Report a cura di Andrea Intacchi
Foto di Simona Luchini
Un venerdì di passione quello vissuto da coloro che hanno partecipato al teatro messo in scena da Steve Sylvester e dai suoi Death SS lo scorso 15 aprile in quel del Live Club di Trezzo. Uno show, un evento, uno spettacolo, una storia, che risulta veramente difficile riassumere con semplici parole. Forse il fatto di non aver presenziato per così tanto tempo ad un concerto di una certa importanza, ci ha portato a vivere l’evento in questione come un qualcosa di assolutamente ‘nuovo’ e quindi quello che fino ad un paio di anni fa era una piacevolissima e guduriosa normalità, si è trasformata in questo caso in una trepidante novità, emozionante, quasi fosse la prima volta. Per molti dei presenti, infatti, leggendo alcuni commenti all’interno del nostro sito (ma anche su altri canali social), quello dei Death SS ha significato il loro ‘ritorno’ ufficiale ad un concerto e la sensazione vissuta mentre si varcavano le porte del Live è stata proprio quella di un ritorno a casa che di colpo però svaniva. Perché una volta entrati nel locale, a più di un metallaro è scappata la battuta: “ma no dai, non son passati due anni!”. Pur consapevoli della durata e della pesantezza di questo periodo senza musica, una volta aver visto un palco adibito, un merch pronto, la zona CD, quelle stesse facce che avevamo visto tempo fa, è venuto spontaneo dire quelle parole. E il merito, il grande merito, va a chi poi ha deliziato la serata: in primis ai Caronte che, come da monicker, ci hanno accompagnato nel regno dei Death SS; dei nuovi Death SS. E allora, ritorniamo a respirare quell’aria di casa e portiamo indietro le lancette alle ore 21 quando sul palco del Live salivano proprio i Caronte.
CARONTE
Di fronte ad un Live ancora in fase di riempimento, il quintetto parmense ha l’arduo compito, nonché ovviamente il piacere, di aprire le danze. E lo fa in una maniera più che dignitosa. Per circa un’ora, infatti, la band capitanata dal cantante Dorian Bones ha diffuso il proprio sound ossianico, intriso di fascino e mistero, creando una sorta di magic-circle il cui punto nevralgico è guarda caso la voce dello stesso Dorian. Cupa? Certamente, ma non solo, quasi baritonale a tratti, che va perfettamente ad aggiungere ulteriore attrattiva all’operato dei compagni. E la piena testimonianza l’abbiamo con brani quali “Abraxas”, tratta dall’album “YONI”, o come la rocciosa “333” estrapolata dall’ultimo “Wolves Of Thelema”, disco da cui è stata proposta anche la trascinante “Black Hole Dawn”. Tra i pezzi forti, comunque, un punto di attenzione va sicuramente a “Ode To Lucifer”, pezzo simbolo della prima fatica dei Caronte “Ascension” in grado di donare una doppia aurea di malignità adrenalinica non indifferente. Pur peccando dinamicità on stage – i due chitarristi ed il bassista sono rimasti pressoché stabili sulle proprie posizioni – i Caronte hanno canalizzato il tiro su una proposta diretta e a suo modo magnetica. Ci aspettava forse un qualche episodio di recentissima produzione, come uno degli ultimi singoli rilasciati, ma, evidentemente, viste le collaborazioni che hanno contribuito alla realizzazione dei pezzi, è risultato impossibile riproporli on stage senza appunto i vari ospiti. Poco male: il compito di traghettare i presenti, e non poteva essere altrimenti, da parte dei Caronte alle porte dell’inferno targato Death SS è stato svolto con esperienza e professionalità.
