27/06/2017 - DEEP PURPLE + TYLER BRYANT & THE SHAKEDOWN @ Mediolanumforum - Assago (MI)

Pubblicato il 30/06/2017 da

Report a cura di Carlo Paleari
Fotografie di Bianca Saviane

Il ‘lungo addio’ dei Deep Purple, dopo le date di Roma e Bologna, sbarca anche a Milano, radunando una buona folla di rocker pronti a salutare, forse per l’ultima volta, la formazione inglese. Eppure, nonostante il nome del tour, non c’è quell’atmosfera un po’ malinconica che accompagna una grande festa di addio, nessuna nostalgica rievocazione dei tempi che furono, nessuna (auto)celebrazione palese. Se non fosse per le dichiarazioni della band, penseremmo semplicemente di trovarci di fronte all’ennesimo e sempre gradito passaggio dei Deep Purple nel nostro Paese. Tutto sommato, forse, è meglio così, perché i Deep Purple del 2017 non sono ancora una band finita: ‘la porta si sta chiudendo’, amano chiosare nelle varie interviste rilasciate sull’argomento, ‘ma non ancora del tutto’. Meglio vivere allora una serata di buon vecchio rock, senza addii e senza false promesse. Solo una grande serata di musica, suonata con passione e trasporto da una band che da cinquant’anni calca i palchi di tutto il mondo, godendosi ogni singolo attimo, sera dopo sera. Ad aprire la serata, poi, una piacevolissima sorpresa che risponde al nome di Tyler Bryant & The Shakedown, che ha il compito di riscaldare l’audience, riuscendo a conquistare più di uno spettatore e coinvolgendo i molti presenti che non conoscono il musicista texano.

 


TYLER BRYANT & THE SHAKEDOWN

E’ giovane, Tyler Bryant, eppure può vantare già un curriculum di tutto rispetto, fatto di concerti frizzanti, suonati di fronte a pubblici abituati a dei veri e propri mostri sacri. Questo ragazzo, infatti, ha aperto il concerto di formazioni come AC/DC, Guns N’ Roses, Aerosmith (ma qui gioca in casa, visto che nella sua band suona il figlio di Brad Whitford) e adesso Deep Purple. La collocazione è adattissima perché, nonostante la giovane età, Tyler Bryant suona un rock blues figlio degli anni ’70 e siamo certi che questi musicisti siano cresciuti macinando album di Led Zeppelin, The Black Crowes, Rolling Stones, Black Sabbath e tanti altri classici. Il pubblico, che in un primo momento appare poco interessato, si risveglia ben presto grazie all’energia selvaggia di Tyler e della sua band: chitarre torride e calde, dalle tinte stoner, un’ottima voce e un batterista carismatico che si arrampica sul suo drumkit essenziale, oppure stacca una grancassa per girare sul palco percuotendola tipo ‘marching band’. Tra i brani che ci hanno colpito di più citiamo il blues di “Downtown Tonight”; la stregonesca “Got My Mojo Working”, un classico portato alla ribalta da Muddy Waters; la frenetica “Lipstick Wonder Woman”. Al termine del loro set di circa tre quarti d’ora, la band raccoglie una meritata ovazione, congedandosi con la certezza che, la prossima volta che passeranno in Italia, ad accoglierli non ci saranno quattro gatti, come successo lo scorso anno.

 

DEEP PURPLE
Una scenografia glaciale accompagna l’ingresso sul palco dei Deep Purple, riprendendo il tema della copertina dell’ultimo “inFinite”, ed è proprio il singolo “Time For Bedlam” ad aprire le danze tra le urla del pubblico. La canzone è una scelta particolare come apertura, ma anche in sede live si conferma un pezzo solidissimo ed efficace; ciononostante il primo vero boato esplode sulla doppietta “Fireball” / “Bloodsucker”, due pezzi fragorosi che scuotono il Mediolanum Forum, infuocando la platea. Ian Gillan tiene il palco con il suo carisma e il suo sorriso sornione, rendendosi protagonista di una performance più che buona: ovviamente sono passati i tempi degli acuti e il cantante sceglie saggiamente di conservare la sua voce, abbassando le linee vocali dove possibile e alzando il tiro solo quando le sue corde vocali glielo consentono. L’accoppiata Paice/Glover si conferma una delle sezioni ritmiche più potenti e coese della storia del rock, l’intesa tra i due è semplicemente perfetta e ci fa immensamente piacere vede Ian Paice in ottima forma dopo il piccolo ictus che l’aveva colpito lo scorso anno. Non sappiamo se si sia trattato di un’impressione, ma ci è parso invece un po’ sofferente Steve Morse, che sappiamo avere notevoli problemi ad un polso, che gli provoca dolore e lo costringe ad indossare una fasciatura per consentirgli di suonare. Il chitarrista, che non si è mai trattenuto dal mostrare tutto il suo funambolico talento, ci è parso più misurato e concentrato nel portare a termine il suo compito senza strafare…ma non venga considerata questa come una critica, anzi: il risultato finale ci è parso ancora più focalizzato ed efficace. In grandissima forma, invece, il buon Don Airey, che ormai è da considerarsi una colonna portante del sound dei Deep Purple e che si è dimostrato un vero uragano di energia ed inventiva nel corso dell’intera serata. Il concerto prosegue, alternando momenti classici (“Strange Kind Of Woman”, “Lazy”) ad altri più recenti (“Johnny’s Band”, “Uncommon Man” e “Hell To Pay”). Chi vi scrive ha ormai consumato anche l’ultimo album della band e ci ha fatto particolarmente piacere ascoltare due pezzi eccezionali riproposti anche in versione live: la splendida “The Surprising”, che si è rivelata una canzone di grande eleganza e classe, con un Ian Gillan particolarmente ispirato nel registro medio-basso, e “Birds Of Prey”, che ci ha regalato un meraviglioso intermezzo di pianoforte e, soprattutto, una coda strumentale di Morse da standing ovation, dove il chitarrista ha infuso tutta la sua classe e, forse, anche il suo dolore. Non ci stupiremmo se, nonostante i classici senza tempo, qualcuno, come il sottoscritto, mettesse questo particolare momento come vetta emotiva della serata. Dopo un vorticoso assolo di Don Airey, nel quale il tastierista rende omaggio alla nostra tradizione lirica (citando la più celebre aria del “Rigoletto” di Giuseppe Verdi e il “Nessun Dorma” di Giacomo Puccini), arriva l’ultima carrellata di classici prima dei bis, ovvero “Perfect Strangers”, la potentissima “Space Truckin’” e naturalmente “Smoke On The Water”. Certo, tutti capolavori che ascoltiamo sempre volentieri, eppure, almeno in questo tour, sarebbe stato bello far tornare in vita qualche gemma più rara che, nella sterminata discografia dei Purple, sarebbe stata tutt’altro che difficile da trovare. Unica chicca, se vogliamo, l’inserimento del tema di “Peter Gunn” di Henry Mancini, inserito prima di “Hush”, a cui ha fatto seguito l’immancabile “Black Night”. Il concerto si conclude e la band si congeda tra le ovazioni e appare sinceramente contenta della risposta del pubblico meneghino. A questo punto dovremmo dirvi addio, ma non ce la sentiamo di arrenderci a questa eventualità e preferiamo invece salutare i Deep Purple con la speranza di poterli vedere ancora una volta sui palchi italiani. Dunque no, non vi diciamo ‘addio’, ma soltanto ‘arrivederci’.

 

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.