Report a cura di Emilio Cortese
Mercoledì di metal estremo, quello in programma all’Estragon di Bologna. Tre gruppi seminali nei loro generi calcano il palco bolognese e danno vita ad una serata dove la melodia non è minimamente contemplata. Iniziano i polacchi Vader, seguono i blackster svedesi Marduk e chiudono i Deicide, capitanati dallo scorbutico leader Glen Benton. Ecco a voi un breve resoconto della serata.
VADER
MARDUK
Dopo che i Vader hanno incendiato per bene il pubblico, è tempo di passare all’efferato black metal dei Marduk. La scaletta degli svedesi stasera è basata principalmente sui loro cavalli di battaglia, quelle canzoni mitiche che hanno permesso a questa band di avere uno zoccolo duro di fan che la segue ovunque vada. Ecco quindi che rasoiate del calibro di “Still Fucking Dead” o “With Satan And Victorious Weapons” scaldano il pubblico presente, che sulle note poi di “Wolves” e “Christraping Black Metal” scatena un pogo indiavolato che raggiunge il suo apice con la cavalcata conclusiva: parliamo ovviamente della mitica “Panzer Division Marduk”, urlata a squarciagola da praticamente tutto l’Estragon. Anche i Marduk sono in forma e, grazie ad una scaletta ben studiata, hanno tenuto altissima la tensione. Vediamo se i Deicide saranno all’altezza delle prime due band che, onestamente, hanno fatto un lavoro egregio.
DEICIDE
Quando Benton e soci calcano il palco dell’Estragon, senza fronzoli, introduzioni o quant’altro si lanciano in un medley di cinque canzoni: cavalli di battaglia del calibro di “Dead By Dawn” e “Once Upon The Cross”. Sulle note di “Desecration” poi c’è addirittura chi tra il pubblico trova il tempo e la voglia di scatenare una piccola rissa, perdendosi buona parte del concerto a cercare di spiegare a tutti quello che era successo. “They Are The Children Of The Underworld” ci fa nuovamente tornare nella dimensione Deicide del periodo iniziale della carriera. Dal palco il quintetto ci regala una prestazione musicalmente molto valida ma dal punto di vista visivo coinvolgente come un film soporifero. Zero movimenti, zero dialogo col pubblico, semplicemente Glen Benton annuncia le canzoni e via si parte all’assalto, ciascuno chino sul proprio strumento, attento alla sua prestazione. Attitudine anticommerciale o semplice svogliatezza? Ci asteniamo dall’esprimere un giudizio in questo senso, certamente sentire pezzi come “Kill The Christian”, “Dead But Dreaming”o “Blame It On God” ci ha fatto piacere, però poco meno di un’ora di concerto ci è sembrata decisamente poca, questo sì.