Report di Giuseppe Caterino
Fotografie di Benedetta Gaiani
Stanno sicuramente vivendo un buon momento, i Cradle Of Filth, forti delle ultime uscite (in particolare l’ultimo paio di album di inediti, la recente raccolta live e anche l’ultimo singolo), e dunque è piuttosto alto l’interesse del pubblico nostrano di saggiare la forma della band inglese.
Sebbene si tratti di una data infrasettimanale – un mesto mercoledì di novembre – sono in molti a raggiungere il Live Music di Trezzo sull’Adda, sopra il migliaio probabilmente, tra figuri in tinte gotiche, classici metalhead e persino qualche bambino coi genitori (sono proprio cambiati i tempi, e a volte va proprio bene così!).
A fare da contraltare alla band di Dani Filth e soci, troviamo Mental Cruelty e Butcher Babies, due band piuttosto diverse nel genere proposto rispetto al nome principale, ma che tra un approccio diciamo ‘sinfonico’ per i primi, e piuttosto eclettico e ridondante per i secondi, non stonano poi così tanto con gli headliner, al di là dei gusti personali e del genere in sé. Ad aprire la serata i Black Satellite, band newyorkese al cui show non riusciamo però ad assistere causa traffico dell’ora di punta. Ecco com’è andata.
I MENTAL CRUELTY sono appena saliti sul palco ed è chiaro che una discreta fetta dei presenti – a quest’ora ancora sparuti – siano ammiratori o almeno curiosi di vedere all’opera il quintetto tedesco.
La prima cosa che impatta è il buon suono e la prestazione tecnica (componente ovviamente importantissima visto il genere, anche se non mancano un po’ di aiuti in base) e, in particolare la prestazione del cantante, Lukas Nicolai, sembra convincente in termini di resa e presenza scenica.
Assistiamo dunque a questa mezz’ora abbondante di deathcore con innesti sinfonici e una componente più o meno black nell’uso delle chitarre, e possiamo dire che l’abbinamento con gli headliner della serata non è poi così forzato.
A volte l’impressione è che giochino un po’ troppo a fare scena, con movimenti grotteschi vari e un modo di presentare i brani con urla un po’ insistenti, ma la cosa non sembra turbare i presenti a fronte palco, che incitano e si lasciano guidare dalla band, dedicandosi anche a qualche sporadico pogo.
I nostri suonano bene e sanno di saperlo fare: alla fine risultano un tantino monotoni, a dire il vero, anche perché dal vivo le dinamiche presenti su disco vengono fuori molto meno; i brani non mantengono sempre la stessa intensità live e, se non si è troppo addentro alla proposta, si tende a perdersi tra le miriadi di note sparate.
Insomma, uno show che sicuramente avrà fatto contenti i fan della band e che potenzialmente potrebbe aver fatto acquisire qualche nuovo ammiratore ai Mental Cruelty, anche se la band non ci è sembrata così miracolosa.
Quando salgono sul palco i BUTCHER BABIES l’affluenza è ancora abbastanza frastagliata (il grosso delle persone si assiepa nello spazio che va dal mixer al palco), e quando la band inizia, alle 20.35 circa, lo fa in pompa magna, con un ingresso adrenalinico come pochi: luci stroboscopiche, lampade multicolore che salgono dal pavimento e la cantante Heidi Shepherd, unica voce dopo la defezione di Carla Harvey, carica come una molla.
I suoni sono potenti ma un po’ plasticosi (almeno per i gusti di chi scrive), e all’inizio la batteria copre molto gli altri strumenti.
Il pubblico sembra un po’ statico a dire il vero, anche quando la cantante inizia a interloquire con la platea non vediamo moltissima partecipazione ma, nonostante un po’ di freddezza nei confronti del combo, i Butcher Babies sono bravi a conquistarsi il proprio pubblico, che cresce in entusiasmo fino a essere molto caldo verso la fine dell’esibizione.
Il concerto scorre tra un buon alternarsi di pezzi più robusti e veloci ad altri più radiofonici (ai limiti di un pop con le chitarre elettriche); non manca anche una certa dose di elettronica, e di fatto possiamo dire che il gruppo bilancia una resa prettamente musicale non particolarmente brillante (suonano non meglio né peggio di un altro milione di band che si vedono in giro per i festival con sonorità simili, siamo onesti) con un entusiasmo su palco ragguardevole, scatenando a loro volta qualche circle pit. Proprio una proposta per le nostre orecchie abbastanza anonima ha reso impegnativo per chi scrive arrivare alla fine del set, ma la gran parte dei presenti sembrava divertirsi, quindi benissimo così.
Sono circa le 21.50 quando il palco diventa tutto rosso sotto le note di “The Fate Of The World On Our Shoulders”, che accompagna i CRADLE OF FILTH mentre entrano alla spicciolata e si posizionano alle proprie postazioni sul palco (allestito con cancellate gotiche davanti alla batteria e alle tastiere) per attaccare immediatamente con “Existential Terror”, con la comparsa sul palco di Dani Filth.
