Report di Denis Bonetti
Fotografie di Isabella Quaranta
Nel nostro paese, per lungo tempo, i festival e i concerti ‘particolari’, in location o situazioni suggestive si sono potuti contare sulle dita di una mano.
Chi scrive ricorda il primi Evolution Fest sulle rive del lago di Garda, la data dei Sunn O))) al Labirinto della Masone a Parma e le prime timide calate di gruppi dalla forte identità artistica in teatri più o meno selezionati, come gli Ulver. Per molti anni, in Italia è stato molto difficile anche solo immaginare una location come il fiume Soča in Slovenia – la prima location del Metalcamp – o la caverna di Balve in Germania, culla del Prophecy Fest, o ancora l’accogliente nucleo cittadino di Tilburg con le varie sedi che hanno ospitato i Roadburn o i primi Neurotic/Netherlands Deathfest.
Pian piano però, anche dalle nostre parti si stanno curando le scelte delle location e gli spartani locali live in zone industriali o i parcheggi (al massimo prati) per i fest non sono più l’unica realtà disponibile.
Il Church Of Crow Doom Festival rappresenta esattamente questo tipo di volontà: una kermesse musicale tutta dedicata al doom metal che si svolge in una suggestiva chiesa sconsacrata in quel di Pinerolo, nella provincia torinese.
Dopo aver avuto modo di constatare il successo della prima edizione nel 2023 – andata sold-out con headliner Ahab e Mourning Beloveth – non ci siamo fatti scappare i biglietti per la seconda, allargata a due giorni e con un totale di quindici band.
SABATO 4 MAGGIO
L’arrivo a Pinerolo nel primo pomeriggio di sabato è per noi duplice: da un lato ci accorgiamo con stupore che la parte del centro storico è decisamente deliziosa, un incrocio di stretti viottoli molto caratteristici, al cui centro si trova la ex chiesa di San Giuseppe, oggi adibita a mostre ed eventi coordinati da una scuola di musica locale. Dall’altro, capiamo con un po’ di fastidio anche che non sarà semplicissimo parcheggiare, ma dopo un po’ di perlustrazioni riusciamo nell’intento e ci dirigiamo verso l’edificio che si apre in un crocevia di vie quasi del tutto pedonali, incorniciato da diversi palazzi e case sospese tra l’essere antiche o semplicemente vecchie e trascurate, anche se non in disuso – come scopriremo dal viavai dei portoni attorno alla chiesa.
Appena entriamo, stanno concludendo l’ultimo pezzo davanti a qualche decina di persone i THEDUS, di cui riconosciamo le sonorità ipnotiche e decisamente sludge.
Dopo il cambio palco, tocca ai laziali INVERNOIR e ci vuole poco ad apprezzare il loro approccio più classico, diviso fra My Dying Bride, Saturnus e certi vecchi Katatonia. Un altro punto di riferimento potrebbe essere l’esperienza musicale che stanno facendo gli Shores Of Null, con la loro disinvoltura nel muoversi attraverso influenze differenti. Degli Invernoir ci colpiscono varie cose: la maturità per un gruppo nel complesso comunque giovane (un solo disco ed un EP all’attivo), la versatilità della voce di Alessandro Sforza, efficacissima sia nello scream che nei puliti, e in generale usciamo dalla performance dei nostri con l’impressione di un gruppo con molte possibilità di farsi sentire nel prossimo futuro.
Avevamo ascoltato solamente qualche giorno prima il debutto “The Void And The Unbearable Loss” e quel che abbiamo riconosciuto dal palco di Pinerolo (tra cui la stupenda “House Of Debris”) ci è piaciuto molto.
Nel periodo di cambio palco decidiamo di acclimatarci e capire la disposizione dei servizi: nel cortile interno della chiesetta scorgiamo un paio di banchi di dischi, il merch di quasi tutte le band, i servizi igienici e l’angolo cibo e bevande, gestito da folkloristici volontari di un circolo ricreativo sardo (il “Grazie Deledda”, sic!) che distribuiranno per la due giorni birra in bottiglia e panini con salamella e wurstel, menù abbastanza impegnativo per così tante ore di festival.
Presa una birra, rientriamo per i GHOSTHEART NEBULA, altra band nostrana che si sta facendo notare per il buon debutto “Ascension”, esempio di doom metal talvolta al limite del funeral che trova i propri riferimenti anche in questo caso in Saturnus, Shape Of Despair e i celebri “Peaceville Three”.
