Report a cura di Giacomo Slongo
Foto a cura di Cinzia Bertodatto
Uno degli appuntamenti più attesi e chiaccherati della stagione concertistica primaverile, per lo meno in ambito estremo, era senza dubbio rappresentato dal ritorno nel Vecchio Continente dei Cryptopsy, riscattatisi dopo il gigantesco scivolone di “The Unspoken King” con un disco omonimo che sembra essere stato accolto molto bene sia dal pubblico che dalla critica e fautore – guarda caso – di soluzioni iper-tecniche e convulse sulla scia dei leggendari “None So Vile” e “Whisper Supremacy”. Un piatto già di per sé ricco e saporito, reso imperdibile dalla presenza dei Cattle Decapitation, dei Decrepit Birth – alla loro prima calata italica – e della premiata ditta The Last Shot Of War/Eyeconoclast, con gli ultimi due gruppi chiamati ad aprire le danze. Per motivi indipendenti dalla nostra volontà, giungiamo a Romagnano Sesia a spettacolo inoltrato – perdendoci di fatto le esibizioni dei death-corer belgi e dei death/thrasher capitolini – quando le luci si stanno abbassando e la band di Santa Cruz, California, é in procinto di salire sul palco…
DECREPIT BIRTH
Cinque lunghissimi anni. E’ dal febbraio 2008, data di pubblicazione di “Diminishing Between Worlds”, che non stiamo più nella pelle al pensiero di assistere ad uno show di Matt Sotelo e Bill Robinson. Chitarrista e compositore straordinario, il primo, vocalist dalla presenza scenica inimitabile, il secondo, da più parti identificati come gli unici, veri eredi al trono lasciato vacante dai Death. Ai Nostri sono bastate due manate in pieno volto come “Of Genocide” e “The Infestation” per annichilire la platea (invero non molto numerosa) e riscaldare una volta per tutte gli animi della serata, coadiuvati dalla sei corde di Chad Fraser e dalla sessione ritmica affidata a dei turnisti sconosciuti. Ed è proprio il batterista, giovanissimo e ricciolino, a catalizzare il grosso delle nostre attenzioni, forte di una preparazione tecnica ai limiti del jazz/fusion che dona ulteriore imprevedibilità e scorrevolezza alle già sofisticate trame degli statunitensi. Robinson dal canto suo – dreadlock, barba incolta, pelle arsa dal sole californiano… Un vero freakettone anni ’70! – fa il bello e il cattivo tempo, dimostrando di essere uno dei migliori frontman della scena, sempre disposto ad interagire con il pubblico e responsabile di vocals profondissime e brutali. Seguono alcuni brani dalle opere successive – spettacolari le esecuzioni di “A Gathering Of Imaginations” e “Symbiosis” – prima che una cover di “Crystal Mountain” ponga fine allo spettacolo, tra ovazioni e decine di persone intente a cantarne lo storico ritornello. Pilastri tanto su disco quanto sul palco, chapeau.
