A cura di Maurizio “morrizz” Borghi
Foto di Emanuela Giurano
Molte volte le urgenze e i paletti con cui è costretta a lavorare una booking agency, alle prese con vincoli e variabili di ogni tipo, influenzano in maniera determinante la riuscita o la sventura di una data, che alvalore potenziale sulla carta può essere di elevato o scarso valore.Scelta azzardata quella di unire il “The Mosh Lives Tour” – guidato daicafoni dell’hardcore new school Emmure e Winds Of Plague – con la scelta più “seria” e inquadrata del “Through The Noise European Tour” – avente protagonisti Comeback Kid e The Ghost Inside. Una bill mostruosa èandata dunque ad invadere il Rock Planet di Pinarella di Cervia in uncaldo mercoledì di maggio, richiamando sin dal primo pomeriggio (sceltaobbligata visto il numero di proposte nel cartellone) un pubblicogiovane, colorato ed energico, in una sfilata pressochè infinita didilatatori, bandane, canotte e shorts. Inutile citare le dimensionidell’area dedicata al merch, che ha riempito un’intera sala delladiscoteca di riviera per sconfinare nell’area concerti senza ritegnoalcuno. Un ottimo anticipo d’estate quindi, graziato da un billinteressantissimo e da un pubblico presente in maniera forte, anche dallato del gentil sesso.
GRAVE MAKER
Ogni tanto è trasferta anche per i milanesi: per l’occasione è il turno dichi scrive, che riesce a varcare la soglia del Rock Planet quando è ilturno dei Grave Maker. Il benvenuto dei carpentieri canadesi equivale ad un doloroso “scoppolone” tirato benevolmente da un bestione dalle manipesanti. Il gruppo gioca molto sul lato fisico non è un mistero, mariesce comunque a comunicare qualcosa di più della solita hardcore band“operiaia” da 100 date in sei mesi, e muovendosi su sentieri canonicioffre uno spettacolo molto muscolare e diretto, del tutto onesto pur nel breve tempo a disposizione. Poco coraggio e tanta schiettezza quindi,per questa formazione che pare voler dar rispolvero agli importantitrascorsi di casa Victory.
IWRESTLEDABEARONCE
Da sempre scandalosamente oscillanti tra il “geniale” e il “ridicolo”, gli IWABO non lasciano certo indifferenti. Facile prenderli in giro (comeadorarli) per il merch coloratissimo, difficile invece cogliere la loroessenza al primo ascolto. Chi scrive è al suo terzo tentativo, e nullapare smuovere la convinzione che il gruppo sia uno gigantesco scherzocostruito per far girare il mondo ai giovani componenti dellaformazione, attraverso lo sforzo minimo di un set di mezz’ora ogni sera. I pochi pezzi proposti hanno una trama incomprensibile e affogano intecnicismi sterili e divagazioni di dubbio gusto, sotto il commentovocale di una frontwoman che tra un growl e l’altro fa il verso a Bjork(in costumi improbabili). Se volete una degna celebrazione del “WTF!?”guardatevi il film “Rubber” e lasciate stare questa spazzatura.
WAR FROM A HARLOTS MOUTH
Si torna a fare sul serio con i tedeschi WFAHM, che tornano in Italia conuna puntualità disarmante e un seguito sempre crescente. La tecnica, alcontrario dei predecessori, è presente in abbondanza unita ad una fogaassassina, che sfocia in una performance che per prima fa svegliare ilpubblico e da parecchio da fare alla sicurezza (strano ma vero, ci sonodelle transenne e della security). Una performance serrata, concentrata e molto concisa che fa salire la temperatura del locale, rendendo i tonipiù minacciosi, toccando brutal e grind nella proposta più estrema della serata e facendo sfogare qualche mosher convinto. Una formazione chesembra sempre sul punto di esplodere, ma che ci ritroviamo ancora unavolta ad ascoltare all’orario del TG della sera.
KVELERTAK
Amanti di Hellacopters, Turbonegro ed Emperor, ecco l’esportazione più calda ed interessante della Norvegia dei giorni nostri, che dopo un soundcheck abbozzato esorcizza davanti ai presenti il demonio che li tormenta giorno e notte. I Kvelertak non mostrano i bicipiti, non si vergognano dei culi flaccidi, delle gambe storte, del pallore indecente e del ventre dilatato. Non si pettinano nemmeno ovviamente, ma sputano black, punk e rock’n’roll senza guardare in faccia a nessuno, con un’urgenza senza pari nella serata, l’ignoranza del cantato in norvegese e una foga sguaiata. Di sicuro sono loro “i reietti” della serata, le pecore nere: ciò si traduce nella prevedibile reazione del giovane pubblico modaiolo, che non è che il peggior disinteresse. Di sicuro i nostri non la prendono come scusa per diminuire l’intensità dello spettacolo, che vede il sestetto (tre chitarre di cui una suonata senza plettro) stuprare spettatori ignari ed impreparati per l’intero minutaggio a loro disposizione. I Kvelertak sono quello che avrebbero potuto essere gli Scum di Samoth e Casey Chaos, questa sera ne abbiamo avuto la conferma ufficiale.