I brani sono molto lunghi, ben orchestrati ed arricchiti anche in questo caso da una varietà delle prestazioni vocali di Maurizio Caverzan e Lucia Amelia Emmanueli e da qualche cavalcata che ne alleggerisce il peso. I Ghostheart Nebula vivono molto bene una dimensione tragica tipica di certo doom orchestrale, piena di crescendo alternati a suggestivi intermezzi di tastiere. Vediamo un po’ cosa succederà con il seguito, visto che il loro album è datato ormai 2021.
Il pomeriggio prosegue, e quando i CULTUS SANGUINE iniziano il loro set notiamo un certo ritardo in scaletta; decidiamo però di non preoccuparci e con il set dei lombardi si riconferma uno dei punti di forza del festival, ovvero la qualità dei suoni, nella prima giornata altissima e sempre chiara da qualsiasi punto dell’edificio. Sui Cultus Sanguine abbiamo poco da dire, visto che è la terza volta che li vediamo dal vivo nel giro di un anno.
Risentire i pezzi dei primi due album è sempre bello, sostenuti tra l’altro da suoni nitidi che mettono in risalto la voce di Joe Ferghieph e le chitarre taglienti di Aurian. La chiesa di San Giuseppe è davvero un posto scenograficamente meraviglioso, con le coloratissime luci che nel caso dei Cultus Sanguine indugiano sul rosso dell’artwork del recente “Dust Once Alive”.
Rispetto allo scorso anno – a disco appena uscito – abbiamo avuto il tempo di metabolizzare i nuovi brani che risuonano nella maniera migliore, con una evidente soddisfazione dei presenti. L’attitudine dei Cultus Sanguine, tutta volta alla negatività, che passa anche dalla teatralità di Joe, dal cappio che penzola, dall’allestimento di palco con rami secchi e quant’altro, in quel di Pinerolo ha funzionato perfettamente. Non siamo mai stati dei loro fan scatenati su disco, ma in questa occasione ce li siamo davvero goduti.
Dopo di loro, tocca agli SHORES OF NULL, che riportano a Pinerolo l’esecuzione di “Beyond The Shores” pezzo unico di quasi quaranta minuti composto e registrato durante il periodo della pandemia. E’ la terza volta che lo vediamo eseguito, la prima senza i visual, ma il risultato è sempre splendido, visto che si tratta di una composizione che richiama perfettamente lo spirito del doom in quanto tale, un vero e proprio manifesto di questa due giorni, se possiamo permetterci di dirlo, al netto dell’importanza e della grandezza degli headliner che verranno dopo.
In un eterno bilanciamento tra tristezza, lutto, malinconia e male di vivere, gli Shores Of Null si mostrano al pubblico in tutta la loro precisione esecutiva, ancora una volta. I suoni li sorreggono in maniera splendida per tutto il set e il lungo funerale spirituale di “Beyond The Shores” viene portato a termine nel migliore dei modi.
Dopo gli Shores Of Null abbiamo il tempo di farci un altro giro, mangiare qualcosa e socializzare con molti dei presenti. I numeri del festival sono in questo momento chiari: nuovamente sold-out, il Church Of Doom di quest’anno ha ospitato circa duecento paganti in entrambi i giorni, in buona parte abbonati ma anche diversi partecipanti per un solo giorno. E’ presente – fatto notevole, lo rimarchiamo – anche una delegazione straniera e sentiamo, nei momenti di break sugli scalini della chiesa, il classico inglese stentato e parecchie lingue straniere, fatto questo che ci riempie di soddisfazione.
Prima dell’esibizione dei due headliner della serata viene lasciato spazio ad un meet’n’greet che coinvolge Argento degli SPITE EXTREME WING e Mercy (Il Segno Del Comando, Malombra, Ianva), in occasione della ristampa del catalogo della band black metal italiana, sciolta quasi quindici anni fa e che non si è mai esibita dal vivo. Alcune decine di presenti rimangono nella chiesa e partecipano alla piccola conferenza stampa e alla proiezioni di una visual performance con alcuni brani storici della band accompagnati da immagini mixate dal vivo. L’evento è un po’ fuori contesto in un festival doom, ma ci rendiamo conto che parecchi di quelli che hanno partecipato solamente a questa giornata sono intervenuti anche per questo evento, confermando come la band black metal abbia mantenuto nel tempo un certo numero di fedeli seguaci disposti a seguirla anche in contesti particolari come il presente.
