Report a cura di Simone Vavalà
Anche se l’attività live di Claudio Simonetti e dei suoi Goblin si è molto intensificata negli ultimi anni, l’alone di mito resta sempre immutato e meritato, per questa incarnazione di uno dei nomi più rappresentativi del prog italiano. È indubbio come il vecchio adagio ‘Nemo propheta in patria’ ben si attagli a questa band, che gira il mondo davanti a platee quasi adoranti per poi trovarsi a suonare in Italia in piccoli locali. Tuttavia, il calore dei circa duecentocinquanta presenti in quel del Legend sembra più che sufficiente per i quattro sul palco per donare l’ennesimo, memorabile spettacolo multimediale.
Come sempre, un enorme schermo da proiezione è parte integrante dello show dei Goblin, che in questa occasione optano comunque per una scaletta particolare. Rispetto ai tour più recenti, spesso dedicati alla riproposizione di intere colonne sonore firmate da Simonetti & Co., al Legend la sequenza dei brani prevede anche tracce dagli album di inediti composti negli anni, compreso il recente “The Devil Is Back”. Dopo un primo blocco di canzoni, che comprende anche l’osannata “Roller” e che subito mostra il consueto stato di grazia dei musicisti, Simonetti inizia come da prassi a interagire col pubblico; fa sempre un certo effetto vederlo scherzare con semplicità ed elencare i brani suonati come se necessitassero di presentazione, per poi ripartire nelle sue fughe per tastiere che hanno fatto scuola. Va detto, come piccola critica, che forse questo atteggiamento votato alla modestia potrebbe trovare qualche piccolo aggiustamento, sia nella sequenza dei video (magari montati con una maggiore sincronia rispetto ai brani, senza inutili riempitivi), sia negli stacchi tra le canzoni; che, specie quando Simonetti si diverte a regalare brevi ma preziose intro o a riprodurre cover per pochi secondi, risultano un po’ troppo troncati. Ma sono naturalmente quisquilie, rispetto a un concerto che mantiene viva l’attenzione per più di due ore. Ovviamente i momenti di massima esaltazione per gli astanti sono quelli in cui vengono suonati i temi portanti di “Phenomena”, “Suspiria” (‘il pezzo con cui ho inventato il cantato growl, mi dicono’, ironizza Simonetti stesso) o “Zombi”, sul cui finale, dopo un loop di sequenze tratte dal film medesimo, campeggia un fermo immagine di George Romero, non solo sodale professionale ma anche caro amico di Claudio. La band non necessità quasi di commenti: Bruno Previtali, chitarrista ormai da molti anni dell’ensemble, intesse passaggi mirabolanti sulle trame di Simonetti, concedendosi anche diversi assoli; la sessione ritmica è rocciosa e di stampo assolutamente metal: é per noi la prima volta in cui, dietro al basso della talentuosa Cecilia Nappo, vediamo esibirsi Federico Maragoni, già compagno di avventura della stessa Nappo negli Adimiron; la sintonia si vede, e brani dal piglio più in levare come “Tenebre” o “E Suono Rock” acquistano una dinamica ancora più potente. Quando il concerto volge al termine, il Maestro prova a scuotere il pubblico dicendo che non concluderà con il tema di “Profondo Rosso”, bensì… con ben quattro pezzi da quella strepitosa colonna sonora. “Death Dies”, “Mad Puppet”, “Deep Shadows” e appunto “Deep Red” in sequenza per chiudere alla grande un vero spettacolo; in cui non sono certo i pochi passaggi in vocoder a dover arricchire la straordinaria esibizione, di tecnica e songwriting, messa in mostra da quattro musicisti strepitosi.