Report a cura di Maria Chiara Braida
Che piaccia o meno, il trend attuale della celebrazione dell’anniversario di un disco importante si traduce spesso in un evento che calamita i fan più affezionati di una band ed al contempo si guadagna l’attenzione delle nuove generazioni e dei curiosi, in una appassionata ed interessante fusione. Questo è il contesto in cui ci troviamo stasera al Dagda Club di Borgo Priolo (PV), aspettando che i Cryptopsy suonino dal vivo vent’anni dopo “None So Vile”, nella unica data italiana del None So Live MMXVII tour, dopo aver calcato il palco dell’Hellfest solo pochi giorni fa e in procinto di proseguire il loro viaggio attraverso le maggiori città europee. Siamo dunque orgogliosi di accogliere il quartetto brutal death metal canadese in questa piccola realtà della campagna pavese: la location è a tutti gli effetti una palestra, un palazzetto di paese dall’atmosfera ruspante ma senza ombra di dubbio genuina. Opener per questo evento sono i toscani Bleed Someone Dry, che a loro volta celebrano dieci anni di attività sui palchi. Andiamo così nel dettaglio ad esaminare cosa ci ha riservato questa serata di ricorrenze.
BLEED SOMEONE DRY
Il Dagda Club non è molto affollato quando la band di Pistoia sale su un palco spoglio attorno alle 22.00, anzi: la sala è semi vuota ma bisogna riconoscere che è lunedì sera e che all’interno del palazzetto la temperatura è piuttosto elevata, così che molti preferiscono stare ancora all’esterno e godersi il tardo tramonto e la brezza gradevole dell’aperta campagna in cui è immerso il locale. Per questa occasione i Bleed Someone Dry ci propongono quasi per intero il loro ultimo album, datato 2015, “Post Mortem | Veritas”. Una setlist piuttosto serrata e concisa della durata di una quarantina di minuti che trascorre effettivamente abbastanza veloce malgrado la proposta math death core non sia troppo originale ed i volumi non rendano giustizia all’energia che innegabilmente i quattro profondono nel tentativo di accaparrarsi una reazione del pubblico, che più che caloroso sembra accaldato. Tuttavia, si deve ammettere che nonostante i pezzi si distinguano difficilmente l’uno dall’altro, soprattutto a causa dei suoni scadenti, i quattro musicisti nostrani riescono brano dopo brano a coinvolgere di più i presenti e a riprodurre anche dal vivo quella stessa complessità strutturale, la rapidità, la potenza, l’incontro di suoni dissonanti con un growl aspro, che su disco risultano sicuramente più evidenti ed apprezzabili.
CRYPTOPSY
Considerato da molti uno dei migliori dischi death metal, “None So Vile” uscì nel 1996 con una formazione per tre-quarti differente da quella che ritroviamo sui palchi di questo tour e che abbiamo davanti a noi stasera. Di fatto l’unico membro rimasto di quella band degli anni ’90 è il batterista Flo Mounier, ma ritrovarsi faccia a faccia con gruppi i cui membri sono cambiati ripetutamente nel corso dei decenni, e tuttavia celebrare i fasti di un passato altrui, pare una costante quasi ininfluente in un momento in cui ricordare sembra essere importante tanto per i fan quanto per le band, sebbene forse per motivi differenti. Ad incorniciare il palco, unico elemento decorativo è ai due lati la riproduzione del dipinto di Elisabetta Sirani raffigurante la leggendaria principessa Erodiade con la testa di Giovanni Battista, anche copertina del disco. Sotto al palco invece, il pubblico ora si fa decisamente più numeroso, anche se la capienza del palazzetto permetterebbe di accogliere una quantità molto più consistente di spettatori. La scaletta si apre con tre pezzi provenienti da album diversi, non inclusi nel disco che dà il nome a questo tour, e lo show ha inizio sulla più recente “Two-Pound Torch” seguita da “Mutant Christ” e “Detritus (The One They Kept)”, per poi addentrarsi nel vivo dello spettacolo ed articolarsi sui brani che compongono la perla del brutal per la quale la band canadese è più amata. Purtroppo, pur spostandoci prima più vicini al palco, poi più lontani, poi verso i lati della sala, la qualità del suono rimane scarsa, a gran voce il pubblico chiede volume e a tutti gli effetti in molti momenti non è possibile godere appieno delle performance dei singoli musicisti. Ciò non impedisce fortunatamente di riconoscere ancora e sempre in Flo Mounier una vera drum machine, brutalmente tecnico e veloce. Anche Matt McGachy non se la cava affatto male: è vero che la voce ed il timbro di Lord Worm sono indubbiamente difficili da eguagliare ma il giovanissimo vocalist gode di una innata e molto fisica attitudine scenica, il suo growling è potente, la sua performance risulta nel complesso adrenalinica e la sua interpretazione è sinceramente godibile. Si crea più volte un tentativo di pogo, ma probabilmente in sala fa troppo caldo e volta per volta dopo i primi accenni il mosh si riordina. Se è vero che durante tutto lo show il pubblico si è dimostrato infuocato e partecipe, è in particolare sulle note delle ultime “Phobophile”, “Lichmistress” e “Orgiastic Disembowelment” che possiamo sentire più intenso l’entusiasmo di ogni singolo spettatore ed essere davvero parte di una celebrazione, come era negli intenti di tutti. A spettacolo concluso è possibile per i fan richiedere autografi e scattare delle foto assieme alla band. Una bella serata.