CATTLE DECAPITATION
Avevamo salutato i Cattle Decapitation in quel di Dinkelsbühl, Germania, a fronte di uno dei migliori concerti della passata edizione del Summer Breeze, li ritroviamo questa sera – se possibile in una veste ancora più brutale ed affiatata – sullo stage della Rock & Roll Arena di Romagnano Sesia, pronti a frantumarci le ossa con il loro death/grind animalesco ed ultra-contaminato. I Nostri, dalla pubblicazione del portentoso “Monolith Of Inhumanity”, non si sono praticamente più fermati… e si vede! Tour dopo tour, concerto dopo concerto, la formazione di San Diego ha presto assunto le sembianze di una macchina da guerra, sanguinaria quanto le sue censuratissime copertine. Con il già menzionato full-length saccheggiato in lungo e in largo – il quinto di una carriera cominciata nei lontani Anni ’90 – ecco esplodere come colpi inferti a bruciapelo le varie “The Carbon Stampede” e “A Living, Breathing Piece Of Defecating Meat”, brani apripista di una setlist che diventerà sempre più folle ed insensatamente violenta. Il frontman Travis Ryan non smentisce la sua fama, alternando come se nulla fosse growling da scarico fognario, urla acidissime e tonalità semi-pulite, condendo il tutto con decine di sputazzi catarrosi (prontamente inghiottiti dopo un volo aereo di qualche metro) ed atteggiamenti scellerati, con il basso di Derek Engemann, la batteria di David McGraw e la chitarra di Josh Elmore a svolgere chirurgicamente il proprio dovere. Le massacranti “Dead Set Suicide”/“Do Not Resuscitate” e le melodiche (si fa per dire) “Lifestalker”/“Your Disposal”, proseguono il discorso cominciato, spianando la strada alla torbida degenerazione di “Forced Gender Reassignment” (ricordate il video pubblicato qualche mese fa?) e “Kingdom Of Tyrants”, che impartiscono a tutti il colpo di grazia in un crescendo che non lascia speranza a chi è venuto prima e – soprattutto – a chi verrà dopo. Non ce ne vogliano Decrepit Birth e Cryptopsy, ma anche questa sera i Cattle Decapitation hanno dimostrato di meritare il loro posto in cima alla catena alimentare. Fantastici.
CRYPTOPSY
Non si può certo dire che il concerto dei Cryptopsy, attesissimo dalla stragrande maggioranza del pubblico, sia cominciato nel migliore dei modi! Dopo un soundcheck lungo ed apparentemente studiato in ogni minimo dettaglio, i Nostri partono a razzo con “Two-Pound Torch”, fermamente decisi ad offrire uno spettacolo coi fiocchi. La line-up è in palla, i suoni perfetti, la potenza del brano incalcolabile… Ma quando per Matt McGachy arriva il momento di cantare, il microfono si ammutolisce inspiegabilmente. Tra sguardi perplessi, invettive e chi più ne ha più ne metta, i canadesi portano a compimento il brano, mentre i tecnici si fanno in quattro per risolvere il problema e mettere il frontman nelle condizioni di tornare a fare il proprio lavoro. Risolto lo spiacevole inconveniente, il quartetto riprende ad infierire mazzate con la carica di una locomotiva, inanellando una doppietta che fa esplodere una volta per tutte i presenti: “Benedictine Convulsions” ed “Emaciate” fuoriescono dagli amplificatori come tornado, ponendo gli accenti sullo straordinario drumming di Mounier e sul growling di McGachy, che a dispetto di un volto pulito da liceale conferma di essere il migliore cantante mai avuto dalla band dopo Lord Worm. Desta qualche perplessità la mancanza di Jon Levasseur alla chitarra – che abbia deciso di abbandonare baracca e burattini una seconda volta? – rimpiazzato dal solo Christian Donaldson, mentre convince appieno il lavoro svolto da Olivier Pinard (Neuraxis) al basso, tra i più infervorati sul palco. “Worship Your Demons” – unico estratto dal criticatissimo “The Unspoken King” – fa da ponte per il groove psicotico di “Graves Of Father”, prima che “Cold Hate, Warm Blood” introduca una seconda parte di show decisamente ricca di gratificazioni. Su tutte, un medley di brani dallo storico “Blasphemy Made Flesh”, aperto dal riff sfonda-pareti di “Defenestration” e portato avanti da segmenti di “Abigor” e “Open Face Surgery”; una chicca che in pochi (noi compresi) si aspettavano! “The Golden Square Mile” e “Phobobile” pongono i sigilli su una performance decisamente riuscita e coinvolgente, che sancisce una volta per tutte la grandezza di questo pezzo di Storia vivente del death metal. I bei tempi di “None So Vile” e “Once Was Not” sono andati e non torneranno più, ma finchè i canadesi continueranno ad esprimersi su questi livelli – almeno sulle assi di un palco – non avremo di che lamentarci.