Si comincia bene, i suoni sono ben calibrati, forse anche qui all’inizio la batteria risulta un po’ alta nei volumi rispetto agli altri strumenti, e a dire il vero l’unico neo sembra la voce, un po’ fredda. Parliamo onestamente del fatto che la voce di Dani Filth, dal vivo, non è proprio la punta di diamante del gruppo (il quale dal canto proprio suona in maniera straordinaria tutti i brani), ma è anche vero che verso metà concerto sembra scaldarsi e ingranare bene, regalando un’ottima prestazione per tutta la seconda parte dell’esibizione (non stiamo nemmeno a nominare i vari effetti usati, comunque parte di quanto proposto dal gruppo). Anche dal punto di vista scenico, il frontman si muove e partecipa in maniera molto fisica, ma senza troppo esagerare.
Dopo l’ottima opener, arriva subito “Saffron’s Curse”, dall’ultimo grande disco del primo ciclo dei Cradle, ovvero “Midian”, che chi scrive all’epoca dell’uscita venerava assieme a tutti i suoi predecessori. Anche questa canzone suona benissimo, qui forse con le chitarre vagamente basse.
Il palco cambia luci in maniera repentina, adornato da due enormi scheletri ai lati e animato da una band assolutamente viva e partecipe, che si muove e si sposta, dimostrando sia nella forma che nella sostanza il suo ottimo stato. L’intro di “The Forest Whispers My Name”, tra gli apici della band, viene accolto da una levata di appassionati della prima ora (c’è un certo scarto di reazioni sui brani più datati, in effetti) e viene suonata perfettamente, con quello stacco centrale praticamente thrash salutato ad headbanging e corna alte.
La scaletta è generosa, pescando da molti episodi degli inglesi, con un discreto alternarsi di vecchio e nuovo, e dopo questo salto indietro nel tempo, irrompe “She Is A Fire”, brano più recente: capace di piacere già su disco, nella sua veste live, che ne esalta le caratteristiche più classic heavy metal, fa la sua signora figura, anche se si sentono dei fischi che sembrano provenire da una delle chitarre.
Altra altalena tra vecchio e nuovo, una devastante versione di “Summer Dying Fast”, un po’ confusa forse all’inizio, ma il cui tiro riesce a prenderci alla gola, anche se sentiamo sempre dei fischi. Da segnalare infatti che la chitarra di Donny Burbage viene cambiata durante la canzone, a conferma dei problemi che ci sembrava di aver percepito, ma la cosa avviene molto professionalmente, senza inficiare il risultato.
Dopo aver suonato qualcosa del primo disco ecco “Malignant Perfection”, ben accolta e davvero buona dal vivo, con la sua andatura goticheggiante e vagamente alla Death SS. Cade un pochino il ritmo, secondo noi, con la seguente coppia di brani, e ci sembra la cosa sia un po’ condivisa dal pubblico che a questo punto sembra godersi il concerto un po’ meno attivamente, mentre Dani riceve delle rose scarlatte durante una scenetta, fiori che regalerà alle prime file e alla brava tastierista-cantante Zoe Marie Federoff.
Arriva “Malice Through The Looking Glass” a rimetterci in riga, brano teso e toccante, che suona delle corde notevoli in termini di intensità, qui forse al picco.
Per quanto il corso recente dei Cradle Of Filth sia qualitativamente buonissimo, alcune perle del passato sono davvero inarrivabili, e l’aria che si crea con alcuni di questi brani è di un altro livello: “Born In A Burial Gown” sembra essere messa lì apposta per confermarlo, in un punto in cui la coesione tra i musicisti è davvero palpabile.
A questo punto c’è un momento di stop, con la band che lascia il palco intrattenendo il pubblico con un intermezzo strumentale in base, prima di ritornare per il classico pugno finale di canzoni.
Un pugno di gran lusso, visto che al ritorno di Dani e compagnia si parte senza tanti preamboli con un “Hear me now” che ci riporta tutti alla copertina sanguinaria di “Cruelty And The Beast” e alla pomposa introduzione di “Cruelty Brought Thee Orchid”, che con le sue ieratiche variazioni, i suoi stop-and-go, i suoi cambi, e i suoi passaggi cadenzati sottolineati da gran parte dei presenti nelle incitazioni o nel canto vero e proprio, rende questo momento forse il migliore del concerto.
Non che a seguire vada meno bene, con il finale lasciato nelle mani di “Scorched Earth Erotica” e alla chiusura dell’attesa “Her Ghost In The Fog”, brano sicuramente catchy, ma capace comunque di ammaliare e di unire i partecipanti al rito di urlare al momento giusto il titolo del brano nel ritornello: la canzone chiude la serata tra gli applausi di un pubblico soddisfatto per un concerto praticamente quasi senza sbavature e senza pacchianate: niente fuochi, coriandoli, balletti, giusto qualche piccola nota di colore (come la figura che introduce “Her Ghost In The Fog”); insomma, a parlare c’è stata praticamente solo la musica, assieme alla giusta teatralità che si confà ai Cradle Of Filth.
Lo show si chiude, al rialzarsi delle luci, sulle note di “Careless Whisper” di George Michael (sembra esserci una certa moda delle canzoni fuori contesto a fine live), con una scaletta gustosa e rivelatore della forma di un gruppo che ha avuto i suoi bassi in carriera, ma che ora sembra aver ritrovato la propria dimensione.
BLACK SATELLITE
MENTAL CRUELTY
BUTCHER BABIES
CRADLE OF FILTH