Con l’inizio della stagione dei grandi festival europei, si sa, Milano e il suo circondario si trasformano in un autentico crogiolo di date sovrapposte o ravvicinatissime fra loro, in grado sia di offrire l’imbarazzo della scelta ai fan di un genere, sia di metterli in difficoltà imponendo loro delle scelte (complici il costo sempre più salato della vita e il rincaro del prezzo dei biglietti).
Soffermandoci sulla seconda settimana di giugno e sulla macro-sfera delle sonorità hardcore, ad esempio, il calendario ha previsto/prevederà lo show in questione (martedì 11), il tandem gutturale Slaughter to Prevail/Ingested (mercoledì 12) e quello ‘made in the Nineties’ Hatebreed/Crowbar (domenica 16), per una sette giorni a dir poco intensa e battezzata proprio dal suo evento più emotivo e viscerale, cui ne seguirà un’altra non meno roboante grazie all’arrivo del fenomeno Turnstile al Circolo Magnolia. Un evento che, nonostante l’incipit di poco fa e il nubifragio che nella prime ore della serata si è abbattuto sul capoluogo meneghino – portando peraltro all’annullamento di Polyphia e Igorr in quel del Carroponte – ha visto il Legend Club riempirsi lentamente (ma inesorabilmente) fino a lambire le soglie del sold-out, facendo così del primo dei due concerti italiani di Brendan Murphy e compagni un successo degno della loro ormai consolidatissima fama all’interno del circuito metalcore/melodic hardcore contemporaneo.
Come al solito, vediamo meglio com’è andata…
A dare ufficialmente il via alle danze della serata, quando l’orologio segna le 20:00 spaccate e fuori dal locale di Viale Enrico Fermi inizia a scatenarsi un acquazzone degno di qualche regione subtropicale, sono i piemontesi IF I DIE TODAY, qui all’ennesima data di un ruolino di marcia live parecchio intenso. Muovendosi fra primi Buried Inside, Converge, The Dillinger Escape Plan e buona parte del post-hardcore di tardi anni Novanta/primi Duemila, il quartetto si rende protagonista di uno show fisico e sentito come da tradizione del genere, ribadendo anche in questa sede i favori guadagnati nella scena underground con dischi come “Cursed” e “The Abyss in Silence”.
Lasciate ormai alle spalle le derive punk e rockeggianti degli esordi, la band pungola quindi la platea con un suono frammentato, nervoso, ma che al momento opportuno sa anche schiudersi alla melodia, con strutture al netto di tutto fluide (cosa non sempre scontata in questo filone) e un frontman – Marco Fresia – in grado di fare la differenza in termini di presenza scenica e catarsi raggiunta sopra e sotto il palco (dato che più volte scenderà a cantare fra gli spettatori).
La vera personalità, va da sé, risiede altrove, ma forti di brani come detto curati e scorrevoli, di suoni ben bilanciati e di un trasporto tangibilissimo, si può dire che gli If I Die Today abbiano nuovamente massimizzato il tempo a loro disposizione (circa mezz’ora), confezionando davvero un bell’avvio.
Si sale ulteriormente di livello con l’arrivo degli enfant prodige del circuito death-core tricolore, quei DESPITE EXILE che, dopo oltre un decennio di carriera, dischi licenziati da Lifeforce e date a supporto di band del calibro di As I Lay Dying, Fit for an Autopsy, Lorna Shore e Suicide Silence, non hanno veramente più nulla da dimostrare a nessuno. Anzi, potremmo spingerci a dire che, viste le qualità espresse in questa e in altre occasioni, il sestetto friulano abbia raccolto anche poco in carriera, ribadendo di essere una realtà infinitamente più affiatata, competente e concreta di tanti altri pseudo-fenomeni del genere.
Ancora in piena attività promozionale di “Wound”, full-length uscito nel dicembre 2022, i ragazzi di Udine impiegano davvero poco per catalizzare su di sé le attenzioni di una platea fattasi ormai numerosa, e che dal canto suo sembra essere parecchio recettiva nei confronti del death-core freddo e al contempo emozionale sprigionato dall’impianto della venue. Un suono sì derivativo, i cui sviluppi non possono prescindere dalla lezione dei suddetti FFAA e da quella degli antesignani Whitechapel, ma che Jei Doublerice e compagni affrontano con l’impegno e l’ingegno necessari a spiccare sulla massa, evitando di inseguire a tutti i costi la formula del breakdown schiacciasassi per sfruttare effettivamente l’apporto delle tre chitarre e confezionare qualcosa di più variopinto e stratificato.
