05/11/2016 - DAMNATION FESTIVAL 2016 @ Leeds University - Leeds (Gran Bretagna)

Pubblicato il 26/11/2016 da

Anno dopo anno, il Damnation Festival è diventato un appuntamento praticamente irrinunciabile per tutti gli appassionati di sonorità estreme e variamente declinate del circuito britannico. Avendo trovato nelle sale ricreative della centralissima università di Leeds un’ottima base e avendo da sempre una mentalità aperta e vicina a principi underground, gli organizzatori dell’evento sono riusciti a costruirsi una reputazione invidiabile, inanellando un sold out dopo l’altro. La politica di mantenere i prezzi decisamente bassi per la portata complessiva del festival (sono ben quattro i palchi che vengono allestiti all’interno dell’edificio), di prendere continuamente nota dei commenti del pubblico e di imparare dai propri errori sta evidentemente pagando, tanto che oggi non sembra affatto un’eresia accostare certe tradizioni e l’atmosfera che si respira nella giornata del Damnation a quelle di un colosso come il Roadburn di Tilburg. L’ultima volta che avevamo avuto modo di presenziare al festival era il 2014, anno in cui in verità avevamo notato alcune crepe nella progettazione della rassegna (troppi biglietti venduti e conseguente difficoltà nel muoversi fra le varie sale); tornati quest’anno, siamo stati felici di constatare come i ragazzi abbiano prontamente risolto il problema, riducendo la capienza e dando quindi a tutti la possibilità di godersi l’evento senza troppo stress. In un periodo in cui ogni festival di una certa grandezza sembra regolarmente alzare i prezzi, è poi un piacere constatare come il Damnation continui a rappresentare una splendida eccezione. Una selezione di trenta band (tra cui diversi cosiddetti pesi massimi) per trentotto sterline (meno di quaranticinque euro) sono praticamente un regalo. Onore a questi ragazzi per la loro capacità di organizzare un evento di tale portata mantenendo sempre i piedi per terra e un occhio al portafoglio del fan medio.

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SVALBARD

Il nostro Damnation Festival 2016 si apre con lo show degli Svalbard, promettentissima realtà che sta riscuotendo sempre più successo nel circuito britannico e in quello underground post hardcore europeo tutto. Abili nel mescolare vari generi (hardcore, black metal, screamo, post rock…) con enorme disinvoltura e coerenza, i ragazzi di Bristol possono vantare un seguito altrettanto variegato, che sta crescendo a vista d’occhio. Non a caso, pur trattandosi delle prime ore del pomeriggio, il salone che ospita il Terrorizer Stage è preso d’assalto da centinaia di presenti. Il gruppo è evidentemente molto atteso, ma l’esperienza maturata sui palchi negli ultimi anni si fa sentire: non si percepisce un briciolo di ansia nell’esibizione di Serena Cherry e compagni, che, anzi – forse anche perchè resisi subito conto di avere dalla loro dei suoni più che buoni – suonano e occupano il palco con sicurezza e spontaneità. La cantante/chitarrista, in particolare, dimostra notevole grinta e caparbietà, gestendo sia il ruolo di frontgirl, sia quello di chitarrista solista. Il set è incentrato sulle tracce del primo full-length “One Day All This Will End”, ma nel finale arrivano anche un paio di pezzi più datati recuperati dagli split che fanno contenti i fan di lunga data. In generale, il concerto sembra acquistare di intensità minuto dopo minuto e, di pari passo, la sala diventa sempre più affollata, tanto che si senta a credere che sul palco ci sia solo una “promessa”. Davvero un bel modo per dare il via alla giornata.

