Bislacco nel nome, ma assolutamente serio nel contenuto. Il “Death to False Metalcore” tour sbarca nel Vecchio Continente e (ri)presenta al pubblico europeo tre formazioni leader di quello che un tempo – parliamo di una dozzina, anche abbondante, di anni fa – era considerato il genere più trendy e gettonato del panorama metallico. La moda si è da tempo esaurita, i tanti discepoli nati in seguito all’exploit dei grandi sono già da anni morti e dimenticati, mentre chi ha aperto la strada e aveva realmente qualcosa da dire è ancora al proprio posto, seppur con meno riflettori ad illuminarne il cammino. È un pubblico non più giovanissimo quello che accoglie Darkest Hour, Unearth e Misery Signals in quel di Londra, segno che queste band non sono riuscite negli ultimi tempi a rinfrescare o allargare la propria base di ascoltatori: l’esplosione effettiva di ognuna di queste realtà risale grosso modo al periodo 2004-2007 e, guardandosi attorno, è evidente che i presenti siano fan guadagnati allora e poi rimasti fedeli nonostante tutto. Poco male, comunque, perché i numeri restano confortanti: centinaia di persone si ritrovano fuori dal locale già prima dell’apertura delle porte e l’atmosfera si conferma rovente anche durante il set degli statunitensi Left Behind, chiamati ad aprire il concerto con il loro groove metal ignorante. Proprio perché ancora in fila davanti alla cassa, riusciamo ad ascoltare soltanto gli ultimi tre brani del gruppo, mentre per fortuna non ci manca il tempo per posizionarci in attesa dei Misery Signals, che da queste parti sono senza dubbio la band più attesa dell’evento…
MISERY SIGNALS
Sono trascorsi ben dieci anni dall’ultima volta che i Misery Signals hanno calcato un palco europeo. Da allora la formazione ha rilasciato solamente un album, “Absent Light”, e ha fatto parlare di sé soprattutto per la clamorosa reunion con Jesse Zaraska, amatissimo frontman che incise l’EP d’esordio e il primo full-length album “Of Malice and the Magnum Heart”. Il quintetto in Inghilterra è sempre stato un po’ più popolare dei suoi odierni compagni di tour, quindi per molti siamo già all’appuntamento con i veri e propri headliner della serata. E, per fortuna, Zaraska e soci non fanno proprio nulla per deludere le aspettative di un pit gremito e fremente oltre ogni più rosea aspettativa. Potrebbero vincere facile, i Misery Signals, ma anziché puntare tutto sul ritorno del cantante e i brani del debut, il gruppo preferisce attingere da tutta la discografia, dando così modo a Zaraska di fare la sua figura anche su tracce in origine cantate da Karl Schubach. Davvero portentoso l’affiatamento della band, da sempre dotata di una preparazione tecnica superiore, ma in questo caso anche spinta da un fervore che non è semplice mantenere quando si suona tutto l’anno. I Misery Signals non sono più una cosiddetta ‘touring band’, avendo abbandonato da un po’ quel tipo di vita, ma oggi si percepisce la vera voglia di suonare, segno che anche per i musicisti questa serata sia un evento all’interno di una vita ormai ‘normale’. Intenso come pochi altri ultimamente, lo show procede sulle ali dell’entusiasmo di fan e gruppo, toccando i suoi picchi all’altezza di “The Failsafe”, “The Year Summer Ended in June”, “A Victim, A Target” e “Five Years”, con l’emozionatissimo cantante più volte abbracciato dalla folla. Pare che un nuovo album verrà finalmente pubblicato fra Novembre e Dicembre di quest’anno e, infatti, a metà set trova spazio anche il nuovo pezzo “Sunlifter”, stilisticamente Misery Signals al 100%, con numerosi cambi di tempo a sorreggere le solite melodie malinconiche. Davanti all’impatto di questo concerto, non possiamo che sperare che alla pubblicazione di questo atteso comeback seguano altre date nel Vecchio Continente.
