A cura di Carlo Paleari
Dopo aver assistito alla bellissima data di marzo, non potevamo proprio lasciarci sfuggire l’occasione di vedere nuovamente all’opera gli inossidabili Deep Purple, tornati in Italia per il solito, immancabile tour estivo. La suggestiva cornice della piazza del Duomo di Brescia fa da sfondo ad una ennesima prova maiuscola della band, che, superati i tentennamenti di qualche anno fa, sta tornando alla carica con un’energia impressionante, soprattutto grazie ad un ritrovato Ian Gillan, che sembra attraversare una seconda giovinezza, sia per qualità delle performance e sia per il carisma mostrato sul palco.
THE FIRE
Prima del concerto dei Deep Purple abbiamo la possibilità di gustarci una breve quanto piacevole perfomance dei nostrani The Fire, nuovissima band nata dalla fusione di membri dei Madbones e degli Shandon. Nella mezzora a loro disposizione, i ragazzi sciorinano una manciata di estratti dal loro album e cercano di coinvolgere il pubblico con il loro hard rock dalle venature punk. Il cantante Olly, in particolare, fa tutto il possibile per interagire con il pubblico, che, pur senza mai mostrare particolare entusiasmo, sembra apprezzare la musica della band. Prova positiva, quindi, anche tenendo conto dell’emozione provata nel trovarsi ad aprire per dei musicisti che possono considerarsi di diritto un pilastro della storia del rock (come hanno sottolineato gli stessi The Fire): una band da tenere d’occhio!
DEEP PURPLE
Mentre il cielo di Brescia si fa sempre più nuvoloso, catalizzando diverse occhiate preoccupate da parte dei presenti, i Deep Purple irrompono sul palco, guidati dalla terremotante intro di batteria di “Pictures Of Home”. Contrariamente a quanto visto nelle date invernali, il palco è tornato alla consueta sobrietà degli ultimi anni: via i maxischermi laterali, via i pannelli luminosi e i filmati, lasciando sul palco il minimo indispensabile. La band sembra assolutamente su di giri, con un Ian Gillan arzillo come non lo si vedeva da tempo e il resto del gruppo solido e ineccepibile come al solito. Con “Things I Never Said” si passa al primo estratto dall’ultimo album della band, mostrando come la band sia assolutamente convinta della validità di questo brano, nonostante sia stato scartato dalla scaletta ufficiale del disco (ricordiamo che si tratta di una b-side per il mercato giapponese). Pur essendo terminato il tour strettamente promozionale di “Rapture Of The Deep”, vengono estratti diversi pezzi durante la serata, dalla splendida title-track, fino a “Wrong Man” e “Kiss Tomorrow Goodbye”. Ciononostante, man mano che il concerto continua, sembra abbastanza chiaro come questa seconda parte del tour, come di consueto per le date estive, sia principalmente costruita sulle carrellate di classici che compongono la discografia della band: si parte con la divertente “Hush”; passando per il ripescaggio di “Strange Kind Of Woman” e “Fireball” (stratosferica come al solito!); “When A Blindman Cries”, che torna ad essere la ballad ‘ufficiale’ della band, dopo essere stata soppiantata per breve tempo dalla recentissima “Before Time Began”; “Lazy”, divertente e trascinante; “Perfect Strangers” e “Space Truckin’”. Naturalmente non possono mancare i momenti solisti, che vedono il solito mostruoso Steve Morse lanciarsi in improvvisazioni da capogiro, prima di accennare “We Are The Champions” in onore della nostra vittoria ai mondiali, fino alla consueta “The Well Dressed Guitar”. Allo stesso modo, l’ottimo Don Airey non si fa pregare e ci regala una prestazione altrettanto incredibile, con una medley che unisce l’intro di “Mr. Crowley” all’organo, stacchetti ragtime, la “Marcia Alla Turca” di Mozart, il “Nessun Dorma” e il “Gugliemo Tell” di Rossini. Il concerto si avvia alla conclusione e, naturalmente, non può mancare il trittico più classico del mondo: “Highway Star”, “Smoke On The Water” e la conclusiva “Black Night”. Se, però, la prima e l’ultima non hanno riservato grandi sorprese, su “Smoke On The Water” il pubblico bresciano ha potuto gustarsi una pregevole chicca, dato che la band, in vista della data del Montreux Jazz Festival, ha riletto il suo classico per eccellenza in chiave jazz (solo una breve introduzione, non tutto il pezzo). Terminato il concerto, la band ringrazia il numeroso pubblico, salutando con calore sia il pubblico seduto in platea, sia i tanti ragazzi assiepati in piedi in un lato della piazza e anche la gente affacciata ai balconi. Ancora una volta questi vecchi leoni ci hanno regalato una serata splendida, che conferma lo stato di salute di una band che sembra davvero inesauribile. Keep on rocking!