04/05/2016 - D.A.D. + THUNDERMOTHER @ Huxleys Neue Welt - Berlino (Germania)

Pubblicato il 09/05/2016 da

Report a cura di Giovanni Mascherpa

Non è una novità che band con carriere ventennali e oltre decidano di omaggiare alcuni dei loro dischi di maggior successo e riproporli in una speciale serie di date live. Considerato come i D.A.D., tra le rock band meno classificabili del pianeta, abbiano nel sangue un certo qual senso per la bizzarria e la stravaganza, questa operazione ha preso piede in una maniera ancora più fantasiosa della media. Intanto, con un annuncio sul proprio sito ufficiale, rilanciato a dire il vero senza troppe fanfare nel web, i nostri cari rocker danesi a fine 2015 hanno deciso di ripercorrere per intero nel corso del 2016 non uno, bensì due dei loro full-length più rinomati. La scelta non poteva che ricadere su “No Fuel Left For The Pilgrims” e “Riskin’ It All”, che all’epoca riuscirono a scatenare un discreto successo a favore dei musicisti nordici, capaci di imbarcarsi anche in fortunate date nordamericane nel periodo di massimo interesse per il loro operato. Dieci le venue selezionate per l’operazione-amarcord, tutte su territorio europeo, il grosso in Germania, mentre per i paesi scandinavi si è optato per la tipica burlata alla D.A.D.: solo uno dei due album sarà suonato nella tranche del tour dedicata a Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia, e non si saprà nulla di quale verrà proposto fino all’inizio del concerto. Massimo riserbo, nessun ordine prestabilito e quindi totale smarrimento per i fan, anche per coloro che volessero recarsi in posti diversi nella speranza di godersi una sera l’uno e una sera l’altro! Fortunatamente, per chi ha messo nel mirino uno dei concerti previsti fra il 27 aprile, giorno della prima esibizione del “Riskin’ It All For The Pilgrims” tour in quel di Londra, e il 7 maggio, chiusura in quel dell’anonima Kiel, è stato tutto molto più semplice. Noi abbiamo optato per l’appuntamento di mercoledì 4 maggio, location quella dello splendido Huxleys Neue Welt berlinese. Di supporto le giovani Thundermother, che, con pochi minuti di ritardo sull’orario ufficiale d’inizio fissato per le 21, calcano lo stage davanti a una folla a dire il vero non troppo focosa né granché folta…

 

D.A.D. - Riskin' It All For The Pilgrims tour flyer - 2016
THUNDERMOTHER

All-female band, le Thundermother sono cinque simpatiche ragazze svedesi, affacciatesi sul rutilante universo rock’n’roll con “Rock’n’Roll Disaster” nel 2014, presto bissato da “Road Fever” nel 2015. Incuranti di essere alle prese con uno dei primi tour importanti della loro breve carriera, attraversate dalla beata sfrontatezza datagli dall’età e dalla sicurezza nei propri mezzi, le procaci fanciulle ci mettono poco a creare coinvolgimento nell’audience un po’ attempata che si ritrovano davanti. Non devono subire alcun deficit di suono, per loro fortuna: l’Huxleys si rivelerà per l’intera serata una venue dall’acustica spettacolare e anche chi sta al mixer fa capire di sapere come muoversi per dare agli artisti ciò di cui hanno bisogno. L’hard rock delle Thundermother, a ben sentire, non è nulla di che, calca la mano su riff frizzanti e derivativi di scuola Guns’n’Roses/Skid Row, sporcati dalla semplicità degli AC/DC, sorretti da una grande energia e voglia di fare, non dal dono della fantasia. Si eleva dall’insieme abbastanza ordinario la voce di Clare Cunningham, frontman spavalda e di bell’aspetto, aggressiva al punto giusto e brava nell’arrivare già nei primi minuti a un vivace dialogo con gli spettatori. Entriamo in poco tempo in un piacevole clima festaiolo, quasi tutti se ne fregano di non avere davanti chissà quali nuovi talenti dell’hard rock e si lasciano andare sugli andamenti frenetici offerti dalla band. Quando Clare chiama al sing-along e divide il pubblico in due metà ‘ordinandogli’ di cantare il refrain di uno dei cavalli di battaglia della sua truppa, la risposta è confortante. Verso la fine, la chitarrista Filippa Nässil compie una scorribanda giù dal palco, fende gli increduli presenti e a passo deciso si arrampica fino in cima alla tribunetta posta su un lato del locale, persistendo a suonare e scuotere la testa in un possente headbanging. Da notare la presenza in line-up di una musicista italiana, l’altra addetta alla sei corde Giorgia Carteri, che insieme alle colleghe conclude fra sorrisi e applausi una quarantina di minuti di valido intrattenimento.

D.A.D.

