I Counterparts sono un ottimo esempio di buona riuscita della cosiddetta ‘politica dei piccoli passi’: la band hardcore canadese non è infatti arrivata al ‘successo’ dalla sera alla mattina; dopo aver esordito nel sempre più lontano 2007, il gruppo originario di Hamilton, Ontario, ha scalato posizioni ed elevato il suo profilo anno dopo anno, curando bene le proprie uscite discografiche (al settimo full-length non si ravvisa ancora un vero passo falso) e intervallandole con tour sempre ben mirati, ora di supporto a realtà più famose, ora in veste di headliner di un ‘pacchetto’ puntualmente studiato per intercettare vari tipi di pubblico.
Il 2023 appare già come l’anno della consacrazione per i Counterparts, che continuano a promuovere il fortunato “A Eulogy for Those Still Here” con date in tutto il mondo, riscuotendo un crescente interesse da parte di un panorama che li sta rapidamente proclamando fra i leader del movimento hardcore/melodic metalcore contemporaneo. Il tour che di recente ha attraversato l’Europa ha fatto registrare innumerevoli sold-out, e la data più clamorosa sembra essere proprio quella londinese a cui stiamo presenziando. La band ha infatti suonato da queste parti soltanto una manciata di mesi fa, facendo registrare il sold-out nello storico ma piccolo (circa quattrocento persone di capienza) Underworld nel quartiere di Camden Town.
Questa volta il tutto esaurito viene invece raggiunto nel ben più ampio Electric Brixton, con un pubblico di millecinquecento persone che, per i cosiddetti fan della prima ora, sembra letteralmente essere spuntato dal nulla. Chissà come sia partito tutto questo ‘hype’, ma resta il fatto che si tratti di un risultato enorme per quella che, fino a poco tempo fa, era appunto una realtà sì celebrata, ma sostanzialmente di nicchia.
Quando finalmente riusciamo a entrare all’interno dell’Electric Brixton dopo aver superato la coda creatasi fuori dal locale e i puntuali controlli della security, gli opener DYING WISH hanno già iniziato il loro show da qualche minuto. Ci troviamo davanti a una formazione fresca ed esuberante, visibilmente consapevole di trovarsi a vivere una delle ‘opportunità della vita’, facendo da supporto per un gruppo così chiacchierato.
La band di Portland può essere inserita in quel revival metalcore che da qualche tempo sta iniziando a prendere piede nell’underground: parliamo della ‘vecchia’ commistione fra ignoranti breakdown e agili uptempo ispirati alla corrente melodic death metal di Gothenburg. Tra Undying e August Burns Red, la proposta del quintetto viaggia decisa e riesce a intrattenere i già numerosissimi presenti grazie al taglio easy listening delle strutture e delle melodie.
Buona la prova della frontgirl Emma Boster, la quale, almeno stasera, ci sembra più a suo agio con il pulito che con lo screaming, compensando l’affanno su quest’ultimo con una presenza scenica tanto vigorosa quanto spontanea.
Per chi scrive, si può invece parlare di catastrofe all’altezza del concerto dei PALEFACE (CH): superata l’iniziale curiosità nel vedere un quartetto che annovera un chitarrista dal look thrash anni Ottanta e un frontman che invece potrebbe essere uscito da una realtà trap così come da un’entità pseudo goth/EBM da Wave-Gotik-Treffen, quello che resta da affrontare è un guazzabuglio di deathcore, hardcore beatdown e hip-hop senza capo né coda, che lascia chi scrive letteralmente esterrefatto, e non nel senso più positivo del termine.
Le prime file dimostrano di gradire l’energia e il carattere istrionico della proposta, ma a nostro avviso sarebbe stato più interessante e proficuo andare a zappare il cemento, soprattutto durante certe parentesi interamente dedicate alla componente rap.
Per fortuna ci pensano i KUBLAI KHAN a riportare la serata sulle ‘giuste’ coordinate. Chiaramente nemmeno qui la finezza è di casa, ma non vi è davvero paragone tra l’accozzaglia degli svizzeri e l’hardcore-metal ‘grasso’, imponente e tamarro dei texani.
Il tiro, la compattezza e la coerenza del quartetto non possono davvero essere ignorati in un contesto live: con un frontman come Matt Honeycutt, che ama apostrofare il pubblico come “baby” mentre invoca lo stage diving e il pogo più ignorante, il set non può poi che prendere una piega ancora più cafona. A tratti infatti ci ritroviamo a tutti gli effetti dalle parti di una sorta di ‘Pantera-core’ che punta solo ed esclusivamente al sodo, con riff stoppati e ritmiche rigorosamente cadenzate che, nelle parole dello stesso cantante, devono solo portare all’headbanging fra le prime file a alla violenza nel pit pochi metri più indietro. Alla fine, anche se alla lunga i brani finiscono per assomigliarsi un po’ tutti, non si può che applaudire una simile opera di demolizione: la band fa una sola cosa e la fa più che bene. Inutile avere la puzza sotto al naso.
Chi desidera un minimo di eleganza può quindi trovare conforto nei COUNTERPARTS. Gli headliner hanno nelle urla e nella schietta presenza scenica del frontman Brendan Murphy il loro lato più prettamente hardcore, mentre, come noto, la proposta musicale viaggia spesso su binari più agili e tecnici, mescolando varie correnti hardcore/metalcore in brani concisi e al contempo ricchi di cambi di registro.
Dal vivo risulta particolarmente avvincente seguire l’interplay fra le due chitarre, le quali si scambiano continuamente i ruoli ritmici e solisti, duellando e sovrapponendosi con gusto ed estrema destrezza. Di certo siamo davanti alla formazione più ‘intelligente’ e tecnica della serata, anche se i canadesi in questo tour hanno optato per una scaletta contenente una serie dei loro episodi più diretti, fra cui spiccano hit recenti come “Bound to the Burn” e “Wings of Nightmares”.
Negli ultimi album i breakdown del gruppo si sono fatti più fragorosi e Murphy e compagni decidono opportunamente di sfoderarli in questa sede, dando così modo al pubblico di alternare ‘calma’ e ammirazione – specialmente durante certe evoluzioni dei musicisti – e sana energia nelle parentesi più potenti: prendendo come esempio maestri come i Misery Signals, il principale pregio dei Counterparts è da sempre quello di riuscire a fondere queste due anime evitando di scadere in partiture e in degli sviluppi incoerenti.
L’aspetto ritmico e il lavoro in sede di arrangiamento risultano infatti sempre ben calibrati e dal vivo il tutto sembra acquistare ulteriore pregio, se non altro perché la band sprizza attitudine hardcore da tutti i pori, riuscendo al contempo a mantenere precisissima l’esecuzione. La platea, decisamente enorme per i vecchi standard dei canadesi, completa il quadro, sostenendo il quartetto con tutto ciò che ha, soprattutto nei cori di “A Mass Grave of Saints”.
Alla fine il colpo d’occhio è splendido e, anche se certi discorsi sull’unità della ‘scena’ possono alla lunga risultare un filo stucchevoli a qualche cinico vecchio brontolone come chi scrive, non si può che applaudire convinti una performance praticamente perfetta sia per impatto che per sentimento.
Setlist:
Whispers of Your Death
Bound to the Burn
Wings of Nightmares
Monument
No Servant of Mine
Witness
Stranger
Flesh to Fill Your Wounds
Love Me
Unwavering Vow
Your Own Knife
Paradise and Plague
A Mass Grave of Saints
The Disconnect