A cura di Luca Pessina
Che l’Underworld sia decisamente pieno in un lunedì sera dà da pensare. Significa che finalmente qualcosa si sta muovendo anche sul fronte dell’hardcore più introspettivo e meno “da classifica”… quello di scuola Deathwish/Bridge Nine, per intenderci. Almeno per quanto riguarda la sua tappa londinese, il tour da co-headliner di Defeater e Carpathian si dimostra quindi un gran successo: tantissima gente, band “in palla” e dei suoni come al solito all’altezza della situazione.
CARPATHIAN
Il gruppo guidato da Martin Kirby questa sera non fa prigionieri. Il mosh-core degli esordi è un lontano ricordo, ma ciò non significa che i ragazzi australiani siano poco incisivi in sede live. La pesante “Ironheart” sancisce l’inizio della performance e in men che non si dica il palco viene invaso da schiere di stage-divers invasati, che più volte fanno saltare le aste dei microfoni usate per le backing vocals dai due chitarristi. Kirby, da vero frontman hardcore, non fa una grinza e continua a urlare come se niente fosse, lasciando anche spesso e volentieri il microfono ai ragazzi delle prime file. La scaletta è basata in toto sul recente EP “Wanderlust” e su “Isolation”, mentre viene appunto dimenticato il debut “Nothing To Lose”. Tra l’altro, nessuno fra i presenti pare reclamare a gran voce brani da quest’ultimo, quindi si può affermare con una certa sicurezza che il gruppo sia riuscito nell’impresa di farsi completamente accettare nella sua nuova incarnazione, oppure che abbia trovato ben presto un pubblico nuovo e ricettivo. In ogni caso, lo show dei Carpathian si rivela un vero trionfo: la band suona senza sbavature, ostenta presenza scenica da vendere e letteralmente infiamma la folla, tanto che la sala offre un colpo d’occhio davvero esaltante su tracce come “Cursed” e “Seventyk”. Ora l’augurio è che arrivi presto il momento di entrare in studio per confezionare un nuovo album, perchè, aldilà della manciata di pezzi di “Wanderlust”, i nostri sono in tour con la stessa scaletta da più di due anni. Non che lo show di questa sera sia stato noioso – anzi, tutt’altro! – ma farebbe piacere rivedere questi australiani con qualche novità nel repertorio. Appuntamento, si spera, a breve.
DEFEATER
Il concerto dei Defeater ha inizio in maniera inaspettata. Anzichè aggredire il pubblico, la band lascia campo libero al frontman Derek Archambault, che con la sua chitarra acustica ripropone per intero “I Don’t Mind”, brano contenuto nel nuovissimo EP “Dear Father” e nell’imminente full-length “Empty Days & Sleepless Nights”. Una tenera ballata folk-rock che viene intonata anche da molti dei presenti, per lo stupore degli hardcorer più oltranzisti. Si tratta comunque di soli tre minuti… poi il resto del quintetto arriva sul palco e dà il via al concerto vero e proprio con “The Red, White And Blues”, già un classico. A vedere la risposta degli astanti si capisce chiaramente perchè le serate di questo tour vengano sempre chiuse dai Defeater: se durante i Carpathian il pubblico era esagitato, durante la performance dei ragazzi di Boston questo va letteralmente fuori di testa. Decine di ragazzi salgono sul palco e si gettano all’unisono sulle prime file, schiacciando corpi o calpestando teste. Il microfono di Archambault sembra il Santo Graal: tutti cercano di conquistarlo anche solo per urlare una parola dei versi e spesso il cavo si perde o rimane incastrato fra i corpi, costringendo il frontman a fare i salti mortali per recuperarlo. Bassista e chitarristi alzano bandiera bianca e arretrano sembre di più verso la batteria: il palco è dei fan e non vi è nulla che si possa fare. Ma va benissimo così: la band è in visibilio e suona come se non ci fosse un domani. Per circa tre quarti d’ora l’hardcore malinconico dei ragazzi statunitensi crea un vero delirio di emozioni… capita di rado che si assista a una prova tanto intensa, sia a livello fisico che emotivo, ed è ancor più raro vedere un pubblico partecipe in questa maniera. Del resto, è facile simpatizzare per i Defeater: ragazzi semplici e onesti, che non perdono mai occasione per ringraziare per il supporto e che, soprattutto, sembrano davvero voler trasmettere un messaggio con la loro musica. Derek Archambault infatti presenta a dovere ogni brano, raccontando aneddoti o facendo brevi considerazioni in relazione ai testi… storie di quotidianità americana legate a tematiche come certo disagio sociale e le guerre in cui la nazione dei nostri è da tempo coinvolta. Parole semplici ma efficaci, che strappano consensi tanto quanto canzoni come “A Wound And Scar” o “Cowardice”. Quando arriva il momento dei saluti, ci si spella le mani e si pensa già alla prossima volta che li si vedrà dal vivo. A oggi i Defeater sono sicuramente fra le migliori realtà hardcore in circolazione e il nuovo “”Empty Days…” non farà altro che portarli su livelli ancora più alti.