Non c’è una scenografia particolare a sorreggere visivamente la prelibatezza dell’evento, solo un fondale richiamante la carta da parati naif del soggiorno rappresentato nel libretto di “Riskin’ It All”. Al centro c’è anche il mitico quadro del cervo in plastico volo su un fiume, mentre manca purtroppo il divano gigante, utilizzato nei tour di inizio anni ’90 quale base per la batteria e riproposto lo scorso ottobre in occasione del concerto presso il palasport di Herning, in Danimarca. Proprio allora i D.A.D. suonarono il disco del ’91 nella sua interezza, ponendo i presupposti per quello che vedremo stasera. Si attacca con “Bad Craziness”, probabilmente il grosso degli intervenuti è andato a sbirciare le scalette delle date precedenti e sa cosa aspettarsi, mentre chi scrive, ligio alla sua professione d’ignoranza sulle setlist di tour a cui andrà a presenziare, viene colto di sorpresa, immaginando magari una scansione cronologica dei due full-length. L’accoglienza è tiepida, gli astanti osservano attenti, per esplodere in un boato soltanto al termine del brano. Arriva a ruota “D Law” e capiamo che il gruppo si è preparato a dovere per questo tour, desideroso di offrire qualcosa di realmente speciale, da assaporare estaticamente durante lo show e quindi incastonare tra i ricordi rari, preziosi, della propria esistenza di fruitori di concerti. Sarà anche la grande qualità del sonoro, nitidissimo, ma forse mai come stavolta percepiamo la bellezza di ogni singolo inserto dei pezzi. Il cospicuo numero di fill inseriti da Jacob Binzer lascia meravigliati per quantità e significatività, il chitarrista solista emerge educato, poco appariscente negli atteggiamenti, composto nel plasmare dal suo strumento assoli morbidi, affusolati, distesi e gentili, facendoci assaporare venature country nel frizzante clima divertito che domina lo show dei D.A.D.. Sull’altro lato del palcoscenico, Pedersen dondola seduttore, in mano uno dei suoi buffi bassi a due corde: quello a forma di gigantesca paletta di chitarra, con il medesimo elemento sostituito da una miniatura di sei corde, la vince di poco in originalità sullo strumento trasparente avente al suo interno un neon blu, o su quello a forma di missile, o ancora quello col corpo identico al simbolo della band (un teschio di vacca). Jesper Binzer negli anni avrà perso un pizzico di esuberanza vocale e avrà anche arrochito un poco il timbro, ma si è sempre ben difeso dietro al microfono; all’Huxleys esprime la performance migliore tra quelle ammirate dal sottoscritto, contornandola con un campionario di smorfie, espressioni stralunate, facce da cartone animato che è non dato vedersi da parte di nessun altro on-stage. Non si tratta di fare il simpatico, arruffianarsi chi si ha davanti: Jesper è un vero mattacchione, altrimenti non si potrebbe cantare bene e allo stesso tempo fingere di disperarsi mentre intona “I Won’t Cut My Hair”, orgoglioso inno in difesa della propria amata, vezzeggiata, lunga criniera. Il pezzo viene allungato e riarrangiato in una veste che surclassa la già ottima versione originale, mettendo in mostra un elemento non sempre osannato a dovere, il batterista Laust Sonne. Non è affatto un membro di contorno, nei D.A.D. non basta tenere il tempo, e in questa occasione il drummer dà spettacolo offrendo un cocktail inesauribile di soluzioni e un tiro notevolissimo, che esce supremo nelle scatenate “Rock’n’Rock Radar” e “Riskin’ It All”. Quando arriva la malinconia, immortalata da “Grow Or Pay”, siamo sempre dalle parti dell’eccellenza assoluta, l’intersecarsi delle quattro voci sui cori ci lascia lì, con gli occhi sgranati e l’espressione ebete, consapevoli di vivere bellissimi attimi fuggenti. L’acustico di “Laugh’n’ A 1/2” chiude la prima porzione di show, lasciandoci una pausa di poco meno di dieci minuti per rifiatare prima di “No Fuel Left For The Pilgrims”. Il quale si apre… dalla fine! Irrompe il riffone metal di “Ill Will”, e riparte il viaggio, in una sequenza inedita che non manca di dare pepe all’esibizione. Il carattere più rock’n’roll di quest’album rispetto a “Riskin’ It All” fa saltare l’aplomb dell’audience teutonica, ora più partecipe e propensa a lasciarsi coinvolgere nei cori. Non si possono estrapolare momenti migliori degli altri, i D.A.D. ci scaraventano addosso un classico dietro l’altro. La dittatura femminile di “Girl Nation”, il party-rock di “True Believer”, la dolcezza dal retrogusto amaro di “Point Of View”: impossibile scegliere, ognuno ha la sua preferita, quella che gli dà il tocco fatato sul cuore che altre magari sfiorano soltanto. Ormai è un conto alla rovescia, arriviamo fin troppo in fretta alle due hit assolute della discografia dei danesi: “Jihad” va via veloce e scatenata senza tante cerimonie, mentre in “Sleeping My Day Away” la band concede una coda sterminata, dove è la solista a imbastire una trama che, lo sappiamo, è oggi diversa dalla sera precedente e lo sarà anche da quella successiva. Applausi, cori, richiami a tornare sul palco, gran incitamenti e quindi spazio alla buonanotte, la ninna nanna più bella che ci sia in campo rock: “It’s After Dark”, alle lead vocals Pedersen ora completamente a torso nudo, per la gioia delle signore in platea. Finisce qui, due ore dopo l’avvio delle operazioni, un concerto che ci attendevamo speciale, ma non così perfetto, regale, irrorato di tutti quei piccoli dettagli che portano una stupenda serata a diventare leggendaria.

Setlist:
Bad Craziness
D-Law
Day of Wrong Moves
Rock ‘n’ Rock Radar
I Won’t Cut My Hair
Down That Dusty 3’rd World Road
Makin’ Fun of Money
Grow or Pay
Smart Boy Can’t Tell Ya’
Riskin’ It All
Laugh’n’ a 1/2

Intervallo

Ill Will
Wild Talk
Siamese Twin
Overmuch
Lords of the Atlas
Girl Nation
True Believer
ZCMI
Rim of Hell
Point of View
Jihad
Sleeping My Day Away
Encore:
It’s After Dark

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