Report a cura di Carlo Paleari
Fotografie di Moira Carola
L’avevano detto che sarebbe stato un lungo addio e, per nostra fortuna, dopo le date dello scorso anno, i Deep Purple tornano nel nostro Paese per due concerti in altrettante prestigiose e stupende location. Dopo l’Arena di Verona, che la band di Ian Gillan ha già visitato in passato, è la volta dello Stupinigi Sonic Park, festival realizzato nei giardini della meravigliosa Palazzina di Caccia costruita dai Savoia. La cornice è suggestiva e anche l’organizzazione ci è parsa ottima, per una manifestazione che confidiamo di poter vedere confermata anche il prossimo anno. Unico appunto, la gestione dei biglietti tra posti a sedere e posti in piedi: non essendoci delle aree ben delimitate, infatti, chi stava seduto, soprattutto nelle prime file, si è ritrovato ben presto circondato da persone in piedi che, inevitabilmente, coprivano la vista a persone che hanno volontariamente scelto un posto a sedere, pagando una cifra anche considerevole. Sarà che, almeno in ambito rock, siamo sempre a favore della buona vecchia platea in piedi, forse togliere del tutto le sedie sarebbe stata una soluzione migliore per tutti. Ad aprire il concerto dei Deep Purple, troviamo i The Temperance Movement dei quali, purtroppo, riusciamo ad ascoltare solo gli ultimi due pezzi: troppo poco per darne un giudizio approfondito, ma ci è parso che la band inglese fosse in ottima forma e che il loro rock blues abbia tutte le carte in regola per accontentare i palati del pubblico dei Deep Purple.
THE TEMPERANCE MOVEMENT
DEEP PURPLE
Il Sole non è ancora tramontato quando i Deep Purple fanno il loro ingresso sul palco sulle note di “Highway Star”, che torna in scaletta nella posizione a lei più consona. Paice e Glover guidano la band con mano ferma, mentre Steve Morse e Don Airey dialogano senza sosta. Ian Gillan, armato di occhialoni da sole, sembra un po’ in difficoltà, e sarà così per la prima manciata di canzoni, soprattutto sul materiale più impegnativo. D’altra parte il tempo passa inesorabile e le canzoni dei Deep Purple metterebbero in difficoltà chiunque, figuriamoci qualcuno che, tra poco più di un mese, spegnerà settantatré candeline. Per contro, il cantante ci mette il suo carisma e la sua esperienza per portare a casa più che degnamente la serata.
Il concerto entra nel vivo senza pausa, una canzone via l’altra: la splendida “Pictures Of Home”; “Bloodsucker”, in verità suonata un po’ col freno a mano tirato; e la sempre divertente “Strange Kind Of Woman”. Altro gradito ritorno è “Sometimes I Feel Like Screaming”, che spezza un po’ la tensione rock con un momento più delicato e malinconico. Su “Lazy”, invece, la band inizia a giocare in casa, allungando l’introduzione e ricamando pregevoli scambi strumentali, prima di buttarsi anima e corpo in una esecuzione magistrale. L’album più recente dei Deep Purple, “inFinite”, viene giustamente omaggiato con tre pezzi, il primo singolo “Time For Bedlam”; “Birds Of Prey”, baciata da un meraviglioso assolo di Steve Morse sul finale; e soprattutto “The Surprising”, il pezzo migliore dell’album a nostro avviso, in cui invece è Don Airey a ritagliarsi un break strumentale al piano. A proposito del tastierista, mentre Steve Morse appare un po’ più dimesso del solito, complici forse i problemi al polso che lo obbligano ad esibirsi con una sorta di tutore, Don Airey è libero di impazzare a destra e manca, risultando particolarmente efficace sia nei brani più classici, sia nella lunga parentesi solista in cui si diverte ad omaggiare l’Italia e la sua tradizione musicale in un delirio di synth, tastiere e pianoforte.
La scaletta arriva ormai agli ultimi colpi e ovviamente tocca ad una vera e propria carrellata di classici: composizioni come “Perfect Strangers”, la terremotante “Space Truckin’”, fino ovviamente al loro pezzo più famoso e osannato, quella “Smoke On The Water” che tutti i presenti cantano a squarciagola. Certo, ci sarebbe piaciuto qualche ripescaggio in più rispetto ad una scaletta con poche sorprese, ma non ci possiamo comunque lamentare. Naturalmente la serata non può concludersi senza un altro paio di gemme: ci riferiamo ovviamente ad “Hush”, introdotta come d’abitudine per questo tour dal tema di “Peter Gunn”; e “Black Night”, preceduta da un solidissimo assolo di Roger Glover al basso, che pone il sigillo sull’ennesima performance di livello.
Forse non abbiamo assistito al miglior concerto dei Deep Purple tra i numerosi che abbiamo avuto la fortuna di vedere ma, nonostante qualche normale cenno di stanchezza, Gillan e soci rimangono una certezza per chi ama il rock suonato con sudore e passione.