Report a cura di Giovanni Mascherpa
Foto di Francesca Fornasari
“Mariner”, frutto del matrimonio d’intenti fra i post-metaller Cult Of Luna e la cantante noise-hardcore Julie Christmas, può essere già considerato, per chi scrive, nella categoria dei capolavori: i mesi hanno fatto sedimentare tutte le sue qualità, rendendo ancora più splendenti doti manifestatesi chiaramente nel giro di un pugno di ascolti. Nato con l’idea di rimanere un progetto da studio, “Mariner” ha travolto in un fiume di bellezza e possibilità inesplorate i suoi stessi autori, autorizzandoli a sognare l’impensabile, ossia veder andare in scena la band svedese e la singer statunitense in un numero di date selezionate, intenti a suonare per intero il disco da poco edito. Le fitte agende dei personaggi coinvolti sono in qualche modo collimate, così la prima settimana di novembre diventa quella in cui “Mariner” prende vita, esce dai solchi analogici e digitali e si presenta a noi in una carnalità pulsante mista all’onirico. Cinque concerti, in venue perfettamente attrezzate per consentire lo sfoggio dell’immaginifico light show del gruppo e una dotazione tecnica che possa supportare le stratificazioni di suono senza incorrere in pericolosi deficit formali. Quello che segue è il racconto dell’ultimo appuntamento, al Vox di Atene, un’elegante venue disegnata appositamente per gli eventi di musica dal vivo: piano terra col pavimento digradante verso il palco, soffitto altissimo, impianto luci faraonico, due balconate per poter godere lo show anche da un punto di vista diverso dal consueto. Solo Cult Of Luna e Julie Christmas per l’occasione, nessun supporter. Il locale, già preso d’assedio da parecchi fan prima dell’orario di apertura porte, va riempiendosi a poco a poco, mentre l’aria si riempie di un’attesa così vibrante da farsi quasi forza fisica. Siamo vicini al sold-out, ottenuto a Stoccolma e a Kortrijk, oltre che al Damnation Festival di Leeds. Venti minuti di ritardo rispetto all’orario prestabilito non irritano una platea paziente e carichissima. Poco prima delle dieci di sera, la magia ha inizio…
I primi rintocchi della batteria, i droni a serpeggiare furtivi, il fumo che inonda il palco, occultando in parte le sembianze dei musicisti. Un’ovazione si alza, mentre Persson e compagni prendono posto, le luci che iniziano la loro danza, fra raggere di fari che si dipartono dal pavimento e più in alto, da ogni angolatura, irrompono rapidi incroci di luci verde, rosso, azzurro, sfumanti nel digradare tonale ammirato proprio nell’artwork di “Mariner”. “A Greater Call” ha nei primi minuti il sapore di una calma attesa, un preambolo, imprescindibile camera di compensazione per uscire dalla prosaicità della normale routine e staccare i piedi verso gli astri. È con l’entrata in scena della Christmas, esagitata come una bimba capricciosa nel suo svolazzante abito di bianco lindore, che gli animi si accendono definitivamente. Nello sviluppo lento e misurato dell’opener, la cantante si prende subitamente la scena, tramite uno stage-acting che dispensa impulsività e carattere e una voce sottile e tagliente. Nelle poche prove assieme gli scandinavi e l’artista di Brooklyn hanno capito come arrivare a una deliziosa simbiosi: ogni dettaglio è al suo posto, gli incastri perfetti, gli strumenti saldati l’un l’altro, a sospingersi e darsi slancio. Mentre i synth di Kristian Karlsson aggraziano la marmorea turgidezza delle chitarre, che si muovono camaleontiche da martellamenti faraonici a iridescenze sublimi, Persson ruggisce ferale, duettando con la gentilezza pronta a sfoderare gli artigli della Christmas. Quasi invisibile il suo volto, vuoi per i giochi di luce che lasciano chiunque in misteriosa penombra, vuoi per la frenesia con cui la ragazza nata il giorno di Natale – da cui il cognome – del 1975 freme in tutto il corpo. E mentre sembra perdersi in una danza scomposta, il caschetto rosso scompigliato, eccola riprendere in mano la situazione ed erompere in un vocalizzo rassicurante oppure in uno sfregio orripilante. Il volo vertiginoso dell’avvio di “Chevron” fa scattare le prime file in sommovimenti in sincrono, il Vox si muove a tempo sotto i colpi di esplosioni che lasciano senza fiato, mentre le luci aggrediscono in simultanea alla musica. Manti industrial e venature celestiali aspergono di un’atmosfera unica le vaporose nebulose evocate da chitarre cromate e tastiere, che emulsionano con maestria freddezza galattica e ardore. “The Wreck of S.S. Needle” trascina gli ascoltatori verso nuovi orizzonti, la singer a protendersi con la voce e i gesti verso un altrove ancora ignoto, ma che si avvicina a passi da gigante, facendoci dimenticare tutto il resto che ci circonda. Si alternano tremendi scoppi d’ira e raccoglimenti nel proprio Io più fragile nell’animosa vocalità di Julie, che prima s’infiamma in urla laceranti e l’attimo successivo si placa, rannicchiandosi in se stessa come una bimbetta rimasta sola in un parco giochi all’ora del tramonto. L’energia dilagante si smorza all’addivenire di “Approaching Transition”, che ha nell’alternarsi delle pallide voci del secondo chitarrista Fredrik Kihlberg e di Karlsson il suo fulcro emotivo. La quiescenza amabilmente narcolettica strega in egual misura delle declamazioni spiritate da poco conclusesi, prima del tonitruante finale, preambolo all’apoteosi di “Cygnus”. Canzone talmente splendida che da sola sarebbe valsa le spese di viaggio per Atene e che viene affrontata con uno slancio pazzesco da formazione e pubblico. Le parole non possono minimamente descrivere le sensazioni di inebriamento indotte dall’ultima traccia di “Mariner”, con i musicisti a muoversi come uniti in un’invisibile catena, la Christmas piegata in due a divincolarsi da prese immaginarie per urlare ancora più forte, Persson che sbriciola il microfono in rauche grida e l’ossessivo cantilenare degli ultimi, vibranti, minuti, a ricevere adeguata risposta da ogni angolo del Vox. Contrariamente alle altre date del mini-tour, mentre “Beyond The Redshift” – bonus track dell’edizione in vinile di “Mariner” – funge da outro, i Cult Of Luna rientrano on-stage e annunciano un doppio encore. E che encore! “I: The Weapon” e “In Awe Of” alterano lo spettro umorale ma mantengono altissimo il flusso energetico e la partecipazione – in questo caso meno rapita e più fisica, rabbiosa – da parte degli astanti. Rientriamo allora nel grigiore austero di una deumanizzata città del futuro, descritta nei suo tratti salienti da un gruppo possibilmente ancora più feroce e convinto del consueto, che spazia da registri viscerali ad armonie arcuate, danze ellittiche fra sintetizzatori volteggianti in ambienti vasti e privi di vita. Nella grazia fragorosa di “In Awe Of” il concerto ha quindi termine: Persson chiama on-stage la Christmas, che lo abbraccia commossa al momento dei saluti. Di più e di meglio non avremmo potuto chiedere.
Setlist:
A Greater Call
Chevron
The Wreck of S.S. Needle
ApproachingTransition
Cygnus
Beyond The Redshift (outro)
Encore:
I: The Weapon
In Awe Of