A cura di Luca Pessina
I Crowbar di Kirk Windstein… senza dubbio una delle band più longeve, più influenti e, purtroppo, più sottovalutate della gloriosa scena di New Orleans. Oltre vent’anni di carriera, ma scarse le soddisfazioni raccolte da questa formazione… soprattutto se paragonate a quanto ottenuto in assai minor tempo dai loro amici Down (di cui, fra l’altro, Windstein fa parte). Ma, in fin dei conti, tutto ciò ha relativa importanza: per fortuna, la qualità della musica non si misura in base alle copie vendute. I Crowbar hanno comunque fatto la storia dello sludge – o del metal più groovy, senza dimenticare l’influenza che hanno avuto anche su certo hardcore – e tuttora possono vantare un seguito piccolo ma fedelissimo, che non manca mai di tributare loro onori ogni qualvolta il gruppo si esibisce dal vivo. Non sorprende quindi che in questa fredda serata di gennaio l’Underworld di Londra registri il tutto esaurito: l’ultima volta che la band ha suonato da queste parti risale al 2006 (di supporto agli Hatebreed) e la voglia di riammirare dal vivo il barbuto Kirk e i suoi soci è di quelle incontenibili…
CROWBAR
Perdiamo l’esibizione dei supporter Shaped By Fate perchè impegnati a intervistare Kirk Windstein (leggerete tutto prossimamente), quindi, almeno per noi, il concerto di stasera è a tutti gli effetti targato Crowbar. Il quartetto non si fa troppo attendere, anche perchè il “coprifuoco” del locale questa sera è stato fissato abbastanza presto, e arriva sul palco senza troppe cerimonie, godendosi la vista di una sala completamente piena. Windstein ovviamente si piazza al centro ed è proprio lui che saluta il pubblico prima che Tommy Buckley faccia partire “Conquering”, opener del vecchio “Broken Glass” e brano ideale per smuovere subito i fan, essendo ben bilanciato tra up e midtempo. Da qualche mese disintossicato dall’alcol, il frontman appare in buona forma sia a livello vocale che fisico, nonchè di ottimo umore. Tante le battute scambiate con i presenti e altrettanto consistente la sua mobilità sul pur piccolo palco dell’Underworld. Paradossalmente, risultano un po’ più compassati i suoi più giovani compagni, ma ciò non va a discapito dell’impatto visivo: i nostri “fanno muro” davanti agli astanti e si impongono con una serie di bordate groovy sparate in rapida sequenza. Prevedibile la scaletta, ma ciò è lungi dall’essere una critica: per una band che fa visita al Vecchio Continente praticamente una volta ogni lustro, puntare tutto sui propri classici è un assoluto “must” e nessuno fra il pubblico, come ovvio, ha qualcosa da ridire. Si susseguono così perle come “All I Had (I Gave)”, “The Lasting Dose” o “Self-Inflicted”, fino all’intensissimo finale di “Planets Collide”, forse il pezzo più famoso (sicuramente il più toccante) della discografia del gruppo di New Orleans. Qualcuno arriva anche alle lacrime su questo brano e non è un caso che l’applauso che i nostri riscuotano al suo epilogo risulti il più lungo e fragoroso di tutta la serata. Un gran concerto e una grande risposta da parte del pubblico… il quale, dopo un paio di minuti, viene premiato ulteriormente con la “premiere” live di un nuovo brano tratto dall’imminente “Sever The Wicked Hand”. “The Cemetery Angels” chiude a tutti gli effetti lo show con il suo saliscendi di ritmi e il sentito testo di Windstein, che parla senza mezze misure della sua battaglia con l’alcol. Qualcuno arriva anche a fare stage diving nella pesante parte finale, ma è più una scusa per arrivare sul palco e abbracciare il frontman, che simpaticamente ricambia. Quindi tante strette di mano e sorrisi… è davvero il momento di congedarsi. Arrivederci Crowbar… speriamo a presto.