Setlist:
Set in Motion
The Failsafe
Luminary
The Year Summer Ended in June
Worlds & Dreams
Sunlifter (New Song)
A Certain Death
A Victim, a Target
Five Years
UNEARTH
Abbiamo ancora i brividi dopo la prova firmata Misery Signals, ma c’è poco tempo per respirare perché gli agguerritissimi Unearth stanno già completando il loro soundcheck. Siamo al cospetto di quella che praticamente da sempre viene considerata una delle migliori live band di questo panorama: i ragazzi di Boston non si sono mai fermati negli anni, la perseveranza e l’integrità sono fra i loro tratti distintivi e non è quindi un caso che ancora oggi in tantissimi siano qui per loro, mentre magari formazioni più melodiche o tendenti al cambiamento abbiano dovuto fare i conti con un certo calo di popolarità. Il pit è meno affollato rispetto a poco fa, ma il quintetto riesce comunque a infiammare subito gli animi con la sua solita irruenza. Trevor Phipps è un ottimo frontman e lo stesso si può dire dei chitarristi Buz McGrath e Ken Susi, da sempre dei giocolieri e dei veri e propri catalizzatori di attenzione. Fra salti, corse su e giù per il palco, pose da guitar hero e una precisione chirurgica nell’esecuzione sia negli uptempo che nei veementi breakdown, gli Unearth si dimostrano ancora una volta nati per suonare dal vivo. La scaletta ha poche sorprese, si punta sui brani più rappresentativi del nuovo “Extinction(s)” – i quali dal vivo rendono certamente meglio che su disco – e sui classici più noti, ma è giusto così: da un lato si promuove l’ultima fatica e dall’altro si rivivono gli anni d’oro. Il risultato finale è uno show molto dinamico e divertente, come da tradizione Unearth. Peccato solo per la mancata esecuzione di “The Great Dividers”, tagliata all’ultimo a causa di un ritardo accumulato in precedenza.
Setlist:
Incinerate
Survivalist
This Lying World
Never Cease
Endless
Giles
Zombie Autopilot
Dust
One With the Sun
Watch It Burn
My Will Be Done
DARKEST HOUR
All’arrivo on stage dei Darkest Hour bisogna segnalare come un’altra piccola fetta di pubblico si sia diretta verso i bar o abbia proprio lasciato il locale. Probabilmente la scelta di mantenere lo stesso ordine di esibizione delle date in Europa continentale anche qui a Londra non è stata azzeccatissima, vista la maggiore popolarità dei Misery Signals rispetto ai colleghi e amici. In ogni caso, nulla si può rimproverare alla band di Washington, che si presenta sul palco lanciatissima e con un’attitudine stra-positiva. Il cantante John Henry appare in verità un filo sovrappeso, ma il resto della band fa subito correre gli astanti con un’esecuzione scoppiettante che mette in primo piano il lato più feroce e serrato della proposta. A ben vedere, il sound dei Darkest Hour non ha quasi mai avuto pronunciate influenze hardcore: il gruppo è nato in questo circuito, ma già con il primo album, “The Mark of the Judas”, ha sviluppato una sua forma di thrash/melodic death metal che ha sempre privilegiato velocità e finezze chitarristiche e relegato in secondo piano gli spunti mosh più triti. Anche a livello di look, i ragazzi sono ormai da tempo una metal band tradizionale, con barbe, capelli lunghi e una presenza scenica che ricorda tantissimo quella di una qualsiasi formazione thrash metal ottantiana. Durante lo show non assistiamo quindi alle solite mosse da karate kid davanti al palco: i fan sono più composti e rispondono alla proposta dei Darkest Hour con del sano headbanging e un pogo vecchia scuola. Come già avvenuto per i due spettacoli precedenti, la scaletta scelta dal quintetto statunitense è una sorta di best of che va a toccare tutto il repertorio, con la sola eccezione del succitato debut album. Fra brani recenti ed episodi risalenti all’esplosione di metà anni Duemila, spunta una cover di “Nazi Punks Fuck Off” dei Dead Kennedys (brano poi reso ancora più popolare dai Napalm Death) a sottolineare ancora una volta la nota posizione dei cinque. La folla sembra un po’ stanca verso la fine, ma applausi e incitamenti non vengono a mancare e lo scambio di energie si rivela costante. A conti fatti, una degna chiusura per una serata che ha lanciato segnali incoraggianti sullo stato di salute di queste vecchie glorie.
Setlist:
Knife in the Safe Room
Convalescence
In the Name of Us All
Savor the Kill
The Sadist Nation
Rapture in Exile
No God
Nazi Punks Fuck Off (Dead Kennedys cover)
With a Thousand Words to Say but One
Demon(s)
Tranquil