Report di Alessandro Elli
In una fredda serata milanese, lo Slaughter Club è stato teatro dell’esibizione di ben cinque band dedite a sonorità deathcore o affini: ad aprire gli inglesi Viscera e gli olandesi Distant, giovani formazioni emergenti della scena, per proseguire con gli statunitensi Oceano, attivi invece da diversi anni, ed i due co-headliner della serata, ossia i canadesi Despised Icon – che del genere possono essere considerati tra i padri putativi – e i polacchi Decapitated, unico gruppo che si discosta dalla proposta e che, dopo una prima parte di carriera folgorante in ambito technical death metal, ha cambiato il proprio stile in un groove metal che si muove sempre in zona death metal ma che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere di più facile presa. Vediamo come è andata.
Sono le 19 in punto quando ha inizio lo spettacolo, e questa puntualità sarà mantenuta per tutta la lunga serata, con il pubblico che si fa progressivamente più numeroso con il passare del tempo.
I primi a salire sul palco sono i VISCERA, band inglese nata solamente tre anni fa e che ha un unico album all’attivo, “Obsidian”, pubblicato nel 2020. La formazione ruota attorno alla voce di Jamie Graham (ex Sylosis) e consta di due chitarristi ed un batterista, senza basso, e suona un deathcore tecnico, quadrato e molto diretto, con un approccio hardcore sia dal punto di vista musicale sia nelle movenze. Le due sei corde (in realtà sette, in questo caso) si alternano tra riff ed assoli, con numerosi breakdown tipici del genere, un growl potente e qualche effetto: l’impatto è notevole, tanto che i pochi presenti, sollecitati dal cantante, si scatenano in un pogo indiavolato. Era la prima calata in terra italiana per i britannici, che hanno sfruttato in modo decisamente positivo la mezz’ora a loro disposizione.
Sono già più noti agli appassionati gli olandesi/slovacchi DISTANT, anch’essi giovanissimi ma con già due album alle spalle, l’ultimo dei quali, “Aeons Of Oblivion”, ha permesso loro di firmare un contratto con Century Media. La band, i cui componenti si dividono tra Rotterdam e Bratislava, sicuramente va inserita nel filone deathcore, ma con un’interpretazione differente rispetto a chi l’ha preceduta: pur essendo altrettanto esplosivi, i Distant suonano più complessi, ineccepibili da un punto di vista tecnico, riff nervosi che sembrano provenire dal nu metal, come fossero dei Korn in versione estrema, rallentamenti al limite del doom ed un cantante molto scenico che fa da mattatore, alternando brillantemente growl e scream. Anche per loro si tratta del primo concerto in Italia, che il pubblico ha onorato con un discreto pogo e svaligiando il ricco merchandising: segnali che danno l’impressione di una formazione in rampa di lancio.
Rapido cambio di palco ed ecco gli OCEANO pronti ad esibirsi: le ultime prove in studio della band di Chicago, in particolare “Revelation” del 2017, avevano evidenziato una certa stanchezza sia in fase compositiva sia in fase esecutiva, come se i quattro avessero detto tutto quello che avevano da dire in passato, ed è quindi interessante capire quale sia invece la situazione in sede live. Qui, in effetti, le cose vanno un po’ meglio e bisogna ammettere come gli statunitensi siano in realtà buoni musicisti, ma lo show è limitato da un repertorio che, perlomeno negli ultimi anni, non ha brillato per songwriting ed originalità. Il loro deathcore è infarcito di breakdown e momenti più ragionati ma, nonostante ciò, la percezione che si ha è che manchi di dinamiche e per questo motivo alla lunga annoi; forse una delle ragioni di questa mancanza di incisività è l’eccessivo turnover dei componenti, con una lista lunghissima di entrate ed uscite negli anni, fatto sta che a colpire è la voce in profondo growl e la presenza scenica del cantante Adam Warren, ma poco altro.
Parlando di deathcore, i DESPISED ICON sono delle vere e proprie leggende: nati in Canada vent’anni fa, sono considerati da molti tra i capostipiti del genere e possono contare su una nutrita discografia di ottimo livello. La scaletta di stasera, in particolare, pesca molto dagli album pubblicati prima del momentaneo scioglimento, tra 2010 e 2014, con brani micidiali come “Furtive Monologue” e “A Fractured Hand” tratti dall’ottimo “The Ills Of Modern Man”. I due cantanti Steve Marois ed Alex Erian sono ovviamente al centro della scena e scorrazzano per il palco nelle canottiere di ordinanza, con il primo che esibisce il suo incredibile range vocale che va da strilli acuti ai tipici pig squeal, mentre il secondo è ancorato ad un growl più classico. I pezzi sono suonati alla perfezione – si vede che siamo di fronte a musicisti affiatatati e che suonano insieme da un’eternità – e a spiccare è il batterista Alexander ‘Grind’ Pelletier, tentacolare e potente, che tiene le fila della musica dei sei canadesi con estrema precisione. Per quaranta minuti la band di Montréal lancia le sue invettive, sorrette da un deathcore che spesso sconfina nel death metal vero e proprio, forti anche di una buona resa sonora e di fronte ad un pubblico divenuto veramente numeroso ed entusiasta; peccato solo per la durata limitata dello show, avrebbero meritato di suonare più a lungo.
Arriviamo ora alla formazione che chiuderà la serata e che propone un genere abbastanza diverso dalle altre in programma: i DECAPITATED, infatti, erano nati come band technical death metal ma, soprattutto dopo tutte le sventure e le vicissitudini che li hanno spinti a cambiare pelle, sono passati ad un death metal carico di groove. Questa scelta è stata accompagnata da molte critiche da parte di pubblico ed addetti ai lavori, eppure, allo stesso tempo, sembra aver portato ai polacchi nuovi fan, perlomeno vedendo l’entusiasmo che li circonda durante lo show. Certamente non si possono mettere in dubbio le doti tecniche di questi straordinari musicisti, che sembrano, però, confusi sulla direzione da intraprendere, come se fossero sempre legati al loro passato ma vogliosi di tagliare tutti i ponti con esso: anche se non è corretto contestare le scelte di scaletta di un gruppo, si pensi che l’ultimo “Cancer Culture” ne ha occupato più della metà, due i pezzi provenienti dallo scialbo “Anticult”, mentre i supporter della prima ora si devono accontentare di “Nine Steps” (da “Winds Of Creation”) e della splendida “Spheres Of Madness” (da “Nihility”). Come già accennato, la prova, nonostante i limiti (sempre e comunque soggettivi) del materiale proposto, è stata in ogni caso buona, se si eccettua qualche problema con il volume della voce risolto in tempo brevissimo, a certificare uno stato di forma che, perlomeno dal vivo, non è mai venuto a mancare.