12/04/2011 - CHILDREN OF BODOM + ENSIFERUM @ Alcatraz - Milano

Pubblicato il 16/04/2011 da

A cura di Riccardo Plata
Foto di Francesco Castaldo

Nonostante il calo qualitativo della discografia più recente e la contemporanea partita di Champions dell’Inter, impegnata in un’impossibile rimonta in terra tedesca, è un Alcatraz discretamente affollato quello che accoglie la nuova calata italica dei bambini di Bodom, per l’occasione accompagnati dai Machinae Supremacy e dai ben più tamarri Ensiferum, per una serata tutta all’insegna del metal finnico. Persa purtorppo l’esibizione dei primi, inventori del SID Metal accolti in maniera un po’ tiepida dal pubblico meneghino, cominciamo quindi dai cinque vichinghi il resoconto di una serata con molte luci e qualche onbra, almeno per chi scrive…

ENSIFERUM

Dopo l’accoglienza tiepida riservata agli opening act Machinae Supremacy, a scaldare gli animi di un’Alcatraz già affollato ci pensano gli Ensiferum, band ancora non di prima fascia ma perfetta nel ruolo di supporter per una serata come questa. Vichinghi nel sound e nel look – con tanto di face painting, gonnellone e, tastierista esclusa, torso nudo – i cinque finnici conquistano l’audience grazie ad un viking/pagan/power metal con chitarre tirate e cori da balera, fino ad arrivare al TA-TA-RA-TA TA-TA-RA-TA della cavalcata finale “Iron”, cantato a squarciagola da tutti gli astanti. Nel mezzo le divertenti esecuzioni delle varie “From Afar”, “Into Battle” e “Lai Lai Hai” hanno sopperito con l’energia e la simpatia a dei suoni non ancora perfetti e ad alcune stecche ai contro cori, poco rilevanti vista l’alta gradazione dello show. Congedatisi prima ancora che l’Inter fosse ancora uscita dagli spogliatoi, gli Emisferum hanno sfruttato a dovere la mezz’ora abbondante a loro disposizione, lasciando un pubblico scaldato a dovere in attesa dei propri beniamini…

CHILDREN OF BODOM

Con puntualità finnica, alle 21 in punto entrano in scena i cinque bambini di Bodom capitanati da un Alexi Laiho da subito al centro della scena, sia per il magnetismo esercitato dalle sue plettrate al fulmicotone che per la predisposizione del potente impianto luci, evidentemente focalizzato al centro del palco e meno incline ad illuminare il resto della band, relegata a livello di presenza scenica e nojn solo ad un ruolo di secondo piano per il resto dello show. Poco male comunque, perchè la partenza sparata affidata all’opener del nuovo disco "Not My Funeral" è di quelle che lasciano il segno, soprattutto vista la potenza sprigionata dalle successive "Bodom Beach Terror" e "Needled 24/7", pescate da quello che resta l’album più riuscito della discografia recente del gruppo. Purtroppo però, complice una resa sonora sempre più impastata in cui le linee vocali si perdono sotto la batteria, il proseguio dello show mette in mostra la scarsa presa dal vivo del materiale più recente, a partire dalle inascoltabili, almeno in questa versione, "Ugly" e "Roundtrip to Hell and Back". Fortunatamente, a risollevare le sorti di uno show pericolosamente in declino, ci pensa la sempre verde "Children Of Bodom", sulle cui note fan vecchi e nuovi della band possono scatenarsi nel pogo. Tralasciando la trascurabile "Blooddrunk" – unico estratto dall’omonimo penultimo disco: scommettiamo che al prossimo tour "Relentless, Reckless Forever" farà la stessa fine? – e la fin troppo cadenzata "Angels Don’t Kill", i momenti migliori dello show arrivano sul finale con "Follow The Reaper" e l’intramontabile "Downfall", apice della serata che chiude la prima parte dello show dopo un’ora esatta. Nessuna sorpresa nei bis, dove trovano posto il singolo "Was It Worth It?" e la trascinante "Hate Crew Deathroll", e tutti a casa dopo un’ora e un quarto di show, in linea con il minutaggio sempre più contenuto delle loro ultime uscite. Anche se la qualità della musica non si misura con la clessidra, qualche canzone in più, magari pescata dal primordiale debutto "Something Wild", avrebbe reso più felici i fan più di vecchia data, ma evidentemente Alexi "wildchild" Laiho ha ormai messo la testa a posto o, più probabilmente, non vuole avere sulla coscienza l’ora buca del giorno dopo del vasto pubblico in età scolare presente stasera. Senza voler cadere preda di facili nostalgie, sul giudizio finale della serata pesano, oltre ad una resa sonora imbarazzante nella parte centrale, l’eccessiva freddezza della band, compreso uno scazzatissimo Janne Wirman, e il netto divario tra il materiale più recente e quello più datato, sintomo di una band ormai appagata dal proprio status quo ma comunque, è giusto riconoscerlo, ancora capace di offrire un buono spettacolo dal vivo e soddisfare la stragrande maggioranza del pubblico presente stasera.

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