MITHRAS

Restiamo nei pressi del Terrorizer Stage per assistere allo show dei Mithras, appena tornati sulle scene con l’atteso “On Strange Loops”. A differenza degli Svalbard, i death metaller inglesi devono fare i conti con un mixaggio un po’ raffazzonato, che mette in primo piano la chitarra di Leon Macey (come è anche giusto che sia, vista la peculiarità della proposta), ma che lascia davvero troppo poco spazio al resto. Per questa ragione, il sound del gruppo oggi risulta un po’ esile: grande cura viene posta nell’esaltare sempre le lunghe fughe in chiave solista del leader della formazione, ma, quando si tratta di picchiare, il tutto suona poco aggressivo e “death metal”. Lo stesso Macey, ora impegnato anche al microfono, deve evidentemente fare ancora un po’ di pratica come cantante: il suo growl perde un po’ di efficacia a lunga andare, incidendo ulteriormente sull’impatto complessivo dei pezzi. Bella, comunque, la scaletta, con canzoni estratte da tutti gli album pubblicati, in barba a chi si aspettava “soltanto” la presentazione del nuovo materiale, alla luce della recente pubblicazione e dei cambi di line-up. Tutto sommato i Mithras oggi non hanno brillato, ma siamo convinti che con un po’ di rodaggio la band potrà presto tornare a dare soddisfazione.

DARKHER

Terminati i Mithras tocca correre e farsi largo nella saletta che ospita il palco minore del Damnation Festival, semplicemente denominato “The 4th Stage”, per assistere alla performance dei Darkher. Giudicando dalla calca e dal muro umano che accoglie i ritardatari, l’organizzazione ha chiaramente sottovalutato la popolarità dell’enigmatico progetto britannico, di recente arrivato al debutto su Prophecy Productions. Dobbiamo faticare anche solo per scorgere la cantautrice e chitarrista Jayn H. Wissenberg, che, come di consueto, sta letteralmente ammaliando il pubblico con le sue movenze intriganti e la sua particolare voce, tanto flebile quanto seducente. Per fortuna la maggior parte degli astanti prova a mantenere una certa compostezza davanti al sottile e tormentato folk/post rock della formazione, evitando urla e schiamazzi vari, così, anche se ci risulta impossibile avvicinarci più di tanto al palco, riusciamo comunque ad assaporare a pieno le profonde trame architettate dalla Wissenberg e dai suoi compagni, che sembrano avere maturato ulteriore dimestichezza con il palco rispetto alla prima volta che avevamo avuto il piacere di ammirarli (a Londra di spalla agli Ahab). Sicuramente non una band da grande festival, ma in questi contesti i Darkher stanno evidentemente imparando a farsi valere.

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SINISTRO

Si è parlato molto dei Sinistro negli ultimi mesi, soprattutto attorno alla pubblicazione dell’ultimo album “Semente” – uscito per Season Of Mist – e alla loro partecipazione al noto Roadburn festival in Olanda. Il gruppo portoghese è da allora intrapreso una costante attività live che lo ha portato ora in quel di Leeds, dove viene loro concesso uno slot pomeridiano sull’Eyesore Merch Stage, ovvero il terzo palco del Damnation Festival, in ordine di grandezza. C’è una folla piuttosto numerosa ad assistere alla prova della band di Lisbona, autrice di una sorta di doom/”post” metal dalle tinte fosche, e il motivo pare essere soprattutto la forte presenza scenica della cantante Patrícia Andrade, perfettamente calata nella parte di frontgirl nevrotica e imprevedibile. La proposta musicale non è delle più personali (la mente ogni tanto va ai connazionali Process Of Guilt, ammorbiditi però da influssi pseudo-goth), tuttavia l’esecuzione riesce presto a prendere una piega convincente grazie a dei suoni assai potenti e, soprattutto, all’enorme impegno dei Nostri, che letteralmente violentano gli strumenti mentre dominano il palco. Siamo davanti ad una realtà che ha chiaramente margini di miglioramento, ma che al tempo stesso sa fare valere le proprie qualità. Serve un po’ di scaltrezza per farsi notare in happening affollati come questo e i Sinistro devono saperlo bene: il quintetto la mette sul fisico e, ritrovandosi a suonare davanti a centinaia di persone che prendono nota, porta a casa il risultato.

