A cura di Bianca Secchieri
Per chi è cresciuto con un certo tipo di sonorità, approcciandosi al black metal attraverso le sinfonie gotiche dei Vampiri inglesi, quella al Campus Industry Music era una data imperdibile, unica possibilità di vedere nel nostro Paese la band di Dani Filth riproporre per intero il classico “Cruelty And The Beast”. Certo, il costo del biglietto di ingresso (che sfiorava i quaranta euro) è stato probabilmente un disincentivo per alcuni, così come la nomea di band decisamente poco ‘true’ che gli inglesi si sono fatti negli anni, soprattutto a causa del progressivo ammorbidimento delle sonorità, nel periodo centrale della propria carriera. Resta il fatto che i presenti sono molti, non il solito pubblico black metal cui Parma ci ha abituato – per le ragioni di cui sopra – ma un’audience più eterogenea, come è tutto sommato lecito aspettarsi dal seguito di una band che si è liberata da tempo dalla stretta etichetta symphonic black metal per sentirsi libera di esplorare all’interno del metal estremo dalle forti tinte gotiche…
ACOD
Si inizia puntuali e curiosamente presto, considerando la serata prefestiva. Poco dopo le otto e un quarto la semisconosciuta band francese ACOD fa il suo ingresso sul palco proponendo un black/death moderno e melodico, non privo di influenze thrash. Il terzetto marsigliese si presenta compatto e sicuro e sembra riscuotere un discreto successo tra i molti presenti sotto il palco, che seguono l’esibizione con interesse. Certo, l’orario non è proprio dalla loro, infatti molti preferiscono mangiare qualcosa seduti ai tavoli all’esterno, ma tutto sommato l’affluenza per la band apripista è positiva. Musicalmente non c’è molto da segnalare: gli ACOD (acronimo che non siamo riusciti a decifrare) dimostrano di saperci fare a sufficienza sul palco, complici i tredici anni di attività alle spalle, e si rivelano adatti, a livello di sonorità e visivamente, al ruolo che ricoprono, pur non proponendo niente di nuovo o di talmente ben fatto da colpire e farsi ricordare. Rammentiamo che gli ACOD hanno preso il posto, praticamente all’ultimo momento, della band tedesca The Spirit, precedentemente annunciata quale opener durante questo speciale tour europeo.
CRADLE OF FILTH
Il crescendo di “Once Upon Atrocity” richiama all’ordine i presenti più distratti: meno di due minuti dopo, i Nostri cominciano a narrarci le vicende ispirate alla sanguinaria contessa Bathory, figura cardine nell’immaginario del metal estremo. “Cruelty And The Beast” è l’ultimo lavoro che i Vampiri inglesi rilasciano nel vecchio secolo, e per alcuni sarà l’ultimo dotato di sufficiente credibilità. In ogni caso si tratta di un disco ispirato, incredibilmente a fuoco e dotato di un trittico iniziale (“Thirteen Autumns And A Widow”, “Cruelty Brought Thee Orchids”, “Beneath The Howling Stars”) praticamente perfetto.
L’aspettativa – e l’emozione – per gli astanti in sala è viva e palpabile e la band si dimostra da subito in ottima forma, con un Dani Filth che non si risparmia in acuti e interpreta per intero le lunghissime parti vocali che da sempre caratterizzano le canzoni dei Cradle Of Filth. Lo spettro di un passato nel quale le esibizioni del combo originario del Suffolk risultavano caotiche e caratterizzate da una prestazione vocale a tratti imbarazzante è definitivamente spazzato via, e non si affaccerà nemmeno nella seconda parte dello show, dedicata al materiale proveniente da altri dischi. Il mastermind e padrone della band, nonché ugola controversa, sembra insomma aver ritrovato negli ultimi anni vigore, ma soprattutto deve aver compreso come dosare e mantenere il suo particolarissimo scream, che come sempre è vario e non si assesta sui soli toni alti (o meglio, altissimi) che pure hanno reso celebre – nel bene e nel male – il cantante. I suoni sono all’altezza della complessità delle trame intessute dai sei musicisti (com’è quasi sempre consuetudine in questa sede), anche se a tratti – volendo proprio trovare una pecca – tastiere e voce di Lindsay Schoolcraft sono parse sovrastare leggermente gli altri strumenti. L’intero lavoro si abbatte praticamente senza pause – fa eccezione la strumentale “Venus In Fear“ – sugli spettatori e la violenta e trascinante “Desire In Violent Overture” vince qualsiasi eventuale scetticismo e lascia il posto all’articolata “Bathory Aria”. Resta pacifico il fatto che la dimensione live non è quella ottimale per composizioni lunghe, intricate e ‘multistrato’, ma il risultato generale è sicuramente all’altezza di quanto è lecito aspettarsi, e sebbene non tutte le sfumature siano coglibili come su disco, l’effetto resta notevole e le peculiari atmosfere gotiche e vampiresche sono indubbiamente salve. Come sempre quando si parla di Cradle Of Filth, le prestazioni dei restanti musicisti sul palco sono ottime, precise e la presenza scenica è buona, ma è chiaro che la differenza la fa l’istrionico leader, che porta avanti il progetto da ormai quasi trent’anni (sic!).
Come già anticipato, l’encore è affidato ad un estratto dal capolavoro “Dusk And Her Embrace” – “Malice Through The Looking Glass” – unico salto nel remoto passato della discografia dei Nostri, da un paio di brani tratti dall’ultimo lavoro, il buon “Cryptoriana”, che non sfigurano in mezzo ai classici cavalli di battaglia “Saffron’s Curse” e “From The Cradle To Enslave”, che chiudono lo show. Il bilancio della serata non può che dirsi positivo, al di là delle ormai un po’ sterili polemiche sul senso di queste ‘operazioni nostalgia’, che ogni tanto qualcuno tra artisti e addetti ai lavori cerca di risollevare. Per molti (o forse tutti) i presenti si è certamente trattato di un momento nel quale rivivere la bellezza di un disco che è invecchiato magnificamente e rappresenta in qualche modo la conclusione di un primo ciclo – senza dubbio il migliore – della carriera della band di Dani Filth. Per quel che ci riguarda: alla prossima.