Report a cura di Andrea Intacchi
“Milanooooo!!!”. Se avessimo deciso di annotare quante volte il buon Mark Osegueda ha incitato la folla del Legend Club, avremmo sicuramente perso il conto. Di ritorno in Italia nelle vesti di headliner, dopo aver ricoperto il ruolo di comprimari nell’ultima edizione novarese dell’MTV Headbangers Ball Tour, insieme ad Exodus e Sodom, i Death Angel hanno riversato sui metallari meneghini la loro personalissima dose di ‘ultra-violence’, proponendo, oltre ad alcuni classici del passato, diversi brani estratti dal recente “Humanicide”. Assiepato in un locale discretamente pieno, e decisamente caldo, il quintetto di San Francisco ha marchiato con il bollo thrash made in Bay Area un tranquillo ed afoso giovedì sera milanese, cogliendo pure l’occasione per lanciare un augurio speciale sulla tratta oceanica Italia-Stati Uniti (leggete e capirete). Ad accompagnare i Death Angel, gli iper-energetici Evil Invaders from Belgio e i nostrani Distruzione, a chiudere così un terremotante terzetto tinto di thrash, speed e death metal. Buona lettura!
DISTRUZIONE
La ricetta di un buon digestivo post-cena delle 20.40 arriva direttamente da Parma. Su un palco ridottissimo (il drumkit, come un vero pugile, è messo all’angolo), ecco Devid Roncai e i suoi Distruzione che, in barba agli spazi esigui, non perdono un attimo per posare il primo mattone di uno show tosto, caldo e vibrante. Impugnato per bene il microfono, il frontman emiliano annuncia granitico “Uomini Contro Uomini”; e sono subito mazzate tra i denti, quelle che volano tra i corpi degli astanti. I Distruzione conoscono alla perfezione il proprio mestiere, sanno come e dove infierire, ed ecco allora che parte il riff maligno di “Stultifera Navis”, rocciosa e pesante al punto giusto. Un vigore sonoro che assesta un poderoso pugno nello stomaco con “Cornice De’ Superbi”, prima che “Ossessioni Funebri”, dal mitico “Endogena” del 1996, spari sul Legend una rasoiata thrash in modo del tutto gratuito. E dopo la fulminea e monolitica “Lo Scultore”, è il turno della bellissima “La Torre Della Muda”, dall’ultimo “Inumana”, a surriscaldare ulteriormente l’ambiente, nel frattempo rimpolpatosi di persone: un brano perfetto che riassume in oltre cinque minuti tutte le capacità tecniche dell’intero act, confermando l’assoluta garanzia on stage della band parmense. Il finale è un sunto di passato e presente che si rincorrono per definire la giusta distruzione di un live tirato e compatto: la sentenza “Senza Futuro” anticipa la conclusiva “Nel Tuo Nome”, provocando il giusto tributo ad uno degli orgogli nazionali in chiave death metal. I Distruzione hanno distrutto, ora si esce a respirare!
EVIL INVADERS
Bivaccando tra un tavolino e l’altro, cercando refrigerio su comodi divanetti riparati da tendine molto trendy, i metallari accorsi al Legend si preparano, più o meno inconsapevoli, a compiere un salto all’indietro nel tempo di almeno trent’anni… o forse di più. Quando dall’interno del locale partono le prime note di “Among The Depths Of Sanity”, l’immaginario ottantiano a cui si andrà incontro è, infatti, ancora avvolto dal mistero. Dubbi che vengono smontati in tre secondi una volta rientrati: se lo speed metal sfoderato in studio dal quartetto belga puzza, trasuda di anni Ottanta, dal vivo il tutto è ‘ignorantemente’ amplificato: coadiuvata da suoni perfetti, la band capitanata dal pazzo Joe si presenta con il più classico abbigliamento dell’epoca, con tanto di fumo, pose e quant’altro, senza dimenticare l’asta in modalità ‘Miracle Blade’ a rendere più ‘venomiana’ l’intera cornice. Non c’è spazio ad alcun ripensamento durante il live proposto dagli Evil Invaders, è tutto dannatamente energico e demoniaco, con il singer-chitarrista intento ad aizzare la folla con le sue smorfie ‘evil inside’. E mentre i due compagni di stage schizzano da una parte all’altra del palco, è impossibile non notare il volto del drummer Senne Jacobs in preda ad una sorta di mistica facciale, perennemente sorridente, quasi avesse visto qualche essere soprannaturale. La potenza riversata dai giovani belgi riporta alla mente i primi vagiti di band quali Overkill, Exciter, Anthrax: abrasivi, senza regole, coinvolgenti, visto che là in mezzo, quando parte “Mental Penitentiary”, qualche oggetto inanimato comincia a scapocciare alla grande con tanto di moshpit a seguire. La più melodica “Broken Dreams In Isolation” è solo l’antipasto per “Feed Me Violence”, annunciata dallo stesso Joe quasi fosse l’ultima parola prima della fine di ogni cosa. Vietato fermarsi, assolutamente: la bussola del tempo rimane ancorata all’anno 1985 ancora per un paio di brani, tra cui spicca la schizzata “Pulses Of Pleasure”, prima che il leader degli Evil Invaders si erga supremo sulla folla smontando a dovere quell’asta di cui sopra, sferzando l’aria con più lame possibili. Sudorifera? Genuina? Ignorante? Diremmo tutto. E solo allo spegnimento delle luci il buon Jacobs ha smesso di ridere.
