Report a cura di Carlo Paleari
Foto di Simona Luchini
In una serata particolarmente ricca di proposte, che vedeva ad esempio i Tygers Of Pan Tang suonare a Paderno Dugnano e i Paradise Lost a Parma, una nutrita schiera di metallari ha optato per una accoppiata di alto livello, formata da Cradle Of Filth ed Alcest. Le due band, infatti, pur essendo molto diverse, potrebbero trovare terreno fertile ciascuna nella fanbase dell’altra: pur trattando la materia oscura con approcci differenti, entrambe le formazioni hanno saputo creare paesaggi sonori di rara bellezza. Se dunque i Cradle Of Filth, nel loro ruolo di headliner, hanno potuto godere di un set più lungo e di una scenografia più curata, gli Alcest sono parsi fin da subito ben più che dei semplici special guest, potendo contare su un minutaggio di tutto rispetto e di un pubblico venuto, almeno in parte, soprattutto per loro.
Ad arricchire ancora di più la serata, troviamo i NARAKA, giovane formazione francese che non conoscevamo e che scopriamo aver raggiunto il traguardo del debut album lo scorso anno. La band è già all’opera quando superiamo l’ingresso del Live Club, ma riusciamo a seguire quasi tutta la loro esibizione. I Naraka si cimentano in una miscela di musica estrema che racchiude dentro di sè stili molto diversi: il primo impatto è quello di un death metal potente e groovy, sufficientemente melodico da non essere troppo estremo, ma al tempo stesso distante dalle coordinate della scuola di Göteborg. Ben presto, però, ci accorgiamo di come la band scelga di integrare anche altre influenze, su tutte quelle gothic, guidate dalla voce pulita di Théodore Rondeau. La breve performance non ci fa gridare al miracolo, ma ci è parsa comunque solida e priva di sbavature. Si nota un importante investimento fatto su questi ragazzi, che iniziano il loro percorso con un tour di alto profilo, nonostante la pandemia li abbia sostanzialmente bloccati praticamente a pochi mesi dalla loro formazione. Avremo sicuramente modo di seguirli e di vedere di che pasta sono fatti con il passare del tempo: per il momento i Naraka si gustano il momento e, giustamente, celebrano anche la data italiana con un immancabile selfie di fine show.
Il tempo di portare a termine le operazioni di cambio palco ed ecco arrivare gli ALCEST. Il loro ultimo album, “Spiritual Instinct”, che ci aveva pienamente convinto in sede di recensione, non ha potuto godere a pieno di una degna promozione, pur essendo stato pubblicato nel 2019. Molto volentieri, quindi, cogliamo l’occasione di ascoltare le nuove composizioni dal vivo, trovandole decisamente efficaci: tutta la prima parte dello show degli Alcest, infatti, si concentra sull’ultima fatica in studio, con l’apertura affidata a “Les Jardin Du Minuit”, seguite a ruota da “Protection” e “Sapphire”. Anche dal vivo, ci troviamo ad apprezzare il dinamismo dei nuovi brani, che hanno visto Neige e Winterhalter affinare la propria scrittura, pur rimanendo fedeli ad una poetica sempre chiara e a fuoco. Il frontman sfrutta al massimo il tempo a disposizione, evitando di perdersi in chiacchiere, se non per ringraziare il pubblico per essere tornato sotto i palchi dopo una pausa così lunga. Chiusa la parentesi iniziale, è tempo di lucidare l’argenteria, sfoderando alcuni episodi di valore dei vecchi album: poche sorprese in scaletta – e questo, se vogliamo, è l’unico appunto negativo che ci sentiremmo di fare – con brani come “Autre Temps”, “Écailles de lune – Part 2” e “Oiseaux De Proie” a sintetizzare in maniera efficace la storia degli Alcest. Dispiace, ancora una volta, vedere messo da parte un gioiello assoluto come “Souvenirs d’un Autre Monde”, l’eccezionale album di debutto, ma capiamo anche il desiderio di dare maggiore spazio alla produzione più recente. A chiudere uno show magistrale, abbiamo invece “Délivrance”, la composizione più luminosa della serata, che ci guida in una coda celestiale, ben sottolineata dall’uso delle luci bianche, con Naige che, lentamente, si inginocchia, dando le spalle al pubblico, in un momento di grande intensità.