E’ ormai sera e i ritardi si sono accumulati parecchio per l’inizio dell’esibizione dei KYPCK, progetto nato dopo lo scioglimento dei Sentenced. Non molto noti in Italia, vedono in formazione Sami Lopakka e Sami Kukkohovi – qui entrambi ad occuparsi delle chitarre – e sono sempre stati una band particolare fin dal concept legato alla Russia e ad un immaginario di decadenza. I finlandesi hanno prodotto, dal 2008, ben cinque album sì piacevoli, ma che non ci hanno mai convinto del tutto.
Quello che invece vediamo dal vivo è ben presto molto diverso: i Kypck hanno un’anima decisamente più groovy e rock, grazie alla presenza sul palco del cantante Erkki Seppänen – intrattenitore di razza – e alla solidità dei musicisti coinvolti, che suonano e si muovono ad occhi chiusi per buona parte del tempo. Molto folkloristica risulta anche la chitarra di Lopakka, per l’occasione con il corpo a forma di AK-47. L’immaginario sovietico decadente, reso vivo tramite i testi (che, ricordiamo, sono tutti in lingua russa) e le uniformi minimali da lavoro è sostenuto ancora una volta dalle luci e dalla location che risulta ancora perfetta per regalarci ricordi indelebili della loro prova. I nostri suonano una setlist varia, con brani da un po’ tutti i periodi e coinvolgono il pubblico facendo cantare, interagire e divertire appieno. Dal punto di vista strettamente live, i migliori della serata per distacco, seguiti dalla chiesa praticamente piena.
Siamo in conclusione ormai – pure un po’ stanchi – quando con più di un’ora di ritardo gli SKEPTICISM arrivano sul palco di Pinerolo, attesi da non tantissima gente, ma ce lo aspettavamo, vista l’ora tarda e la difficile proposta dei nostri. E’ la quarta volta che li vediamo dal vivo, seconda sul suolo nazionale e sappiamo ormai cosa aspettarci.
E’ un rituale vero e proprio, quello dei quattro, in cui la musica è solamente una parte. Ci sono i vestiti da cerimonia sgualciti, le rose bianche, il pianoforte con lo specchio rotto e soprattutto, la solennità dei gesti lenti e esasperati. Nell’ora abbondante a loro disposizione abbiamo assistito forse alla migliore delle setlist, con quasi una decina di brani ripresi da praticamente tutti gli album, tra cui i nostri preferiti “Farmakon” e “Alloy”.
Tutto è come ci aspettavamo, quindi la riflessione che vogliamo lasciare ai lettori è la seguente. Il doom è un genere musicale ritenuto statico e monolitico, spesso giustamente. Noi siamo d’accordo, ma gli Skepticism nel tempo hanno creato qualcosa di particolare che è apprezzabile davvero solamente dal vivo: stiamo parlando di musica prepotentemente decostruita, a suo modo sperimentale.
Se esistono realtà come i Bell Witch, che con il loro approccio apparentemente trasversale al funeral hanno attirato così tante persone, è negli Skepticism che possiamo trovarne i precedenti: il set scheletrico di batteria con i tamburi disposti in modo unico, le bacchette con il maglio in feltro, la mancanza del basso, la modularità del suono che però non diventa mai ‘drone’. Gli Skepticism nel tempo hanno saputo realmente scomporre un genere di musica, estremizzandolo, affilandone solamente alcune componenti, togliendone molte altre e perciò creando un suono decisamente non per tutti, pieno di dolore e disperazione.
Lenti, inesorabili, meravigliosamente in parte nel non mostrare emozioni fino a fine set, hanno dimostrato ancora una volta la loro supremazia spirituale su tutto un (sotto)genere: se negli anni la definizione di funeral doom – grazie alle moltissime band nate in seguito – può essere diventata persino ‘sui generis’, di sicuro questo non riguarda loro. Il vero funeral doom passerà sempre per di qua.
DOMENICA 5 MAGGIO
La seconda giornata del Church Of Crow inizia nel primo pomeriggio e ci rechiamo presso la chiesa solamente dopo pranzo e diverse ore di sonno.
Tocca agli SLOW ORDER aprire le danze, e il loro stoner doom ci pare di buona fattura, anche se non particolarmente originale. Seguiamo circa metà del loro set, insieme ad un’altra ventina di presenti: troviamo encomiabile il loro entusiasmo sul palco, e quindi ci segniamo il nome e vedremo di approfondirne la dimensione da studio una volta tornati a casa.
