Report a cura di Andrea Intacchi
Foto di Gigi Fratus per gentile concessione di Richard Milella Comunicazioni
E’ stato l’UFO Rock Club di Mozzo, nella bergamasca, ad ospitare l’unica data in suolo italico dei Castle, band heavy doom d’oltreoceano, guidata dal chitarrista canadese Mat Davis e della bassista e cantante californiana Elizabeth Blackwell – vera forza trainante del duo, sia in studio sia, come abbiamo avuto modo di vedere, on stage.
La maestria diabolica dei Black Sabbath, l’energia acida e roboante dei Motörhead, unita all’energia strabordante rilasciata dalla stessa Blackwell: questi gli elementi di una proposta catalizzante che avuto l’ennesima riconferma nell’ultimo album pubblicato, quell'”Evil Remains” al quale sono stato dedicate le ventidue date di questo tour europeo, tra Germania (con ben dodici show), Norvegia, Svezia, Danimarca, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Svizzera e, appunto, Italia.
Abbiamo quindi avuto la fortuna di recarci presso il locale sito nei pressi di Bergamo per incontrare la band e assistere da vicino alla potenza calamitante trasmessa dalla coppia di musicisti, divenuta un trio in sede live. Con loro, ad aprire il portellone dell’UFO, i Full Moon.
Sono le 22.00 in punto quando sul palco sono dunque saliti i FULL DOOM, doom metal band bergamasca particolarmente attiva nel periodo a metà degli anni Ottanta, riformatasi nel 2017, e che vede al suo interno alcuni elementi provenienti dai Nirnaeth, come i chitarristi Simone Fumagalli e Marco Grey Trombini, oltre al batterista Dylan Stucchi.
Con loro, al basso, Flavio Facchinetti, figura storica all’interno del panorama musicale locale, e Giorgio Scarpelli, chiamato a dirigere il rituale magico ed oscuro dietro il microfono nei panni di un sacerdote con tanto di crocifisso a testa in giù appeso al collo.
Lapide personalizzata, teschi e maschere: il corollario estetico dei Full Moon ha fatto da contorno ad una proposta d’annata, in cui il nome dei Withcfinder General ha sicuramente fatto breccia nello spirito dei cinque interpreti, i quali hanno messo in scena un perfetto quadro incorniciato di esperienza e qualità, supportati anche da una dignitosa resa sonora che ha reso ancor più appetibile e affascinante il tenebroso set.
Uno spettacolo che, oltre all’ottima versione dell’omonima “Witchfinder General”, ha avuto il suo momento culmine nella riproposizione di “Chains Of Death” dei Death SS, prima che lo stesso Scarpelli salutasse il pubblico con un sardonico “Che Satana sia con voi, anche se non esiste“.
Il tempo di una birra durante il cambio palco, di scambiare quattro chiacchiere con alcuni dei presenti, ed è ecco il turno dei CASTLE.
On stage quindi Mat Davis con la sua chitarra ‘legnosa’, la statuaria Elizabeth ed il batterista canadese Andrew Suarez, a completare il terzetto.
I due, erano appostati al banchetto merch fino a qualche minuto prima di mettersi all’opera, disponibilissimi per una battuta, un autografo o una semplice stretta di mano: questa condivisione tra i due ed il pubblico si è ulteriormente cementata durante il concerto.
Già, perchè sin dalle prime note di “Nosferatu Nights”, dall’ultimo “Evil Remains”, l’atmosfera all’interno dell’UFO ha preso una piega quasi ipnotica: ad accompagnare le sferzate di Suarez, infatti, ci hanno pensato da una parte i riff e le melodie impartite da Davis, quasi posseduto nella sua matassa di capelli brizzolati, mentre dall’altra, l’istrionica Blackwell ha iniziato a ‘prendere a pugni’ i presenti con la sua voce roca e le sue movenze serpentesche.
Frontwoman autoritaria, in grado di catalizzare l’attenzione grazie, come detto, ad una vocalità difficilmente etichettabile: profonda ed isterica nello stesso tempo, capace di dare la giusta enfasi di mistero e follia, avvalorando quella schiettezza miscelata di hard rock e doom, fondendo insieme le dogmatiche e pesanti litanie dei Saint Vitus alle vorticose e telluriche scosse motorheadiane.
Anche la sezione ritmica risulta sugli scudi, perfettamente coordinata dall’operato alle sei corde di Davis, sempre pronto ad intarsiare nuovi riff di facile presa su una folla non così agitata, ma sicuramente attenta e coinvolta.
Si è detto di come il tour fosse dedicato all’ultimo lavoro partorito in studio, e così è stato: senza perdersi in discorsi o altre frasi declamatorie, i Castle hanno premiato il nuovo disco con la stessa title-track, “1000 Eyes”, dall’incedere ultra sabbathico, la trascinante “Deja Voodoo”, dimostratasi altrettanto potente e corposa anche in sede live, e “Black Spell”, posta in quello che sarebbe dovuto essere il finale dello show ma che, di fatto, è diventato uno dei brani di una scaletta quasi infinita.
Spinta dall’euforico responso del pubblico, infatti, la band ha ripreso più volte in mano gli strumenti per dare esito positivo al classico ‘one more‘: ed allora, tra le altre, sono arrivate “Red Panthom”, dal precedente “Deal Thy Fate”, “Hammers And Cross” dall’album “Welcome To The Graveyard” e la cattivissima “Corpse Candles” estratta da “Blacklands”. Un turbinio ad altissimo volume capace di rapire le orecchie dei presenti, trasportandoli, come si suol dire, in un’altra dimensione.
Un’esperienza davvero speciale, intima, ma carica di energia; una sventagliata di heavy-doom senza fronzoli e la testimonianza di una devota passione per la musica, come sottolineato dagli stessi Mat ed Elizabeth anche al termine dello show, fermatisi ancora per lungo tempo ad accogliere i meritati complimenti da parte dei fan accorsi.
Per chi se li fosse persi, il suggerimento è quello di non lasciarseli sfuggire la prossima occasione.