Vi raccontiamo la data capitolina dei padri dell’hard rock!
A cura di Bernardo ‘Spellbound’ Mele
DEEP PURPLE
Sono quasi le dieci quando salgono sul palco i Deep Purple, dopo la performance dei The Pretenders passata quasi inosservata dai circa cinquemila presenti.
Sono appena le undici e mezza quando, dopo un bis di due canzoni, la band abbandona il palco e inesorabilmente si accendono le luci, e il concerto è finito. Un’ora e mezza di concerto sembrano un po’ pochino, anche per chi l’hard rock l’ha inventato, considerato anche che, di questa ora e mezza, venti minuti sono stati spesi per gli assoli dei vari musicisti e che il biglietto costava trentacinque euro in prevendita. Va bene essere degli ottimi musicisti, e si comprende che è divertente esprimersi su un palco, ma quando questo va a discapito del concerto, allora questo non sembra più essere sufficiente a giustificare alcune scelte organizzative. Ian Gillan sembra oggi non farcela più, e sul palco non riesce veramente a trovarsi a suo agio, mentre il resto della band, soprattutto Steve Morse, riesce a fare a dovere il proprio lavoro. Naturalmente i brani suonati non hanno bisogno di commenti, li conosciamo tutti a memoria; si inizia con “Highway Star” e si procede poi con “I’m Alone”, ” Perfect Stranger”, poi vengono presentati due nuovi brani che appariranno nell’album in uscita tra qualche mese: il primo è una semplice ballad molto carina in tipico stile anni ’70, mentre il secondo è un po’ più hard rock, ma questa ormai non è più una novità. È il turno poi di “Smoke On The Water”, e a questo punto che altro dire… tutti la conoscono, tutti la cantano, e tutti sono contenti. I Deep Purple lasciano il palco mentre il pubblico chiama a gran voce “Black Night!”, e dopo qualche minuto rientrano in scena per eseguire “Hush” e, subito dopo, finalmente arriva il turno di “Black Night”. La band esce di nuovo, si accendono le luci e tutti iniziano a chiedersi che ore siano. Questa band di buono ha la capacità di riuscire ad unire tre differenti generazioni di fan, dai sessantenni ai quindicenni, il che sicuramente deve essere una grande soddisfazione per chi quelle canzoni le ha scritte… ma quello che ci si chiede è che senso abbia continuare a suonare quando i concerti durano poco perché il cantante non riesce a reggere il ritmo dei tempi andati. Chi scrive è il primo a dispiacersi di doverlo ammettere, ma la realtà è che dal vivo i Deep Purple non entusiasmano più, e fa quasi sorridere pensare ad un cinquantenne che sopra un palco grida “… I’m an highway star…”. Ad entusiasmare sono le canzoni, quelle canzoni che resteranno per sempre. Ma le band, purtroppo, non sempre sono immortali…