Con gli EXPIATORIA arriva la prima band più vicina al classic doom, stile che sarà affrontato parecchie volte in questa seconda giornata. I genovesi, nati nel lontanissimo 1987, sono tornati attivi con il disco “Shadows” nel 2022 e hanno di recente modificato la formazione, con l’ingresso di un nuovo cantante e una nuova chitarra.
L’impressione è buona e la loro teatralità con tanto di orpelli funerari sul palco, mantelli e quant’altro li aiuta molto, ma la musica stessanon è per niente disprezzabile, a metà tra scuola Candlemass/Solitude Aeturnus e il dark sound italiano di Paul Chain. Loro ce la mettono di sicuro tutta sul palco e se il disco non ci aveva convinto più di tanto, ora hanno la nostra attenzione.
E’ ancora il momento di sonorità classiche con i CRIMSON DAWN, ormai giunti al quarto full più un paio di EP. Il doom venato di heavy metal dei lombardi è sempre stato convincente su disco per chi scrive, ma siamo riusciti a vederli dal vivo solamente ora. Impressiona subito la presenza del cantante Claudio Cesari e in generale la disinvoltura di tutti i musicisti, tra cui la batteria di Luca Lucchini e le chitarre di Beretta e Rusconi.
I Crimson Dawn sono il classico esempio di band underground di alto livello, compatta, magari non geniale nel songwriting ma affidabile e costante, che dal vivo offre coinvolgimento e solidità, fra Candlemass, Atlantean Codex e influenze power metal. Peccato un po’ per i suoni, in questa seconda giornata peggiori che in precedenza, che tarpano un po’ le ali all’estensione di Claudio e hanno azzoppato l’esibizione della voce femminile ospite sul palco di cui abbiamo sentito poco.
Rientriamo dopo una pausa birra quando i tedeschi BLACK REVELATION hanno già iniziato, e purtroppo non ci colpiscono granché con il loro doom che va a ripescare anche Saint Vitus, Trouble e Pentagram. Il loro suono è scarnissimo, analogico nelle distorsioni, ma a differenza della dimensione studio la voce di M ci è parsa poco legata al contesto e non troppo controllata.
Stesso discorso vale per la parte strumentale, che ci ha fatto pensare ad una band troppo essenziale e acerba. Rimane ovviamente un giudizio sospeso, in attesa di un’altra incisione e ulteriori possibilità di vederli su un palco.
Dopo un’affluenza piuttosto bassa per le prime quattro band, tutto cambia quando si stanno per preparare i PONTE DEL DIAVOLO, nome caldissimo nel nostro panorama underground, fuori con un chiacchierato debutto su Season Of Mist. Li abbiamo visti qualche mese fa, in un contesto più raccolto, ma non possiamo far altro che riconfermare la forza della loro proposta.
I due bassi, e il carisma e la grinta di Elena ‘Erba Del Diavolo’ sono elementi costanti in ogni loro esibizione e la loro miscela di doom rock, post-punk, influenze black metal sul palco funziona altrettanto bene.
L’esibizione, partecipatissima da parte della chiesa gremita, lo conferma ancora una volta, se ce ne fosse ancora bisogno. Come sempre i piemontesi partono con “Demone”, si soffermano su altri passaggi importanti come “Covenant” e “Nocturnal Veil” per poi concludere tornando al passato, con “Ave” e “Scintilla”. Acclamatissimi, sono sicuramente l’highlight di pubblico della giornata.
Era un bel po’ che non vedevamo i BLACK OATH dal vivo, sicuramente da prima della pandemia, e ne avevamo sempre conservato un bel ricordo. Se i Ponte Del Diavolo hanno raccolto grossomodo tutti i presenti, i Black Oath sono la band con il pubblico più specifico, riconoscibilissimo per le toppe e le magliette di gruppi estremi e old-school. Il loro suono lo conferma, visto che si tratta di un doom metal oscuro ed esoterico da un lato, bagnato nell’heavy classico dall’altro: immaginate una dimensione che si muove fra Candlemass, Possession, Abysmal Grief, vecchi Atlantean Codex e il dark sound italiano, tutto sorretto da una voce cristallina e narrante.
