A conti fatti, i Deathstars non sono mai esplosi completamente. C’è stato un momento in cui il loro potenziale è stato altissimo: un’immagine curata, un buon lotto di canzoni, il supporto di una label importante. Ma qualcosa è successo – nelle infinite vie del mercato – che li ha fatti rimanere una band incompiuta, conosciuta da molti ma adorata da pochi. A risentirli anche oggi, la loro miscela di industrial, goth-rock e, perché no pop, ha avuto tra il 2000 e il 2015 tutto quello che poteva servire per acquisire una fama vastissima, ma qualcosa non ha funzionato nel modo giusto.
Pause troppo lunghe, prodotti buoni ma mai perfetti, chissà: di sicuro “Termination Bliss” ha ormai diciotto anni e non ci pare che la formazione di Whiplasher e Nightmare Industries (al secolo Emil Nödtveidt, proprio ‘quella’ famiglia Nödtveidt) riesca ancora a sostenere palchi molto grandi ed occasioni di primissimo livello. Per questo nuovo tour italiano tocca infatti al Bloom di Mezzago ospitarli: parliamo di una sala concerti sicuramente prestigiosa per tradizione (per ben due volte anche i Nirvana sono passati per il Bloom, nell’89 e nel ‘91) ma sicuramente non molto grande, con una capienza di circa quattrocento persone.
Tanto per cambiare, lo scorso weekend si configurava l’ennesimo fine settimana con diversi eventi piuttosto importanti nel Nord Italia, quindi ci siamo recati in quel di Mezzago curiosi di vedere che tipo di risposta potesse avere questo pacchetto comprendente anche i particolari Priest e Liv Sin in apertura.
Quando poco dopo le otto la band di LIV SIN prende posto sul palco, ci sono una cinquantina di persone ad attenderli, ma la cantante svedese non sembra intimorita o delusa. Chi scrive ha tanta nostalgia della vecchia formazione dei Sister Sin e di dischi come “Smash The Silence” e “Switchblade Serenades” e non è mai riuscito ad innamorarsi completamente del nuovo corso. I cinque sembrano piuttosto convinti nel proporre il loro heavy metal piuttosto moderno nei suoni e vario nelle influenze, che si muove in direzioni secondo noi troppo diverse per coinvolgere completamente l’ascoltatore.
La prestazione vocale di Liv è sempre meravigliosa – sia ruvida che squillante – come le migliori voci femminili degli anni Ottanta e ci piace immaginarla come una sorta di Doro al massimo della potenza di fuoco. Il resto purtroppo non è dello stesso livello e sia i riff portanti che i ritornelli di brani come “Chapter Of The Witch” o “King Of Fools” svaniscono piuttosto in fretta nella memoria del pubblico presente, che partecipa educatamente ma non di più.
Un cambio palco adeguato per tempistiche ci prepara all’esibizione dei PRIEST, misteriosa formazione elettronica svedese collegata in parte all’esperienza dei ben più famosi Ghost, visto che il primo album è stato prodotto da Alpha, ex chitarrista della band di Tobias Forge. Quanto poi gli ex Ghost siano parte della formazione presente non è dato sapere, visto che i nostri sono giustamente sempre mascheratissimi con il loro look completamente in nero fatto di pelle, chiodi borchiati, richiami ecclesiastici e luci led che squarciano il buio della sala.
Ciò che propongono è – in sostanza – gran poco metal, visto che stiamo parlando di un synth-pop di forte ascendenza retrowave ottantiana, nelle coordinate di Carpenter Brut e Perturbator più scarni ed essenziali. La formazione a tre include voce, percussioni elettroniche/basi e tastiere, per un risultato globale sorprendente e funzionante. I suoni, a differenza di quelli di Liv Sin, non sono sempre perfetti e in un paio di occasioni la parte vocale più sussurrata di un brano bellissimo come “A Signal In The Noise” si perde un po’, mentre esaltano davvero le melodie di “Vaudeville” o la techno vera e propria di “Burning Love”.
La loro esibizione è breve ma intensa, adattissima per la loro proposta. Per ora ai tre svedesi mascherati mancano solo un altro paio di singoli micidiali come lo è “Vaudeville”. Rimaniamo in attesa.
Secondo cambio – un po’ più lungo stavolta – che ci porta alle 22 e all’esibizione dei DEATHSTARS che propongono in giro per l’Europa il nuovo, buon “Everything Destroys You”.
Dentro alla sala del Bloom ad attendere gli svedesi ci sono un paio di centinaia di persone e personalmente siamo piuttosto felici di poterci muovere liberamente dietro le prime file, anche se un po’ dispiaciuti che i nostri nel 2023 richiamino solamente questo bacino di utenza dopo aver aperto in passato per colossi come Korn o Rammstein; l’età media tra l’altro è mediamente elevata e si contano gran pochi ventenni in sala.
L’apertura è affidata a “Night Electric Night”, seguita dalla nuova “Between Volumes And Voids” e l’impressione che abbiamo è molto positiva, anche se non possiamo non notare che gli anni passano per tutti: sotto al trucco e al dark look i Deathstars sono un po’ appesantiti e si nota pure qualche ruga. I loro personaggi da palco però tengono botta, non risultano parodistici ed è ancora piacevole vederli proporre una scaletta bilanciata, particolarmente lunga (diciotto brani tra presente e passato).
I Deathstars, dopo tanti anni, sono ancora quelli di una volta: un gruppo che live ottiene il massimo risultato col minimo sforzo, visto che risulta evidentissimo come il loro repertorio sia tecnicamente semplicissimo da eseguire. Badate bene, ciò che ha sempre fatto la differenza è quello che possiamo chiamare ‘tiro’ esecutivo, che non sembra essere svanito e che non tutte le band possiedono. Anzi, molte non l’avranno mai. Certo, ci chiediamo scherzosamente da sempre cosa i nostri se ne facciano di due chitarre e quanto poca estensione abbia la voce di Bergh, ma i risultati complessivi di una “Blitzkrieg”, di una “Cyanide” o di una “Synthetic Generation” sono sempre ben superiori alla media e ci emozionano ancora.
I brani si susseguono piuttosto velocemente davanti ad un pubblico entusiasta e partecipe e a fine serata, ancora una volta, i Deathstars possono vantarsi di essere seguiti dal pubblico metal e di avere un grande singolo a nome “Metal” ma poi, di metal, possedere realmente gran poco. Scusate se è poco: a noi piacciono proprio per questo.