DEATH SS
Attesa e curiosità. Questi gli stati d’animo che andavano a braccetto mentre venivano issate le tradizionali croci dorate e microfonate, a chiudere idealmente l’occulto perimetro costituito da due confessionali e da un maxi schermo posto sullo sfondo sul quale sarebbero poi apparsi dei video a corredo dei diciannove pezzi che i Death SS avrebbero proposto di lì a breve. Attesa per ascoltare dal vivo i brani del recente “X”, ancor di più per vedere la nuova veste del combo tricolore, e in particolare le prestazioni dei nuovi colleghi di Steve Sylvester e Freddy Delirio. Sfatiamo subito ogni dubbio: la prova del nove dei vari Ghiulz Borroni alla chitarra, di Demeter al basso e di Unam Talbot alla batteria è stata ampiamente superata, anche perché i tre musicisti non sono, come dire, alle prime. Demeter, alias Dimitri Corradini, vanta un’esperienza pluriennale con i deathster Distruzione, mentre Borroni e Unam Talbot, all’anagrafe Emanuele Collato, ricoprono i medesimi ruoli in una band che si fa chiamare Bulldozer… insomma, non proprio gli ultimi arrivati; e soprattutto Ghiulz ha destato le migliori impressioni nel corso dello show. Certo, l’amalgama va sviluppata, ma, come si suole dire, la prima è andata più che bene. D’obbligo sottolineare inoltre la prestazione impeccabile, come sempre del resto, di Freddy Delirio e di uno Steve davvero in ottima forma; carisma da vendere e colonna immortale di un genere in grado di unire a sé molteplici aspetti artistici. Il venerdì ‘santo’ prende così inizio con una processione incappucciata ed infuocata sulle note dell’intro “Dies Irae”: un corteo, quello del giorno del giudizio, utile a dare il via a “The Black Plague”, opener del nuovo disco a firma Death SS, dal quale verranno estratti altri tre pezzi distribuiti sapientemente tra gli episodi più classici e storici della band. Storia che arriva nell’immediato con un salto a piè pari indietro nel tempo sino ai mitici “Black Mass” ed “Heavy Demons”, dai quali arrivano, tra le altre, una furiosa “Cursed Mama” e la granitica “Baphomet”. E’ invece con la nuovissima “Zora” che si apre la serie delle ospitate danzanti on stage: guidato dalla superba Dhalila, riprendendo il videoclip a supporto della canzone, prende vita lo show dedicato alla vampira. Performance che torneranno in più di un’occasione nei brani a venire per la felicità dei presenti, i cui cellulari segnaleranno un incremento vorticoso di clic ad alto tasso erotico.
La scaletta della serata è un susseguirsi di continui salti in avanti e indietro nel tempo raccogliendo gran parte della carriera del gruppo italiano, confermando la poliedricità della proposta globale. La malinconica “In The Darkness”, la tribale “Baron Samedi”, prima di arrivare ad una combo definitiva durante la quale vengono messi sul piatto tutte le qualità teatrali del gruppo. Da “The Temple Of The Rain”, altro pezzo estratto da “X”, all’inarrivabile “Vampire”, il palco raggiunge infatti temperature vorticose coinvolgendo ulteriormente il pubblico sempre pronto ad incitare la band ed uno Steve Sylvester visibilmente compiaciuto. Come da previsione, il gruppo si congeda per riprendere fiato prima del gran finale, per il quale vengono giustamente sparati sulla folla quattro brani a loro modo simbolo della storia dei Death SS. Si comincia con la cattivissima “Kings Of Evil” per poi passare alla rockeggiante “Rock And Roll Armageddon”; all’appello, tuttavia, mancano ancora due colpi: il primo è ormai storico… da uno degli album più belli di sempre, “Panic”, parte l’anthemica “Let The Sabbath Begins”, e poi… beh, parte la festa finale: “Heavy Demons” non ha bisogno di presentazioni; basta quell’accordo per far alzare la corna a tutti e mettersi a cantare insieme a Steve un inno leggendario, con tanto di diavolesse intente a lanciare particole agli aficionados delle prime file. Un pezzo da leggenda per una band immortale che per quasi due ore è stata in grado di monopolizzare gli sguardi dell’intero Live Club. Se il ritorno ai concerti meritava una serata speciale, i Death SS l’hanno resa tale.
Setlist
Dies Irae (intro)
The Black Plague
Cursed Mama
Horrible Eyes
Where Have You Gone?
Baphomet
Zora
In The Darkness
The Crimson Shrine
Baron Samedi
Terror
Family Vault
The Temple Of The Rain
Scarlet Woman
Suspiria (Queen Of The Dead)
Vampire
Kings Of Evil
Rock And Roll Armageddon
Let The Sabbath Begin!
Heavy Demons