Quello che ci ha sempre impressionato dei Black Oath è la cura delle trame di chitarra, che ritroviamo tale e quale dopo parecchi anni e l’importanza delle melodie vocali, purtroppo non così comprensibili stavolta a causa di suoni – come già detto – un po’ inferiori alla prima giornata. Acclamati da un pubblico più ristretto ma assolutamente coinvolto, i Black Oath restano una realtà di grande spessore che speriamo rimanga in attività il più a lungo possibile.
Quando tocca ai germanici DAWN OF WINTER ci rendiamo conto che anche in questa seconda giornata abbiamo accumulato ritardo, fattore che ci spaventa per il ritorno a casa. Il pensiero però ci passa subito, perché ‘l’altra’ band di Gerrit Mutz (Sacred Steel) non è proprio semplicissima da vedere dal vivo e siamo davvero curiosi.
I suoni in questo caso sorreggono bene il doom scheletrico, classico e marziale dei nostri che ci regalano – per quel che ci riguarda – uno show bellissimo. I territori qui sono quelli di Saint Vitus, Warning, Reverend Bizarre e Pentagram. Gerrit mostra un lato vocale adeguatissimo e gli altri, pur essendo chiaramente un live band occasionale, fanno il loro lavoro egregiamente.
A parte qualche irriducibile che canta tutti i pezzi, è evidente che i Dawn Of Winter non siano così tanto noti dalle nostre parti, ma l’afflusso continuo all’interno della chiesa li fa concludere davanti ad un buon numero di persone. Per quel che ci riguarda, ci siamo potuti sentire dal vivo i pezzi dell’enorme “In The Valley Of Tears”, “The Peaceful Dead” e del più recente “Pray For Doom”. Puntuali, umili, diretti: la sorpresa della seconda giornata.
Con un’ora di ritardo salgono sul palco gli SHAPE OF DESPAIR, altra golosissima proposta del fest e fino a poco tempo fa ennesimo gruppo funeral difficile da vedere dal vivo. Ricordiamolo: per molti “Angels Of Distress” se la gioca tranquillamente nella top ten dei dischi funeral doom di sempre ed è, anche in questo caso, per noi una gioia vedere Natalie Koskinen e soci su un palco.
I finlandesi iniziano non a caso proprio con quel disco, con “Fallen” e “Angels Of Distress” in ‘rapida’ sequenza, per quanto sia possibile usare tale parola col funeral doom.
Arrivano poi estratti dai più recenti “Return To The Void” e “The Monotony Fields” e, possiamo dirlo, tanto quanto la proposta degli Skepticism è stata per molti ostica, tanto gli Shape Of Despair sono stati in grado di incantare l’audience: il denso tappeto orchestrale, l’alternanza delle voci maschile e femminile, l’esecuzione solenne creano un suono unico e avvolgente che pur nella sua ripetitività si distanza dai suoni abrasivi e scarni degli headliner della serata precedente.
Dopo le interazioni dei Dawn Of Winter, con gli Shape Of Despair si torna ad uno spettacolo privo di presentazioni e di praticamente qualsiasi contatto con il pubblico anche se come detto, è un funeral stranamente accessibile, quello di Jarno Salomaa e Tomi Ullgrén, che in una dimensione live trova elementi di interesse ulteriori, fatto questo non così scontato.
Dopo un’ora abbondante di set, i nostri si congedano tra gli entusiasmi del pubblico ancora con un pezzo da “Angels Of Distress”, la lunghissima “Quiet The Paintings Are”. Ormai è tardi, ben oltre quanto annunciato, ma siamo rimasti praticamente fino alla fine perché il Church Of Crow Doom Fest è stato un evento che ha grande potenziale di sviluppo e ci tenevamo ad onorarlo fino in fondo.
Come dichiarato pubblicamente anche dagli organizzatori, al di là del successo ci sono ancora dei miglioramenti da fare e personalmente non avremmo disdegnato il rispetto degli orari (soprattutto la domenica!) e qualche servizio in più, tipo un menù un po’ più vario o qualche bagno aggiuntivo, elementi essenziali per garantire la permanenza del pubblico nei dintorni della chiesa e non farli allontanare in cerca di bar o ristoranti.
Sono tantissimi comunque i punti di forza che andrebbero a nostro parere mantenuti: la location splendida, praticamente unica; la scelta dei gruppi, varia a sufficienza per rappresentare davvero un genere musicale; i prezzi popolari, sia del biglietto che del cibo e delle bevande. Nella speranza quindi di miglioramenti ulteriori, pollice davvero alto per il Church Of Crow Doom Festival e alla sua location unica. All’anno prossimo!