Dopo la sobrietà degli Alcest, è lecito aspettarsi uno stage dall’impatto visivo più teatrale per l’arrivo dei CRADLE OF FILTH, ed in effetti la crew inizia rapidamente ad allestire una scenografia adatta alle fantasie infernali di Dani Filth. Già durante lo show delle prime due band, il nostro sguardo era caduto più volte sulle due gigantesche figure scheletriche poste ai lati del palco, ma ad esse si aggiunge un allestimento che vuole rappresentare un intreccio sinistro di rami secchi, da cui spuntano spesso teschi ed altre figure macabre. Il punto focale del tutto, naturalmente, punta alla pedana centrale, su cui troneggia un’asta del microfono contorta e minacciosa. Le note maestose di “The Fate Of The World On Our Shoulders” accompagnano l’ingresso dei musicisti sul palco, che si lanciano in una devastante interpretazione di “Existencial Terror”, primo estratto dell’ultimo (ottimo) lavoro in studio della band.
La scaletta convince fin dalle prime battute: si prosegue con un tuffo nel passato, rispolverando quel gioiello maligno di “Nocturnal Supremacy” ed il classico “Summer Dying Fast”. Dani salta e si muove lungo tutto il palco, incitando la platea e lanciando le sue classiche urla lancinanti, con risultati più che apprezzabili, considerando il trascorrere del tempo e l’oggettiva difficoltà di queste linee vocali estreme. La band non è da meno nel costruire uno show solido e coinvolgente, nonostante gli ennesimi avvicendamenti di line-up. Il nuovo chitarrista, Donny Burbage, si è subito integrato con il veterano Ashok, e le trame di chitarra risultano sempre avvincenti e taglienti come rasoi. Meno eclatante il contributo di Zoe Marie Federoff, chiamata a sostituire Annabelle Iratni, sparita a tempo di record dopo la pubblicazione di “Existence Is Futile”: la nuova arrivata ci è parsa abbastanza inconsistente come tastierista, ricoprendo soprattutto il ruolo di corista. In generale, comunque, è sempre più evidente come i Cradle Of Filth siano solo un’emanazione di Dani Filth, vero fulcro e centro nevralgico tanto della discografia quanto dello show. La band prosegue a saccheggiare la sua discografia, in una summa convincente del proprio percorso artistico. Tra i momenti più efficaci citiamo senza dubbio “I Am The Thorn”, brano particolarmente entusiasmante dal vivo; “Crawling King Chaos”, maestosa nella sua invocazione ad Apophis; per chiudere con la spavalderia arrogante di “Us, Dark, Invincible”. Leggermente sottotono, invece, la versione proposta di “A Gothic Romance”, che ci è parsa perdere almeno in parte l’alone di oscura e romantica bellezza che la caratterizza.
I Cradle Of Filth si ritirano dietro le quinte dopo appena un’ora di concerto, ma si tratta giusto di riprendere fiato: le orgasmiche torture di “Venus In Fear” fanno da preludio al massacro sanguinolento di “Desire In Violent Overture”, graditissimo ritorno da “Cruelty And The Beast”, a cui fanno seguito “Necromantic Fantasies” e “Gilded Cunt”. Per il finale, invece, si torna nella città di Midian, con “Her Ghost In The Fog”, che conclude lo show in un tripudio di coriandoli e fontane pirotecniche, segno di come alla fine, al di là delle fascinazioni sulfuree e dell’immaginario gotico, anche un concerto dei Cradle Of Filth, come si dice in questi casi, ‘è solo rock ‘n’ roll’. E a noi piace così.