WINDS OF PLAGUE
La formazione di LA, tra le più attese della giornata, porta tutto all’estremo, sin dall’intro “Gangsta’s Paradise”, nella cornice di un locale oramai pregno di umori “violenti”. E’ evidente come la giovane formazione abbia voglia di divertirsi e risulta presto contagiosa visto l’entusiasmo che si propaga dalle prime file verso il fondo della sala: se da una parte la virata verso il death sinfonico è evidente, i Winds Of Plague non rinunciano a pesantissimi breakdown, parti moshcore e aperture verso l’hardcore in una mistura abbastanza personale. Per primeggiare tra i cafoni della serata inoltre, senza vergogna, hanno il coraggio di inframezzare il set con brevi interludi tratti hip hop (ovviamente West Coast), quasi a sfidare a viso aperto ogni purista di genere. Se alcuni fissano la bambolina Alana alle tastiere (e accadrà a tutti i maschietti per almeno una canzone), sarà l’ennesimo bass drop a scuotere le budella e riportare l’attenzione su una performance di sicuro impatto. Sugli scudi la prova di Johnny Plague, sempre più carico e a suo agio nel ruolo di frontman, e di Art Cruz, batterista interessante che riesce a farsi notare anche dietro il kit. I Winds Of Plague fanno passi da gigante è il caso di dirlo, non vediamo l’ora di poter assistere ad un set prolungato!
THE GHOST INSIDE
Inutile negarlo: i The Ghost Inside stanno diventando una delle formazioni più amate dell’hardcore new school, incarnando allo stesso tempo le influenze metal, il suono groovy con produzione moderna, le influenze del metalcore imperante… e conoscendo a menadito l’hardcore quello vero, in tutte le sue componenti. Di conseguenza i loro live show sanno essere sempre dinamici ed eccitanti, e la serata di Pinarella non fa certo eccezione: registriamo l’ennesima performance eccellente, segnata da una sala gremita ed esaltata, pronta a muoversi, esplodere nelle numerose gang vocals, pestarsi a dovere nei passaggi più concitati. Fa piacere inoltre vedere un rappresentante della scena nostrana, Luca degli Awaken Demons, invitato sul palco per una strofa di “Chronos” nelle veci di applaudita guest star. Tirando le somme on possiamo che condividere l’entusiasmo nei confronti dei The Ghost Inside, sentimento pienamente meritato a nostro parere.
EMMURE
Nessuno potrà offendersi se per gli Emmure parliamo di “headliner” della serata: un titolo guadagnato sul campo, visto il trattamento da “star” riservato all’apparire dei componenti del gruppo in sala (soprattutto Frankie Palmieri, protagonista di un vero e proprio meet&greet affollatissimo improvvisato nella sala accanto al merch) e visto il soffocante affollamento durante la loro esibizione. Gli Emmure rendono attuale il nu metal e lo incastonano nelle sonorità estreme ed hardcore dei giorni nostri, costruendo un muro impressionante fatto di groove ribassato e chitarre effettatissime. Palmieri è assoluto mattatore del pubblico, e anche se sul palco non dispensa un sorriso regala ai suoi “decepticons” tutto il frastuono di cui si dimostrano tanto assetati. Il palco è in condizioni pessime, tanto che il pavimento è letteralmente bagnato, causando a Mike Mulholland una caduta potenzialmente letale – chi scrive era in prima fila e l’ha visto sbattere la testa talmente forte da aver creduto non si rialzasse. Sarebbe un trionfo totale se, da ascoltatori navigati, non avessimo il sospetto che nel live show ci sia qualche base di troppo: l’esecuzione di tutti i brani diventa così perfetta “al metronomo”, andando leggermente a sterilizzare e raffreddare quella visceralità che dovrebbe essere il cuore dell’impatto live. Niente playback in ogni caso (ci mancherebbe), e una performance comunque molto sentita da parte di tutti i componenti del gruppo per quello che rappresenta, senza ombra di dubbio, il climax della serata.
COMEBACK KID
Unire due tour già belli “grassi” presi singolarmente ha pregi e difetti: questa sera ne fanno le spese i Comeback Kid, che dopo una maratona lunghissima si trovano a suonare, a mezzanotte passata, davanti a un’audience assordata, pesta e parecchio affaticata. Senza contare che almeno la metà dei paganti, senza esagerare, ha già abbandonato il locale. Il gruppo sembra ignorare del tutto la situazione e si esibisce al meglio, mostrando il perchè, fino a poco tempo fa, il proprio nome era nella lista dei miglior gruppi hardcore contemporanei (il 2011 segna, a parere di chi scrive, la svolta insindacabile verso le sonorità più moderne e contaminate… ma questo è un altro discorso), dimostrando come una ricetta “classica” possa rimanere comunque valida, se basata su positività, energia e songwriting fuori dal comune. Così rimane piacevole assistere a cavalli di battaglia come “Broadcasting…”, “Wake The Dead” e “False Idols Fall”, anche se ci si posiziona a lato del pit e si guarda spesso l’orologio su uno smartphone oramai stremato da ore di navigazione, foto ed sms. Passaggio di consegna? Probabilmente, in ogni caso i Comeback Kid dimostrano di essere ancora all’altezza del loro nome.