DEATH ANGEL
Com’è che si dice? Gallina vecchia fa buon brodo? Stesso discorso per il vino, eccetera eccetera. Be’, dite quello che volete ma i Death Angel stanno riscoprendo, soprattutto in sede live, una sorta di seconda giovinezza davvero invidiabile. A partire, giusto sottolinearlo, proprio da Mark Osegueda, il quale, come già dimostrato qualche mese fa in quel di Fontaneto d’Agogna, ha stabilizzato la propria ugola riuscendo a mantenere un timbro più che dignitoso per tutta la durata dello show. Ed eccoli allora, i cinque Angeli della Morte from San Francisco che, sulle note di “Thrown To The Wolves”, prendono possesso dello stage: il pezzo estrapolato da “The Art Of Dying” è ideale per stringere la mano sin da subito ai presenti, ora davvero tantini, grazie a quel riff semplicemente trascinante con tanto di coro in sede di refrain. Si parte alla grande quindi, con un solo lieve contrattempo per Mr.Ultra-Violence Rob Cavestany (spicca sin da subito la sua canottiera Rancid!), costretto al cambio di chitarra proprio nelle battute finali del brano. Ma sarà solo un piccolo ricordo di una serata celebrativa e appassionante in cui, come accennato in fase di presentazione dell’evento, il nostro Osegueda non smetterà di chiamare a sé i metallari milanesi. Ed è così che, dopo la tambureggiante “Claws In So Deep”, in cui Cavestany e lo stesso Mark duettano ai microfoni, si materializza per la prima volta la copertina di quel masterpiece rilasciato oltre trent’anni fa con tanto di macerie e teschi in bella vista. E’ “Voracious Souls” ad omaggiare “The Ultra-Violence”, creando il giusto pogo a centro palco, mentre nelle retrovie l’addetto alle luci si diverte un mondo; in piedi sulla propria postazione, in preda ad un raptus di headbanging, smanettando di continuo sulla consolle: uno spettacolo. E dopo aver ringraziato il pubblico, ricordando che, finalmente, sono qui davanti a loro nelle vesti di headliner, partono a rotta di collo “Father Of Lies” e “The Moth”, ormai divenuta un classico dei live made in Death Angel. Dall’album “Act III” c’è spazio per “Seemingly Endless Time” prima che si torni a cantare e a pestare con “The Dream Calls For Blood”. Le dichiarazioni d’amore per Milano e per l’energia sprigionata dai metalfan tricolori si sprecano ed è qui che arriva dal passato un’altra mazzata sul cranio: cattiva, vecchia, grintosa, “Mistress Of Pain” non dà tregua dal primo all’ultimo sanguigno riff. Death Angel headliner come detto, in tour per promuovere l’ultimo lavoro partorito proprio qualche settimana fa: da “Humanicide”, oltre alla tempestuosa title-track e alla più ritmata “The Pack”, viene proposta “I Came For Blood”, con quel sound roco e sbruffone, in Motorhead style, che scatena l’immediata euforia pogante tra le prime file. Si tira il fiato ora, è tempo di presentazioni, di siparietti, degli ennesimi “Milanoooooo”, prima che Osegueda chieda alla folla di cantare, in perfetto italiano, un augurio di buon compleanno alla madre Carol, che proprio quel giorno spegneva le sue personalissime candeline…tutto da pelle d’oca! Fatti i doverosi auguri, c’è tempo per un’ultima canzone, quella che molti richiedono e pretendono: in realtà, come spesso accade, da “Ultra-Violence” viene proposta solo l’intro lasciando poi spazio all’altrettanto violenta “Kill As One”. Poi sono baci, saluti e pacche sulle spalle. Mark prende di nuovo il microfono per ricordarci che i Death Angel ritorneranno ancora. A questo punto, se i risultati sono questi, be’…vi si attende più che volentieri!