi anche per colmare il vuoto lasciato del compagno, sia ancora più calato nei panni di frontman del solito, scambiandosi di posizione con Alex Webster e cercando più spesso l’interazione con il pubblico.
Da questa cornice, ci si addentra quindi in un quadro di esperienza e perizia che, in maniera analoga a quello degli amici/colleghi Immolation, non lesina puntate nel repertorio recente, in quegli album post-“Kill” che – di fatto – hanno rilanciato totalmente la carriera del gruppo originario di Buffalo, le quali vengono poi intervallate a pezzi vecchia scuola come “Disposal of the Body” (dal sempre sottovalutato “Gallery of Suicide”), “Unleashing the Bloodthirsty” (da quella manata spaventosa di “Bloodthirst”) e, soprattutto, “Staring Through the Eyes of the Dead”, opener del capolavoro “The Bleeding” che spalanca le porte al finale occupato dalla doppietta “Stripped, Raped and Strangled”/“Hammer Smashed Face”.
Insomma, ricollegandoci al nostro discorso iniziale, nella vita ci sono cose che mutano in continuazione, altre invece no, trasmettendo sempre un senso ‘di casa’, di amore incondizionato per ciò che si dà e si riceve in un contesto protetto e sicuro. Lo stesso amore che, possiamo dirlo, i Nostri coltivano (e fanno coltivare) per quel grande genere di musica che è il death metal. (Giacomo Slongo)
Setlist:
Blood Blind
Scourge of Iron
Inhumane Harvest
Chaos Horrific
Death Walking Terror
Disposal of the Body
Pounded Into Dust
Summoned for Sacrifice
Fucked With a Knife
The Wretched Spawn
Unleashing the Bloodthirsty
Pit of Zombies
Kill or Become
Staring Through the Eyes of the Dead
Stripped, Raped and Strangled
Hammer Smashed Face
SCHIZOPHRENIA
IMMOLATION
MUNICIPAL WASTE
CANNIBAL CORPSE