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CULT OF LUNA

La sala principale è ovviamente stra-piena per uno degli headliner dell’evento, ovvero i Cult of Luna. Si tratta di uno dei cinque show europei organizzati dai noti “post” metaller svedesi per proporre il loro “Mariner” assieme a Julie Christmas e sicuramente si respira un senso di privilegio tra coloro accorsi in sala per assistere ad uno degli highlight del festival e, forse, dell’intera carriera della band. I Cult of Luna possono essere una band sorprendente dal vivo, soprattutto quando puntano sui loro crescendo imponenti. La loro forza emotiva è inarrestabile, le luci e i suoni vengono sempre studiati nei minimi dettagli e avere nel mix una performer come la Christmas non può che amplificare tale impatto. La frontgirl statunitense sa essere violenta e conturbante allo stesso tempo, una forza della natura che si contorce e che sembra riversare nel microfono tutta la propria anima inquieta. L’esecuzione del brano più noto dell’album, “The Wreck of S.S. Needle”, porta quasi alle lacrime: qui i Cult Of Luna e la cantante sembrano un corpo unico. Si stenta a credere che i Nostri abbiano provato solamente un paio di volte prima di imbarcarsi in questo mini-tour. Il set per ovvi motivi non dura moltissimo, ma forse è meglio così: la band dà tutto se stessa in un flusso di note emotivamente devastante, quasi devastante come il pensiero che forse non avremo mai più l’opportunità di assistere a qualcosa del genere una seconda volta.

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AKERCOCKE

Tornati in attività dopo una pausa di circa quattro anni, gli Akercocke arrivano a Leeds sull’onda di un tour britannico che li ha visti esibirsi in numerosi locali sold out. I death metaller londinesi sono stati per anni uno dei gruppi di maggior successo sul suolo britannico dei roster Peaceville ed Earache Records e l’interesse attorno a loro non sembra affatto essere sfumato in questi anni di silenzio. La sala che ospita il Terrorizer Stage è affollatissima e ovunque si respira aria di grande evento, nonostante la band sulla carta non rientri fra gli headliner. Per questa reunion Jason Mendonça e soci hanno abbandonato il look che li contraddistingueva nei primi anni Duemila (completo e cravatta): il gruppo si presenta in t-shirt ed esprime sin dalle prime battute un’affabilità sinora inedita. Un tempo i Nostri tendevano a porsi con freddezza e altezzosità, mentre oggi siamo al cospetto di un manipolo di metallari un po’ attempati che vogliono soltanto divertirsi sul palco. In ogni caso, la resa del repertorio non presenta grandi differenze rispetto ai cosiddetti “anni d’oro”: il materiale degli Akercocke è sempre stato molto frenetico – se non addirittura caotico – ma l’abilità della band nel riproporlo fedelmente on stage non si è per nulla indebolita. Tra scariche death metal alla Deicide, parentesi progressive, stacchi acustici, canti e voci pulite, si perde il conto di tutto quello di cui sono capaci questi musicisti. Si può disquisire sull’utilità e la coerenza di certe soluzioni, ma sono ammirabili la prestanza e la meticolosità dei Nostri, tornati sotto i riflettori in maniera assolutamente credibile. Lo show di oggi – prevalentemente incentrato su “Choronzon” – è per loro un trionfo.

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ABBATH

Dopo il tragicomico show di Londra di inizio anno, la storia più o meno si ripete in quel di Leeds. Venti minuti di ritardo sul previsto orario di inizio, suoni impastati e grande pressapochismo nell’esecuzione. Ormai andare a vedere un concerto di Abbath equivale ad assistere ad un imprevedibile spettacolo di cabaret: se l’ex Immortal è “in buona” ci si può anche divertire e uscire soddisfatti, altrimenti, a meno che si sia dei veri “fan boy” pronti ad accettare ogni capriccio del Nostro, bisogna portare pazienza e/o prepararsi a ridere di lui, anzichè con lui. Ritardo a parte, questa sera lo show parte senza troppi imprevisti: i suoni sono molto confusi, ma il gruppo sembra concentrato durante l’esecuzione di “To War!”. Tuttavia, più il set procede, più Abbath dà l’idea di annoiarsi: inizia così una trafila di critiche al secondo chitarrista – a quanto pare accusato di non essere sufficientemente preciso – brani interrotti, ripartenze, intere canzoni suonate “a cazzo di cane” e discorsi senza senso. La performance sale un po’ di livello con “Tyrants”, memorizzabile nonostante il brutto mixaggio in sala, ma gli episodi veramente da ricordare finiscono qui. Probabilmente Abbath ritiene ormai di potere fare qualsiasi cosa sul palco: buona parte del pubblico sembra in effetti essere ancora dalla sua parte, ma forse sarebbe il caso di recuperare un po’ di umiltà per evitare di diventare del tutto una macchietta.

