Dopo numerosi rinvii è tempo anche per i Deez Nuts di tornare in Italia e portare con sé un bel pacchetto hardcore interessante e diversificato. La band party hardcore di JJ Peters ha i suoi fedeli seguaci ed è fiera di mostrare al mondo i recenti prediletti Unity TX, ottima rivelazione crossover con la quale è stato pubblicato il recente singolo “Rockstar” (cover di Post Malone). Discorso a parte per The Acacia Strain, formazione ultra heavy di culto che ha fatto poche apparizioni a Milano, mentre in apertura troviamo gli spagnoli Brothers Till We Die, fautori di un deathcore che si sta facendo conoscere sul territorio europeo. Le band sono verso la fine delle trenta fittissime date in cui i day off sono semplicemente un miraggio, ma per l’Italia quello di Milano è l’unico appuntamento in calendario.
BROTHERS TILL WE DIE
Una cosa che non manca a questa giovane band di ragazzi spagnoli è l’entusiasmo. Nonostante si percepisca una certa dose di dilettantismo, che possiamo facilmente perdonare vista la giovane età, i BTWD mettono in scena un deatchcore con mille influenze, dal metalcore all’hardcore metallizzato. Confonde un pochino la presenza dell’avvenente bassista Ali, che vestita di nero con tanto di New Rock ai piedi inserisce ogni tanto delle voci pulite non del tutto coerenti.
Alla fine della breve scaletta gli spagnoli si lasciano prendere pure troppo dall’entusiasmo, tirando in mezzo anche sospette basi techno per scatenare la festa (?), con il frontman che incita e ringrazia in un italiano apprezzabile. Confusi ma divertenti.
UNITY TX
Quando abbiamo sentito “Madboy” abbiamo drizzato immediatamente le antenne: gli Unity TX sono una band crossover metal-rap che non sentivamo da tempo, con una furia hardcore e delle capacità nel rappare che ci hanno ricordato il primo disco degli HedPE; anche JJ Peters se n’è accorto, ed eccoli prontamente in tour coi suoi Deez Nuts sui palchi europei.
L’entrata bomba di “Ruckus” dà inizio alle danze: “Let me introduce you motherfuckers!“, e da lì siamo investiti da hardcore, crossover, rap metal fatto con un’energia, una ruvidità e una credibilità di altissimo livello, con chitarre taglienti simili ai Deftones di “Adrenaline” e un rappato decisamente sopra le righe. “Agony”, “Hail Mary” e la nuova “World Of Malice” dal vivo valgono più che su disco, e anche nel pezzo più strettamente rap, “Bang Shit”, dove il chitarrista si prende una breve pausa, la band appare cattiva, rumorosa e impattante. Non c’è traccia di nu-metal qui, è un suono più bastardo e hardcore che colpisce duro e lascia il segno, infatti vedremo il frontman Jay Webster dare di matto nel pit poco più tardi, a certificazione del legame con l’hardcore più verace. Che bella conferma.
THE ACACIA STRAIN
Tocca ai The Acacia Strain cambiare il mood della serata con la loro proposta spietata che, dalle fondamenta e dall’estetica hardcore, spazia verso death, doom e sludge. Nelle fila della formazione capitanata da Vincent Bennett troviamo, oltre ai soliti Kevin Boutot (batteria) e Griffin Landa (basso), la new entry Mike Mudholland: l’ex Emmure andrà a ricoprire il ruolo di unico chitarrista vista la temporanea assenza di Devin Shidaker, tentando fare il possibile per costruire il muro di suono fatto di accordature abissali caratteristiche dei Nostri. L’asso nella manica è come sempre il frontman, che nella recente versione smunta (ha perso parecchio peso qualche anno fa) non perde la propria lucida rabbia e si prodiga in un set serio, estremo e spietato, ingaggiando spesso le prime file e sputando acqua in aria.
Il set è costruito principalmente sulle vecchie glorie del catalogo Prosthetic, ma non mancano riproposizioni dal recente “Slow Decay”, trovando spazio anche per due nuovi estratti dal prossimo disco in uscita a maggio. Esatta antitesi di come si presenta senza microfono in mano (a fine serata sarà calmo, gentilissimo e sorridente tessendo le lodi dei Fulci), Bennett parla poco ma quando lo fa lascia il segno. Non c’è niente da fare, la differenza si percepisce in maniera netta: i The Acacia Strain sono una band notevole e sottovalutata, che vorremmo rivedere più spesso dalle nostre parti.
DEEZ NUTS
C’è qualcosa di diverso dal solito stasera, i Deez Nuts non sono gli stessi di sempre. JJ Peters ha perso il socio di lunga data Sean Kennedy, compagno anche negli I Killed The Prom Queen, e ha sul volto le sue iniziali tatuate in tributo all’amico fraterno. Come conseguenza del profondo impatto che ha avuto questo suicidio sulla party band più degenerata dell’hardcore c’è la decisione di dare un taglio con l’alcool. E se parliamo di un gruppo che canterà, anche stasera, canzoni come “Shot After Shot” e “(Party) Like There’s No Tomorrow”, e che abbiamo visto cantare in condizioni pietose, con il chitarrista Realbad a vomitare in un secchio sul palco durante il set, c’è motivo di alzare più di un sopracciglio: premesso che il gruppo ha diritto di riprendere in mano la propria vita come crede, ma oltre alla parziale incongruenza tra determinate scelte e i contenuti delle canzoni, la scelta che più ci lascia spiazzati, sempre collegata alla dipartita di SK, è quella di suonare come trio, senza un bassista e con l’ausilio di basi registrate.
Come gruppo hardcore in tutta onestà quest’opzione pesa come un macigno. Dopo un inizio un po’ spaesato, con una band che fatica a sorridere, ad ingranare e a ‘riempire’ il palco, i Deez Nuts trovano dei bei scambi con il loro pubblico, come sempre molto caloroso e pronto a divertirsi, partecipando attivamente al concerto con mille cori un bel mosh pieno di energia. I nastri registrati vengono comodi sulle melodiche “Band Of Brothers” e “Face This On My Own”, ma su “Crooked Smile” i DN dimostrano di poterne fare anche a meno. In una situazione che dovrebbe essere di spensieratezza totale, percepiamo una nota di dolore nel vedere la band in queste condizioni, ma il momento viene comunque superato e nel bilancio delle numerose performance a cui abbiamo assistito quella di stasera si colloca un po’ nel mezzo; non come un fiasco ma nemmeno tra le più riuscite. Con l’augurio che JJ possa superare del tutto la fase di cordoglio li aspettiamo di nuovo, possibilmente riassestati e con la loro proverbiale voglia di fare macello.