Report a cura di Carlo Paleari
Foto di Moira Carola
Quando in una sola serata possiamo goderci una vera coppia d’assi come Cradle Of Filth e Moonspell, l’unica cosa da fare é affrontare il clima ancora rigido di metà febbraio e la stanchezza del lunedì per correre al Live Music Club per un concerto dalle atmosfere decadenti e maligne. Entrambe le formazioni sono tornate da poco ad affacciarsi sul mercato con due lavori molto interessanti: i Moonspell, con il loro “1755”, hanno deciso di mettere in musica il terremoto che devastò Lisbona facendo decine di migliaia di morti e cambiando radicalmente l’intera società portoghese. I Cradle Of Filth, invece, hanno confermato il loro ottimo stato di salute dopo le incertezze del passato con la pubblicazione di “Cryptoriana – The Seductiveness Of Decay”, affascinante opera ispirata alla letteratura Vittoriana che riporta la band di Dani Filth a quelle atmosfere che avevano reso grandi album come “Cruelty And The Beast” e “Midian”. Puntualissimi sulla tabella di marcia, finalmente le luci si spengono e lo spettacolo ha inizio: chi avrà la meglio tra licantropi e vampiri?
MOONSPELL
Il primo a salire sul palco dei Moonspell è proprio il frontman, Fernando Ribeiro, avvolto in una palandrana, con un cappello a tesa larga e una lanterna che brilla in mezzo alle luci verdi e il fumo. L’effetto scenico è affascinante ed è perfetto per immergerci nelle atmosfere di “1755”, che sarà il protagonista del set dei lusitani. Tutta la prima parte dello show, infatti, segue la narrazione del nuovo album, rafforzata da una messa in scena semplice ma efficace e dal carisma magnetico di Ribeiro. Si nota in queste situazioni la differenza tra un semplice cantante e un grande frontman: nonostante il palco ridotto per far posto a parte della strumentazione dei Cradle Of Filth e la posizione da opening act, la capacità di Fernando di ricreare le ambientazioni sonore del nuovo album è assoluta. Il frontman è coinvolgente, ipnotico e, a parere di chi scrive, è stato sicuramente il migliore dell’intera serata, headliner compresi. Le nuove composizioni, in veste live, perdono un po’ della maestosità corale della versione in studio, ma questo viene compensato dall’impatto sonoro creato dalla band. Oltre al nuovo album, abbondantemente saccheggiato, trova ovviamente spazio nella scaletta anche qualche brano più vecchio. Ci riferiamo, ad esempio, all’immancabile “Opium”, accolta con un boato nonostante sia stata penalizzata dai suoni che hanno reso quasi inudibile la voce di Ribeiro nei passaggi più bassi e puliti; oppure a “Scorpion Flower”, che vede il cantante duettare con Lindsay Schoolcraft dei Cradle Of Filth. A chiudere il set, invece, ci pensano altri due pezzi da novanta, ovvero “Alma Mater”, sempre da brividi e, a nostro parere, vetta mai più raggiunta nell’intero canzoniere dei Moonspell; e “Full Moon Madness”, che pone il sigillo sull’ennesima performance da applausi della formazione portoghese. Abbiamo visto spesso i Moonspell in quest’ultimo periodo, nelle diverse date celebrative dei loro album più amati, fino alla spettacolare prova al nostro Metalitalia.com Festival, ma nonostante ciò ogni volta riescono a stupirci, confermandosi dei maestri di indiscusso valore.
CRADLE OF FILTH
Tocca agli headliner il compito di far proseguire una serata iniziata ottimamente. Sulle note di “Ave Satani” i Cradle Of Filth fanno il loro ingresso sul palco. Per ultimo, tra le ovazioni del pubblico, compare lui, Dani, bardato di pelle, spuntoni e stracci neri. “Gilded Cunt” dà fuoco alle polveri e il pubblico dei Cradle Of Filth risponde con trasporto, cantando, se non i latrati spesso inintelligibili del cantante, quantomeno le linee melodiche delle chitarre. La scaletta dei Vampiri spazia per la discografia del gruppo, ora ripescando qualche brano immortale del passato (“Beneath The Howling Stars”), ora spostandosi su episodi più recenti (“Blackest Magick In Practice”). Naturalmente non può mancare qualche episodio dall’ultimo capitolo in studio e appare chiaro come il pubblico italiano abbia decisamente apprezzato “Cryptoriana”. Non è un caso, infatti, se i primi accenni di pogo compaiono proprio durante la riproposizione dell’ottima “Heartbreak And Seance”, accolta con entusiasmo da tutti i presenti e suonata con convinzione e grinta da tutti i musicisti. Dani, intanto, ne approfitta per confermare al pubblico che, pur non sapendo ancora quando, i fan dei Cradle Of Filth potranno godere a breve di una nuova riedizione di “Cruelty And The Beast”, rimasterizzata e remixata in occasione del ventennale dalla pubblicazione avvenuta nell’ormai lontano 1998. A questa notizia fa seguito la riproposizione di “Bathory Aria”, lunga ed articolata suite dedicata alla Contessa Erzsébet Bathory, che rappresentava uno dei vertici dell’album citato. Da “Cruelty And The Beast” ad oggi, i Cradle Of Filth hanno cambiato faccia più e più volte e solo Dani é rimasto della formazione di fine anni Novanta. La band, però, appare molto coesa ed efficace sul palco, soprattutto per l’accoppiata di asce Richard Shaw/Ashok, che risulta compatta ed affiatata. Anche il batterista Marthus si cimenta in una prova potente e grintosa, mentre continuano a rimanerci delle perplessità circa il ruolo di Lindsay Schoolcraft. Ci rendiamo conto della comodità di aver riunito in una sola figura tastiere e voci femminili, ma rispetto agli ottimi musicisti visti in passato, Lindsay ci appare poco incisiva: spesso le parti di tastiera vengono semplificate e abbondano le parti preregistrate, anche dove ci saremmo aspettati una resa live (vedi l’introduzione di piano di “Bathory Aria”). Il buon Dani, invece, appare in forma e regge ancora bene le inumane parti vocali che metterebbero alla prova chiunque, indipendentemente dal trascorrere del tempo. Il concerto prosegue e i Cradle Of Filth continuano a riversare scenari di morte e decadenza sul pubblico, prediligendo la produzione del nuovo millennio: “The Death Of Love”, “The Promise Of Fever”, “Nymphetamine (Fix)” si alternano giusto ad un paio di estratti più datati (l’immensa “Dusk And Her Embrace” e “Her Ghost In The Fog” dallo splendido “Midian”). Chi, come il sottoscritto, segue la band inglese da più di vent’anni, avrebbe magari apprezzato qualche incursione in “The Principle Of Evil Made Flesh” o “V Empire”, completamente dimenticati, rispetto ad un brano francamente kitsch come “The Death Of Love”, ma si entrerebbe in una mera questione di gusti in cui è impossibile accontentare tutti. Poco male, comunque, perché con “Born In A Burial Gown” si conclude un altro concerto di ottimo livello che, aggiunto allo show dei Moonspell, sancisce la perfetta riuscita di una serata dalle tinte oscure in cui hanno dominato le creature della notte.