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UFOMAMMUT

Gli Ufomammut arrivano al Damnation nel corso del loro tour per chiudere il cosiddetto ciclo promozionale per l’ultimo “Ecate”. Dopo gli umili esordi nell’underground italiano, il trio piemontese si è reso protagonista di una carriera esaltante, che lo ha portato a calcare i palchi di tutto il mondo e a pubblicare album sempre più acclamati. Lo stoner-doom psichedelico della formazione ha evidentemente fatto breccia nel cuore degli organizzatori e dei fan locali: il gruppo è headliner dell’Eyesore Merch Stage e viene accolto da un pubblico già piuttosto numeroso durante il sound check. Come annunciato, lo show è dedicato al succitato “Ecate”, il cui materiale viene proposto dagli Ufomammut in una chiave ancora più imponente e anthemica. Forse la nostra percezione viene un po’ influenzata dalla stanchezza accumulata sin qui, ma ci sembra che la band in questa occasione rallenti un pochino le ritmiche per risultare ancora più pesante e asfissiante. La resa, in ogni caso, è pregevole: siamo ormai abituati a vedere i Nostri dare vita ad ottimi show e l’appuntamento di oggi non fa eccezione… da suoni alle luci, passando per la vigorosa presenza scenica di Urlo e Poia, sino ovviamente ad arrivare alle consuete affascinanti proiezioni sullo sfondo, la prova degli Ufomammut è assolutamente degna di un headliner. Arriviamo anche ad affermare che l’esperienza live sia essenziale per comprendere del tutto la portata della proposta del gruppo.

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ELECTRIC WIZARD

Dopo lo show altalenante di Abbath, sul fronte headliner del palco principale andiamo più “sereni” con gli Electric Wizard, da tempo una garanzia nelle esibizioni dal vivo. Dopo aver consolidato la formazione con il ritorno del drummer Simon Poole e l’arrivo del bassista Clayton Burgess, i Nostri sono tornati a mettere a ferro e fuoco i palchi del pianeta con la stessa efficacia che li contraddistingueva nei primi anni Duemila. Le prime battute di “Witchcult Today” vengono eseguite quando una buona fetta di fan deve ancora trovare posto nella sala principale, ma queste icone del doom britannico sembrano totalmente incuranti di ciò che sta avvenendo accanto a loro. Il quartetto suona con foga e sicurezza, facendo risplendere la sua formula a base di tentazioni stoner e negatività e nichilismo. Per molti gli Electric Wizard sono la perfetta sintesi di tutte le varie venature e scuole dell’area doom e questa sera possiamo trovarne conferma. Mentre sullo sfondo viene proiettato ogni tipo di immagini depravate, Jus Oborn ci pare particolarmente avvelenato e pezzi come “Satanic Rites of Drugula” o “Incense for the Damned” finiscono per mettere d’accordo gli astanti più “fumati” così come coloro che da questo genere di show pretendono sempre potenza e cattiveria. Da ogni riff grondano malvagità e distorsione, tanto che arriviamo a “Funeralopolis” praticamente stremati, pronti ad abbracciare l’Armageddon che la band ha incessantemente evocato nell’ultima ora. Il nome del festival è Damnation, dopo tutto, e dopo l’astiosa performance marchiata Electric Wizard non possiamo che essere contenti di essere stati maledetti anche quest’anno.

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