Quando si vanno a (ri)vedere band con carriere di diverse decadi sono tante le riflessioni che possono saltar fuori, al di là delle prestazioni specifiche più o meno contingenti a questo o quel momento particolare.
Il tour Cryptopsy + Atheist passato per l’Italia qualche giorno ne ha offerte parecchie, di riflessioni, al netto della qualità dello spettacolo offerto che è stata comunque molto alta.
E’ un venerdì sera freddo e piovoso dalle parti del Revolver di San Donà di Piave, discoteca e locale live che ogni tanto propone serate metal piuttosto interessanti; la location, situata nell’alta provincia veneziana, a chi scrive è sempre piaciuta perché molto raccolta nella struttura e garantisce con una certa costanza di buoni suoni, aspetto che aiuta molto gli appassionati a partecipare ai live anche in stagioni come queste in cui un divano, un buon impianto stereo e un libro potrebbero essere una tentazione.
A causa di rallentamenti durante il viaggio, ci rechiamo sul posto a concerto già iniziato, perdendoci la prima band in cartellone, gli Almost Dead, ma allo stesso tempo ci accorgiamo con sollievo di un discreto numero di presenti, nonostante questa sia una delle ben quattro date previste per il territorio italiano, un numero particolarmente alto in un momento in cui il mercato è profondamente frazionato.
Appena entrati le luci si abbassano ed iniziano i MONASTERY ungheresi, band che sta investendo molto nei tour, visto che sono già passati dalle nostre parti insieme a Belphegor, Atrocity e Arkona non molto tempo fa per il Black Winter Fest.
L’impressione che abbiamo è quella di un gruppo onesto, fortemente debitore del death metal anni Novanta, che si muove su coordinate Bolt Thrower, Obituary e Sepultura. I nostri indugiano anche parecchio sui midtempo, mostrando un lato groove e cercando di interagire con il pubblico tramite strutture semplici e memorizzabili. L’esecuzione è buona, ma a nostro avviso manca un po’ quella scintilla che ci potrebbe far venir voglia di riprenderli in mano una volta tornati a casa o, ancora meglio, di acquistare dischi o merch.
Non abbiamo comunque davanti dei novellini: la storia della band è piuttosto lunga, con due o tre periodi di attività di cui l’ultimo riavviato nel non lontano 2020 e già due dischi all’attivo. Piacevoli quindi, ma non fondamentali, al netto di tanto entusiasmo mostrato. Crederci però è sicuramente un merito e va loro riconosciuto.
Un cambio di palco dalle tempistiche adeguate porta gli ATHEIST di Kelly Shaefer ad esibirsi davanti ad un buon numero di appassionati e ci vuole veramente poco per rimanere incantati ed emozionati da quanto vediamo e sentiamo.
La live-band che abbiamo davanti è formata da giovani musicisti quasi tutti sotto i trent’anni e da Shaefer che si occupa solo del microfono. Sulla carta quindi ci sarebbero tutte le condizioni per aspettarsi una cover band più o meno stanca come in molte altre reunion che – per motivi anagrafici – hanno pian piano perso nuovamente i musicisti fondamentali e di conseguenza qualsiasi appeal oggettivo.
Il discrimine, a questo punto, è molto sottile: cosa rende una band ancora ‘reale’ e quando essa diventa invece una sorta di tributo e perde di identità? La risposta – in generale – è impossibile da dare e noi ci limitiamo ad elogiare quello che abbiamo potuto vedere in quel del Revolver: una grandissima prova di death metal tecnico sorretta da musicisti entusiasti e con grandissimo tiro esecutivo.
La scelta della scaletta li aiuta molto, ovvero una selezione quasi in egual misura di estratti dai primi tre storici dischi, ovvero “Piece Of Time”, “Unquestionable Presence” e il controverso (all’epoca) “Elements”. Quello che sentiamo sono bordate groovy e sincopate sorrette dal basso di Yoav Ruiz-Feingold e cesellate dalle chitarre di Alex Haddad (già con gli Arkaik) e Jerry Witunski che mostrano una naturalezza adattissima per coinvolgere il pubblico. Nonostante sia ancora formalmente coinvolto nella reunion, alla batteria non siede Steve Flynn ma è sostituito da qualche tempo da Dylan Marks, la cui prestazione è comunque notevolissima.
Resta infine il buon Kelly che, anche senza chitarra, padroneggia la scena con simpatia, carisma e soprattutto, una dose di sorrisi infinita. Risentire i classici di “Piece Of Time” e “Unquestionable Presence” diventa quindi piacevolissimo e coinvolgente. Chi scrive è molto legato ad “Elements” ed è altrettanto bello vedere come un disco che al tempo poteva sembrare uno step ‘eccessivo’ si posizioni perfettamente nel percorso artistico di un gruppo che ha davvero osato tanto. E’ abbastanza buffo, perciò, pensare alle reazioni negative dei fan del tempo, in quel celebre tour coi Cannibal Corpse nel lontano 1992: in questo caso la musica sopravvive a tutto e gli Atheist hanno avuto giustizia. Per il loro percorso attuale, aggiungiamo solo un “Grazie, Kelly, lo stai facendo bene”. Questa sì che è resilienza.
In perfetto orario con quanto annunciato, tocca ai rinati CRYPTOPSY che dopo un disco odiatissimo come “The Unspoken King” si sono in parte ibernati e ricostruiti con i due EP “Book Of Suffering” e il recente, ben accolto, “As Gomorrah Burns”.
A dir la verità, se la dimensione in studio ha avuto fasi alterne, chi scrive dal vivo non li ha mai visti particolarmente sottotono nell’ultima decade. Partiamo quindi da come li abbiamo percepiti: ottimi e abbondanti.
Quello che li ha aiutati di sicuro è stata la scaletta, con una parentesi molto ampia di “None So Vile”, un medley di “Blasphemy Made Flesh”, qualche estratto dal nuovo disco (“In Abeyance”, “Flayed The Swine” e “Lascivious Divine”) e amenità varie, tipo “Back To The Worms” dal demo. In sostanza i Cryptopsy dal vivo sono un completo, totale treno in faccia e non indugiano nemmeno più di tanto sul lato tecnico. Nel quartetto canadese non percepiamo il bisogno di assoli individuali e di velleità tecniche che evidenzino lo strumentista: tutto è invece convogliato a creare impatto annichilente nei confronti dello spettatore.
La voce di McGachy è più che buona e i suoi passaggi da growl a scream di una naturalezza quasi disarmante; della batteria di Mournier non c’è molto da dire, se non che abbiamo davvero apprezzato il suo non voler strafare e prendersi spazi personali, altra tentazione che potrebbe permettersi benissimo, visto il curriculum. Il set, adeguato per tempi, scorre in modo realmente coinvolgente e dopo un’oretta di martellate giungiamo a fine serata soddisfatti.
Riflessione conclusiva: se dal vivo i Cryptopsy non hanno mai smesso di menare, con dischi come “As Gomorrah Burns” potrebbero aver dato inizio ad una nuova età dell’oro anche in studio. “Dai dai dai”, come diceva René Ferretti.