Persino le vituperatissime voci pulite, tallone d’Achille per molte formazioni del filone, dimostrano qui di avere un loro perché, senza risultare stucchevoli o inserite a forza nel contesto comunque quadrato e martellante del songwriting, a riprova della disinvoltura con cui i Despite Exile maneggiano la materia metal moderna, aprendosi a qualche soluzione paracula senza per questo snaturarsi. Ben fatto, come sempre.
A questo punto, dopo due opener di assoluto livello, è la volta dei COUNTERPARTS, ormai lanciati verso lo status di colossi della scena dopo l’exploit – più in termini di esposizione che di qualità in senso stretto, dato che i lavori precedenti non erano certo da meno – di “Nothing Left to Love” e “A Eulogy for Those Still Here”. Così com’era avvenuto un annetto fa, quando chi scrive era volato a Monaco per la data del tour in compagnia di Kublai Khan, Paleface e Dying Wish, la sensazione è che i canadesi stiano ancora ‘vivendo il sogno’, quasi increduli del successo ottenuto di recente e dell’enorme ampliamento della loro fanbase, i cui componenti – ora come ora – non rientrano più soltanto nella nicchia dei cultori di certo metalcore dai toni tecnici e dalle atmosfere malinconiche, figlio di quello dei connazionali Misery Signals o (tornando più indietro nel tempo) dei pionieri Shai Hulud e Strongarm.
Reduce dalle platee enormi del Rock im Park e del Rock am Ring, il quartetto guidato dal cantante/membro fondatore Brendan Murphy si presenta sul palco in leggero anticipo rispetto alla tabella di marcia, e dopo “Love Me”, apripista a dir poco perfetto con il suo crescendo emozionale e trascinante (“Will you love me when there’s nothing left to love?”), si tuffa in una scaletta incentrata soprattutto sull’anima più hardcore e muscolare di “A Eulogy…”, e che a fine serata non si spingerà oltre “Tragedy Will Find Us”.
Va da sé, comunque, che quello dei Nostri è e resta uno show decisamente più elegante e ‘raffinato’ della stragrande maggioranza dei concerti metalcore a cui è possibile assistere oggigiorno, merito di una scrittura che, come detto, si incanala in pezzi tanto agili e concisi quanto intelligenti e multiformi, con le chitarre della coppia Tyler Williams/Jesse Doreen a spiccare come sempre sull’insieme, fra digressioni nostalgiche e affondi esplosivi. Su questa base di riff cangianti e interventi solisti, completata dalle robuste percussioni di Kyle Brownlee, il frontman fa poi il cosiddetto bello e cattivo tempo, dimostrandosi comunicativo nelle movenze, empatico nei brevi scambi di parole con il pubblico e – cosa più importante – decisamente ‘in palla’ al microfono, urlando con innata convinzione e sfoggiando un pulito/parlato di grande effetto.
Tra tutti gli episodi suonati, segnaliamo “No Servant of Mine”, “Stranger”, “Wings of Nightmares” e la conclusiva “Whispers of Your Death”, ma – a conti fatti – è l’intero concerto a brillare per energia e trasporto da parte di fan e musicisti, con la sola “Paradise and Plague” mezza azzoppata da un breve (per fortuna) problema all’apparecchio di Murphy.
Una serata che, nella migliore tradizione dei ragazzi nordamericani, ha saputo parlare con schiettezza (da un lato) e con sensibilità (dall’altro) di quel senso di rivalsa che solo le grandi perdite possono innescare, scaldandoci nel profondo nonostante le temperature assolutamente poco estive di questo giugno.
Setlist:
Love Me
Choke
Bound to the Burn
No Servant of Mine
What Mirrors Might Reflect
Flesh to Fill Your Wounds
Your Own Knife
Stranger
Wings of Nightmares
Paradise and Plague
Sworn to Silence
Unwavering Vow
Monument
Encore:
07/26/2020
Whispers of Your Death