FIRE TRAILS
Quasi a sorpresa salgono sul palco i Fire Trails di Pino Scotto, chiamati all’ultimo momento a fare da apertura alla band inglese. Con la consueta potenza ed energia, il quintetto si è rimboccato le maniche, dando vita ad un set breve ma efficace, incentrato quasi interamente sul nuovo “Third Moon”. Nella manciata di brani proposti, spiccano la bellissima “Third Moon”, la grintosa “Fighter” e “Silent Heroes”, ispirata a Falcone e Borsellino. Purtroppo la resa sonora non è delle migliori, sia per l’acustica agghiacciante del Palalido, sia per la prestazione un po’ affaticata, ma comunque grintosa, del frontman, che si è presentato sul palco febbricitante pur di non rinunciare alla possibilità di aprire per una band del calibro dei Deep Purple. Detto questo, comunque, bisogna sottolineare che il buon Pino ha fatto davvero il possibile, riuscendo a portare a termine dignitosamente il concerto. Il resto della band, invece, è stato preciso e coinvolgente, con una sezione ritmica potente e martellante a fare da supporto alle scorribande soliste degli ottimi Steve Angarthal e Larsen Premoli. Quest’ultimo, in particolare, si rivela un vero pazzo scatenato, riuscendo più di una volta a catalizzare l’attenzione del pubblico con le sue movenze e il suo entusiasmo. Bravi!
DEEP PURPLE
Le luci si spengono e, finalmente, arriva il momento dei Deep Purple. Al lato del palco, due maxi-schermi iniziano a proiettare un filmato con un roadie che scarica da un camion una cassa con l’etichetta ‘The Band’ appiccicata sul lato. Arrivati all’interno dell’edificio, il roadie apre la cassa e, da lì, uno alla volta, sbucano fuori i cinque musicisti, già con gli strumenti in mano. Il filmato si conclude con la band che imbocca la porta con la scritta ‘stage’, mentre sul palco del Palalido la vera band fa il suo ingresso tra le ovazioni del pubblico. La scenografia è molto semplice, con solo il logo della band issato alle spalle della batteria, ma il tutto si rivela molto efficace quando, all’accendersi delle luci, una serie di pannelli luminosi si accendono, accompagnando la band con immagini e trame colorate. L’inizio del concerto è già da urlo, con una dirompente “Pictures Of Home”, seguita a ruota da “Things I Never Said”, la B-side dell’edizione giapponese di “Rapture Of The Deep”. Il pubblico, però, pur non conoscendo il pezzo, sembra gradire, continuando a saltare e ad incitare la band. Si continua con il materiale nuovo con “Wrong Man”, un pezzo non eccelso, che, a parere di chi vi scrive, sarebbe potuto essere sostituito con qualche altra scelta, tipo la divertente “MTV”. La cosa che salta subito all’orecchio, in questo tour, è l’ampio spazio riservato all’ultimo album, segno che la band crede ancora nel suo operato, non riducendosi a riproporre il solito best of dei pezzi storici. Dopo “Ted The Mechanic” e una sorprendente quanto grandiosa “Living Wreck”, infatti, è la volta della spettacolare “Rapture Of The Deep”, che si conferma uno dei migliori pezzi dei Purple degli ultimi dieci anni; seguita dalla ballad “Before Time Began”, con il suo andamento quasi progressive. Il gruppo sembra davvero a suo agio, suonando con convinzione ed entusiasmo e lasciando ampio spazio all’improvvisazione e al dialogo strumentale tra uno Steve Morse particolarmente ispirato e il bravo Don Airey. Dopo una trascinante “Mary Long” è il momento di lasciare spazio al chitarrista per un piacevole momento solista, che comprende l’esecuzione della malinconica “Contact Lost” e della frizzante “The Well Dressed Guitar”. È già passato metà concerto quando fa capolino “Lazy”, il primo classico irrinunciabile della band, che strappa più di una ovazione, mentre un Ian Gillan decisamente in forma, benché la voce non sia più quella di una volta, delizia il pubblico con la sua armonica. Ovviamente non poteva mancare l’assolo di tastiere, che non si riduce a mero esercizio di stile ma, al contrario, coinvolge e diverte, grazie alla maestria di Don Airey, che passa con agilità da una tastiera all’altra, suonando ora brani classici, ora estratti dalla colonna sonora di Star Wars e accennando addirittura l’introduzione di “Mr. Crowley” con l’organo. Da questo punto in avanti il concerto si trasforma nella consueta sequenza micidiale di classici, con l’eccezione di “Kiss Tomorrow Goodbye”, l’ultimo estratto dal nuovo album. Si parte quindi con l’immancabile “Perfect Strangers”, cantata a squarciagola dal pubblico, una splendida “Space Truckin'” e “Highway Star”. Siamo ormai in chiusura quando esplode il classico per eccellenza, “Smoke On The Water”, in cui la band si diverte a far cantare il pubblico, mentre i bis sono affidati ad un’altra accoppiata di mega-classici, “Hush”, con il suoi accattivanti intrecci di organo, e “Black Night”. Insomma, una splendida serata all’insegna del rock, che conferma quanto mostrato del nuovo album: i Deep Purple del 2006 sono una band ringiovanita, rinvigorita, che crede in quello che fa e si diverte sul palco. Spettacolari!